FESTA MEDIOEVALE A VILLA CAMBIASO (fantasy)

Una moderna favola fantasy:
FESTA MEDIOEVALE A VILLA CAMBIASO

Una moderna favola fantasy:
FESTA MEDIOEVALE A VILLA CAMBIASO
Il terzo sabato di settembre mi ero recato all’inaugurazione di una mostra nella cinquecentesca Villa Cambiaso. Come sempre il buffet era affollato. In tali occasioni la gente si dimostra sovente più interessata alle cibarie e alle bevande offerte che alle opere esposte, ma già che c’è un’occhiata ai quadri la dà anche.

Si trattava di una collettiva a tema. Il titolo prescelto era “Liguria tra passato e presente”. Passai le opere in rassegna. Come sempre accade con le collettive, i lavori erano validi oppure insulsi a seconda della qualità dei singoli artisti. Ad esempio c’era un trittico ambientato qui a Savona. Il soggetto era quell’antico rione, oggi rimpiazzato da due palazzoni con portici prospicienti la vecchia darsena, distrutto da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale. In una delle tele le case si ergevano ancora intatte, mentre in un’altra le figure umane si aggiravano tra macerie ed edifici ormai diroccati. E nei due dipinti i moderni palazzoni apparivano, come evanescenti fantasmi, sullo sfondo delle movimentate rappresentazioni artistiche. Infine l’ultima tela del trittico mostrava la realtà attuale tra fantasmagoriche visioni del passato. Un’idea interessante e ben realizzata.

Erano inoltre ottimi il paesaggio dell’entroterra con immagini mitiche soprastanti, dipinto da Pretin, il minuzioso quadretto di Geido raffigurante i vagonetti del carbone, fascinoso esempio di “antiquariato” industriale, e una tela dipinta con competenza dal proprietario della villa.

 Erano poi presenti opere d’ambientazione medioevale o rinascimentale, purtroppo non meritevoli di considerazione perchè analizzavano i secoli passati in maniera insignificante. Si trattava di scialbi bozzetti privi di succo e di spessore. Vi era un’unica eclatante eccezione: una grande tela ambientata proprio all’interno di Villa Cambiaso al tempo in cui era stata appena costruita, dipinta con incisiva matericità e straordinaria precisione di dettagli. I personaggi in costume si aggiravano tra il salone d’ingresso e il giardino retrostante in fuga prospettica. Parevano veri, tanto erano ben disegnati e osservandoli io fui perfino colto da un lieve capogiro. Per un momento temetti perfino di cader preda della sindrome di Stendhal.

Terminata la visita e non avendo impegni, decisi di fare due passi in centro.

Percorrendo Corso Italia, una delle vie principali di Savona, m’imbattei in una sfilata che ricreava in parte l’epoca medioevale e in parte quella rinascimentale. Mi soffermai a guardarla. Queste manifestazioni non sono nulla di speciale, eppure suscitano sempre in me una sottile forma d’attrazione. Credo siano soprattutto i guerrieri medioevali in armatura ad attirarmi, con le loro pesanti corazze, le terribili asce da guerra, le micidiali balestre, gli affilati spadoni, quelle impressionanti mazze ferrate… Il fascino della forza e della violenza, insomma, perché perfino il più convinto pacifista, pur rifiutando di ammetterlo, sotto sotto ne è ammaliato. La guerra moderna è però troppo impersonale. Se un missile intercontinentale s’abbatte su di te, ti uccide senza che tu neppure faccia in tempo ad accorgertene. Ecco perché il pacifista è tale, a meno che la sua non sia semplice codardia: dategli l’opportunità di menar le mani in singolar tenzone e la sua aggressività latente verrà alla luce e gli farà dimenticare tutti i buoni propositi.

Osservai i figuranti sfilare lungo il corso. Fanti e crociati, principi e cavalieri, perfino un nobile scozzese in gonnellino, il tradizionale kilt. Poi naturalmente le donne, infagottate in sfarzosi e colorati abiti medioevali o rinascimentali.

Aprivano la sfilata un re e una regina. Conoscevo i vestiti che indossavano. Il re era adornato esattamente come Enrico VIII nel famoso ritratto fattogli da Hans Holbein il giovane. Il fastoso abito rosso in filo d’oro tempestato di pietre preziose, qui ovviamente false, le maniche giallo oro dagli abbondanti sbuffi, l’elegante gilè di pelliccia e il curioso copricapo con pon pon laterale erano inconfondibili. La regina invece indossava l’abbigliamento prescelto nel 1554 da Maria I Tudor, la famigerata Maria la Sanguinaria, per farsi immortalare in una tela oggi conservata al museo del Prado. Subito alle loro spalle sfilavano gli armigeri. Poi avanzavano alcune figure maschili illustri: Vescovo, Cardinale, Balivo e Doge di Genova. Dietro a questi, incedevano uomini e donne soli o in coppia. Indosso a una figurante riconobbi una copia dell’elaborato abito bianco e bruno dipinto dal Bronzino nel 1546. Anni dopo, quello stesso vestito avrebbe accompagnato nel sepolcro la sua proprietaria, Eleonora da Toledo. Il cappello piumato indossato dalla comparsa nel ritratto però non appariva. Concludevano il corteo gli immancabili sbandieratori.

Già cominciavo ad annoiarmi e meditavo d’andarmene, quando la mia attenzione fu ridestata e il cuore perse un colpo. Una ragazza. Bellissima. Non era molto alta di statura, si aggirava forse intorno al metro e sessantacinque, eppure ai miei occhi spiccava su tutte come se fosse una gigantessa. Sì, davvero una gran bella ragazza, armoniosa nel fisico, dal gentile volto attraente e l’espressione dolce. Aveva un passo leggero e aggraziato ed emanava charme da ogni suo movimento.

Lei indossava un abito bianco e azzurro ed era l’unica, tra le decine di figuranti di sesso femminile presenti, a non portare alcun copricapo. E ne aveva ben donde di stare a capo scoperto, perché aveva capelli di bellezza straordinaria, castani, lisci e lunghissimi, che superavano forse addirittura il metro. Li teneva sciolti sulla schiena. Erano assai curati e le stavano meravigliosamente bene, come mai con altra donna mi è capitato di vedere. Coprire, legare o perfino anche solo trattenere con un fermacapelli un tale capolavoro della natura sarebbe stato un delitto inescusabile.

Peraltro su tale argomento sono un poco di parte, perché io stesso amo da sempre portare i capelli piuttosto lunghi, sfidando con caparbietà ogni difficoltà in merito o altrui giudizio negativo. Per farla breve, devo ammettere di avere sempre nutrito un debole per le ragazze che portano i capelli molto lunghi e sciolti. Bisogna però che costoro abbiano fisico e chioma all’altezza, per poterselo permettere. Lei per me era di eccezionale, incantevole avvenenza e rispondeva alla perfezione ai requisiti. Di nient’altro più m’importava. Nulla e nessuno attirava più la mia attenzione. Avevo occhi soltanto per Lei.

Contrariamente alle mie precedenti intenzioni seguii la sfilata fino alla vicina Piazza del Comune, dove dovetti sciropparmi tutta una serie di noiosi balli in stile rinascimentale. Trovo che siano assai lontani dai gusti moderni, non posso dunque evitare di chiedermi cosa ci possa mai trovare la gente in tali solfe, ma si tratta forse di un mio limite personale.

Tuttavia quando giunse finalmente il suo turno la mia attenzione si ridestò.

Lei partecipò prima a un articolato ballo di gruppo e poi a una specie di giga a coppie, durante la quale si muoveva tenendosi per mano a un’altra donna. Ogni suo singolo passo di danza mi pareva meraviglioso. La contemplai per tutto il tempo e non me ne andai via finché anche Lei non ebbe lasciato la festa. Dovevo rivederla assolutamente! L’indomani si sarebbe svolta la seconda parte della manifestazione, con nuovi balli e sfilate e per clou la ricostruzione dei combattimenti tra i cavalieri. In verità io avrei avuto alcuni impegni, ma decisi di annullarli in blocco per essere presente. Non mi sarei perso la sua nuova esibizione per nulla al mondo.

 La festa si svolgeva nella già citata Villa Cambiaso, nata intorno al cinquecento come residenza di campagna e oggi sfruttata per mostre e manifestazioni varie. Il proprietario aveva messo a disposizione il salone d’ingresso, il salone delle feste al piano superiore e il giardino sul retro. Io ero lì per Lei, ma con mia somma delusione non la vedevo apparire. Come mai non partecipava alle danze? Dovetti far buon viso a cattivo gioco e cercare almeno di godermi le contese simulate, unico spettacolo tra le varie performance a suscitarmi in genere autentico interesse.

Ed ecco dunque le ricostruzioni degli antichi combattimenti medioevali. Si sarebbero ovviamente svolte all’aperto, nel giardino. Diedi uno sguardo d’insieme agli uomini in attesa del proprio turno e di colpo il mio interesse si centuplicò. In mezzo ai bianchi crociati, ai truci guerrieri in armatura pesante, ai personaggi curiosi come il “Mc’Intosh” in kilt e spadone, c’era pure Lei. Chissà quale interpretazione avrebbe offerto. Bene, molto bene, adesso sì che non vedevo l’ora di godermi lo spettacolo.

In effetti, apprezzai i duelli, realizzati con perizia superiore alla media, ma faticai a seguirli per intero, perché ero distratto dalla sua presenza. Continuavo a volgere lo sguardo verso di Lei. La guardavo seguire le evoluzioni dei colleghi e al contempo discorrere allegramente con chi la circondava. Me la mangiavo letteralmente con gli occhi.

Giunse alfine il suo turno. Finalmente! La pantomima di cui era protagonista riproduceva l’aggressione da parte di un nero soldataccio barbuto, rozzo e brutale. In seguito un cavaliere giungeva in suo soccorso e sfidava il marrano in singolar tenzone. Dapprima quest’ultimo si faceva scudo della donzella, poi però la spingeva via e accettava la sfida.

Iniziò dunque il combattimento, in un rutilante incrociare di spade assai più realistico di quanto accade di solito. Contrariamente alle mie aspettative – so fin troppo bene quanto nella nostra società imperi la banalità – fu il cattivo a prevalere.

A quel punto però la giovane raccolse da terra la spada del cavaliere vinto, ucciso e ancora immobile sull’erba e sfidò a sua volta il bruto in armatura nera. Questi rise sguaiatamente e, sempre con il sorriso sulle labbra, affrontò l’imprevista avversaria senza affondare i colpi. Male faceva però a umiliarla, perché costei si dimostrava una valente guerriera.

Io guardavo ammirato Lei, l’attrice, non il personaggio interpretato, magnetizzato dalla sua elegante silouette e dai quei straordinari, lunghissimi capelli, trattenuti soltanto da una fascetta, che svolazzavano seguendola nei movimenti come animati di vita propria per poi ricaderle ordinati sulla schiena. Indossava un mantello marrone scuro sopra la veste bianca e azzurra e maneggiava l’enorme spadone muovendosi con grazia ferina.

Era a un tempo agile e forte, molto più di quanto il fisico in fondo minuto potesse far pensare. L’affilato ferrame, a giudicare dal rumore prodotto quando cozzava contro quello avversario, doveva essere tutt’altro che leggero, eppure lo maneggiava e roteava senza sforzo apparente. Dimostrava invero una notevole prestanza atletica, considerato che una femmina non possiede di certo l’impalcatura ossea e muscolare di un uomo.

Dopo un lungo battagliare, la giovane vinse lo scontro e inflisse all’avversario il colpo di grazia, con fierezza e credibilità tutta maschile. Infine si voltò verso il pubblico e s’inchinò sorridendo senza dar mostra di stanchezza. Quindi di raddrizzò e scosse vanitosamente all’indietro la fluente criniera, riappropriandosi con tal gesto della propria femminilità. Ricevette un meritato applauso, a cui mi unii con convinzione. Ne ero sempre più stregato e oramai la desideravo con tutte le mie forze, come mai mi era capitato in vita mia.

La volevo conoscere. Anzi, la dovevo conoscere, assolutamente.

Un paio d’ore dopo era in pieno svolgimento il party con ricco buffet. Alcuni dei membri dei gruppi storici vi partecipavano, ormai rivestiti in abiti borghesi.

Approfittai dunque di un momento in cui Lei si era appartata in un angolo tranquillo e mi avvicinai. Il mio approccio, un semplice “Scusa, tu sei la ragazza guerriera?” Non sarà stato un granché ma, oè, non sono un Don Giovanni, io, non si pretenda troppo da me. Se, come onestamente ammetto, ho avuto poche donne nella vita, dipenderà almeno in parte da miei limiti personali, no?

Lei era soprappensiero e non s’aspettava di essere interpellata da qualcuno. Lo sguardo che alzò su di me era però sì incerto, ma anche sufficientemente amichevole da indurmi a rivolgerle tutti i complimenti che sentivo dentro. Lei arrossì un poco e poi aprì il viso in un incantevole sorriso, mostrando una chiostra di denti bianchissimi e perfetti.

“Oh grazie, sei molto gentile.”

“No, no, non gentile ma assolutamente sincero, mi sei piaciuta davvero molto, combattevi in modo splendido, con straordinaria perizia. Sei davvero in gamba.”

Fui poi anche fortunato a imbroccare l’apprezzamento estetico più azzeccato per metterla nella migliore disposizione di spirito nei miei confronti. Avevo, infatti, compiuto un ammirato riferimento alla sua superlativa capigliatura. Come mi accorsi subito dopo averne parlato, nessun complimento doveva darle piacere quanto uno rivolto a quella spettacolare coda di pavone, a cui evidentemente teneva molto e di cui andava giustamente orgogliosa.

Insomma, per farla breve, avevo rotto il ghiaccio e nei minuti successivi riuscii in qualche maniera a portare avanti una conversazione non troppo zoppicante. Perché, vedete, io posso apparire assai estroverso e a volte perfino logorroico, quando mi trovo insieme a chi conosco bene, ma di fronte a estranei, specie se mi suscitano intenso interesse, tendo a lasciarmi dominare dalla timidezza e dall’insicurezza. Divento silenzioso e non riesco a mostrare il meglio di me.

Lei per fortuna mi seppe aiutare a dovere, dimostrandosi persona simpatica e di piacevole compagnia, e il dialogo filò liscio, anche se purtroppo fu di breve durata. Infatti, proprio nel momento meno opportuno, alcuni suoi colleghi giunsero e se la portarono via in una turbine, senza concedermi il tempo di approfondire la conoscenza.

Con mia profonda disdetta presto mi accorsi che Lei e l’intero gruppo storico avevano lasciato la riunione ludica. E non sapevo ancora né come Lei si chiamasse, né se fosse di Savona. A quel punto per me la festa non aveva più significato. Attesi a lungo, sperando in un suo ritorno, poi me n’andai in preda allo scoramento. Dovevo a ogni costo ritrovarla.

 Il giorno dopo, lunedì, vidi il patron entrare nella sua villa all’orario d’apertura della collettiva, lo avvicinai e gli rivolsi la parola.

Mi guardò piuttosto perplesso. Non capiva cosa volessi. Io insistevo a chiedere informazioni sui gruppi storici invitati lì per la festa, ma lui mostrava proprio di non comprendere. Infine mi spiegò, con stampato in volto lo stupore per quelli che con ogni evidenza dovevano parergli miei vaneggiamenti, che il giorno prima in villa non vi erano state feste medioevali! A Savona, uno spettacolo a base di duelli con la spada si era effettivamente svolto, ma sulla cinquecentesca fortezza del Priamar, non certo da lui. Nella sua palazzina era stato invece organizzato un breve incontro con rinfresco sul tema della mostra, limitato peraltro alle sole stanze dell’atrio e a non più di una ventina di presenti.

“Ma come? Se vi ho partecipato per l’intero pomeriggio e la villa straboccava di gente.” Esclamai.

Lui scosse la testa, comprensivo, ma della comprensione che si rivolge agli ubriachi o ai pazzi. Poco dopo giunse il curatore dell’esposizione, il quale mi confermò per filo e per segno quanto mi era stato appena riferito. E l’atroce dubbio d’essere impazzito cominciò a insinuarsi pure dentro di me.

Non mi decidevo però ad andarmene, come se sperassi di vederla riapparire. Presi dunque a passeggiare per l’elegante salone d’ingresso, dominato dalla fontana dono di Papa Pio VII e attribuita al Bernini, dove erano esposte alcune delle opere. Mi trasferii quindi nelle vere e proprie sale espositive e mi soffermai ad osservare i medesimi quadri ammirati due giorni prima.

Il pittore proprietario della villa rimase a scrutarmi per un poco, poi tornò ad occuparsi delle proprie faccende e sparì in una saletta appartata. Per quanto mi riguardava poteva pensare di me ciò che voleva, non me ne importava.

Presto mi soffermai davanti all’olio su tela che più di tutti avevo apprezzato. Si trattava della scena rinascimentale ambientata tra il salone d’ingresso della villa e il giardino. Ogni particolare era raffigurato con assoluto realismo. Mi sembrava quasi di poter entrare dentro il quadro e toccare con mano. L’autore era veramente bravo. Stavo studiando uno alla volta i vari personaggi quando mi bloccai, stupefatto.

Restai fino all’ora di chiusura immobile a fissare un’immagine, incapace di credere ai miei occhi, e appena giunsi a casa sentii il desiderio di lasciare una testimonianza di quanto stavo vivendo, anche se forse non oserò mai farla leggere a qualcuno.

Elaboro questi appunti tutti i giorni, fino all’ora di apertura della mostra. Ogni pomeriggio sono, infatti, colto dall’incoercibile necessità di rivedere quel quadro, da cui non riesco più a distogliere i pensieri. Ho pure manifestato la volontà di acquistarlo, ma con mia profonda delusione ho scoperto che non è in vendita. Oramai amo quella ragazza, ma devo essere davvero pazzo se comincio a credere sul serio che, che… no, è impossibile, non posso scrivere ciò che sospetto, non oso quasi neppure pensarlo.

La mostra intanto si concluderà tra pochi giorni, evento a cui penso con crescente preoccupazione…

 

L’asciutto proprietario di Villa Cambiaso stava mostrando l’esposizione a un ospite di fama. Quest’ultimo si soffermò soprattutto davanti all’olio più grande, una tela di metri 1,50 x 2.

“Interessante, originale. Chissà cosa avrà voluto dire l’autore inserendo questo personaggio in foggia moderna in una raffigurazione di stampo interamente rinascimentale?”

Un personaggio in foggia moderna? Udendo il commento il padrone di casa studiò a sua volta l’olio. Era perplesso. Gli pareva diverso da come lo ricordava. In precedenza aveva osservato con attenzione l’opera e non aveva notato figure abbigliate come nel XXI secolo e invece, eccola lì. L’unico possibile segno d’appartenenza di quell’uomo all’epoca descritta nell’opera erano i suoi capelli piuttosto lunghi e fluenti. Costui inforcava addirittura un paio di moderni occhiali da vista fotocromatici! Davvero strano. Era come se fosse stato aggiunto nel frattempo. Lo fissò di nuovo: stava di fianco a una fanciulla vestita di bianco e azzurro, assai bella e dai lunghissimi capelli castani sciolti sulla schiena. I due si contemplavano con sguardo colmo d’amore e di passione e parevano fatti l’uno per l’altra.

Il particolare più curioso era che gli pareva di conoscere quel personaggio. Per l’esattezza assomigliava sputato al tipo, a lui peraltro ben noto, che alcuni giorni prima era venuto a chiedergli notizie di una presunta festa in villa e successivamente aveva visto più volte in visita alla mostra. Tra l’altro la mattina precedente aveva letto sui giornali della sua scomparsa e in proposito aveva perfino ricevuto una visita dei carabinieri. Il Secolo XIX accennava pure a misteriosi appunti ritrovati in casa sua e ora al vaglio degli inquirenti.

Evidentemente l’artista doveva averlo usato come modello, ma come mai prima non se n’era accorto? Si fece un appunto mentale per chiedere, quando gli fosse capitata l’occasione, spiegazioni all’autore, ma in seguito smise di pensarci. In fondo non aveva alcuna importanza.

Fine. Massimo Bianco.

 

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