Fra omertà e menzogne. Il ruolo del giornalismo nelle sedicenti democrazie

Le temperature di questo torrido agosto devono avere fuso le residue sinapsi dei nostri guru della carta stampata e dei salotti televisivi. Privi ormai di ogni traccia di strumenti critici non si sono scomposti dinanzi a due eventi che in altri tempi avrebbero scatenato un putiferio. Il primo è roba di casa nostra: la magistratura italiana è stata messa sotto accusa perché “potrebbe” o “avrebbe potuto” indagare la Sorella (nel senso di Arianna Meloni) resasi responsabile di traffico di influenze, vale a dire di aver messo bocca nella nomina di dirigenti apicali dello Stato.

Arianna Meloni

È qualcosa di surreale che ho impiegato un po’ di tempo a capire. Una praeoccupatio che è autentica e sfacciata intimidazione, un modo sfrontato per rivendicare l’impunità aggravato dal richiamo alla persecuzione giudiziaria di Silvio Berlusconi, sul quale  procure e pubblici ministeri si accanirono per la frequentazione di una procace ragazza di cattivi costumi e che in tutta la sua carriera politica è stato indagato anche per il piede con cui scendeva giù dal letto.  Una persecuzione giudiziaria accompagnata da attacchi mediatici di un disgustoso moralismo, tanto più disgustosi perché provenienti da ambienti marci fino al midollo.

Si dirà: è la nemesi storica che ora rovescia le parti; ma non funziona così. Donzelli, Forti e tutta l’allegra brigata dei Fratelli d’Italia possono abbaiare alla luna quanto vogliono ma lo spettacolo che stanno dando è sconcio almeno quanto l’imbarazzato silenzio dei media e la timidezza – chiamiamola così – delle cosiddette opposizioni. Quanto alla magistratura, se prima si poteva sospettare che fosse un’arma nelle mani dei compagni ora si può essere certi che i proiettili veri sono in tasca al burattinaio che fa muovere governo e opposizione. E una volta di più rassegniamoci a tenerci il peggiore governo della nostra storia, che però è il migliore per i nostri alleati europei e americani.

Ma il burattinaio impone il silenzio su un’altra clamorosa vicenda:  il parlamento ucraino ha messo al bando la chiesa ortodossa, col pretesto che i suoi membri sono politicamente vicini alla Russia. Non c’è oggi in tutto l’orbe terraqueo un solo Paese che metta fuori legge una confessione religiosa: per  trovare un ben più cauto precedente bisogna tornare alla cortina di ferro e alla Cina maoista, in cui per altro provvedimenti così drastici non vennero mai presi.  Personalmente questa dimostrazione di spregio per la civiltà giuridica e per i fondamenti dello stato di diritto non mi stupisce, come non stupisce chiunque  si sia preso la briga di studiare la storia recente dell’Ucraina. Il divieto sancito in costituzione di insegnare il russo nelle scuole e di redigere documenti pubblici in russo nelle regioni russofone bastava e avanzava per valutare il livello di democrazia di quel Paese  (del quale per altro le prime vittime sono gli stessi ucraini).  Ma ora si è passato il segno e soprattutto hanno passato il segno col loro silenzio giornalisti, politici, accademici onniscienti. E non posso nemmeno augurarmi che sia la Chiesa di Roma a ribellarsi perché dal mio punto di vista non è una faccenda che riguarda le chiese o i fedeli ma è uno schiaffo alla laicità dello Stato che mette il governo di Kiev fuori dalla comunità internazionale. E voglio vedere con che faccia Borrell e gli euroburocrati  continueranno a insistere per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

Nota finale

Ma com’è potuto accadere che si sia perso  del tutto il pluralismo e la libertà nell’informazione?  Una domanda terribile, che ne nasconde un’altra ancora più terribile: com’è stata possibile questa involuzione antropologica nel mondo dell’informazione?  Non penso che  giornalisti – cronisti, reporter, commentatori di una volta fossero superuomini: era semplicemente gente di buona cultura impegnata a svolgere con dignità un mestiere che richiede un’intelligenza almeno media e schiena dritta.  Dovrebbe essere la regola, invece di gente così nelle redazioni è l’eccezione. E temo che la risposta sia nel generale degrado  culturale, morale e intellettivo dell’occidente, che investe tutta la società e si rispecchia fatalmente nei media e nel nanismo degli intellettuali.

Il corto circuito fra politica informazione e società. che ha portato all’affermazione di quello che viene chiamato pensiero unico ma è semplicemente soppressione della libertà di pensiero parte da lontano, da molto lontano: era implicito nell’essenza stessa della democrazia post bellica di matrice Usa.

PUBBLICITA’

Per decenni ha condizionato in modo subdolo la pubblica opinione ma si palesò sfacciatamente col Covid e la politica vaccinale ed ha avuto la sua celebrazione con la questione ucraina e l’esplosione della politica aggressiva della Nato e degli Usa. Ma chi avrebbe dovuto reagire  di fronte alla valanga di menzogne che stava per seppellirci? Quegli stessi che quella valanga aveva portato con sé? Che dopo il colpo di mano di Maidan l’Ucraina era caduta nelle mani di una cricca di neonazisti telecomandati dagli americani impegnati a stringere al collo del gigante russo il cappio della Nato era una palmare evidenza.  Posso capire le reticenze della stampa filogovernativa per l’obbiettiva soggezione del Paese nei confronti degli Stati Uniti.  Ma la soggezione politica e diplomatica non poteva esimere dal denunciare i rivolgimenti della Costituzione, la persecuzione delle minoranze, il tentativo di impedire l’autodeterminazione nelle regioni separatiste, gli eccidi nel Donbass protrattisi per otto anni fino all’intervento russo.  Né è possibile giustificare il vergognoso silenzio di fronte all’assassinio del nostro Andrea Rocchelli, il giornalista ucciso a colpi di mortaio dalle milizie ucraine.  Per molto meno si rompono le relazioni diplomatiche, tanto più che dal governo ucraino non sono mai arrivate a Roma scuse né ufficiali né ufficiose. Poi gli stessi che allora avevano tenuto la bocca cucita ora sbraitano e si stracciano le vesti perché Mosca – con pieno diritto- minaccia un’azione penale contro i giornalisti Rai che hanno allegramente attraversato il confine con la federazione russa a bordo dei mezzi dell’invasore ucraino. Se avessero avuto la schiena dritta i nostri signori dell’informazione alla vigilia dell’operazione speciale avrebbero dovuto documentare le stragi nelle province russofone, il piano di Kiev per la loro snazionalizzazione, gli assassinii mirati, l’annientamento dell’opposizione. Tutte cose arcinote ma fatte finire nel dimenticatoio e oscurate dalla versione imposta dal burattinaio oltreoceano: “il nuovo zar vuole ricostituire l’impero perduto”. E tanto per confondere le idee al popolo bue la penna del Giornalone cominciò allora – e continua imperterrita tuttora – a parlare di armata rossa e di truppe sovietiche di invasione, fingendo di non sapere che la federazione russa è nata dalle ceneri dell’Urss e che la più radicale negazione del comunismo sovietico è proprio il partito di Putin, che ha restituito al popolo russo la sua storia e la sua identità.

Si cominciò con l’omertà e le menzogne sulle cause che portarono all’intervento russo nel Donbass e si è continuato coerentemente sulla stessa strada. Poi col governo Meloni e il compattamento di maggioranza e opposizione  quel minimo di pudore che restava è andato perduto. La Rai è arrivata al punto di trasmettere il telegiornale in lingua ucraina e questo non sarebbe nulla se ciò che trasmette, in italiano o in ucraino, non fosse altro che la propaganda di Kiev, somministrata senza filtri di sorta. La carta stampata e le televisioni private ne seguono pedissequamente le orme per non avere problemi e l’occhio vigile dell’ambasciata Usa e della Cia fa il resto.  L’ultima perla di Telemeloni (Rai e Mediaset) è di questi giorni: un missile russo ha provocato cinquanta morti in una scuola. Poi la tardiva e obbligata correzione: la scuola era un edificio militare e le vittime non sono bambini ma militari. Ha buon gioco  Travaglio a tirarsi fuori da questa melma mediatica (ma non basta per far digerire la sua ossessione contro Berlusconi anche da morto e le cadute di stile dei suoi collaboratori, come  quella di Padellaro che liquida Vannacci come un golpista).

P.s.
Nel mio ultimo contributo a questi Trucioli Savonesi, tradito dalle iniziali,. ho scambiato il compagno in cashmere con  lo smacchiatore di giaguari.  Mi cospargo il capo di cenere.

Pierfranco Lisorini

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