Falsi problemi, polemiche speciose e finte contestazioni

e la paura dell’uomo nero che rompe le uova nel paniere

“Lei condivide o no le parole di Vannacci sugli omosessuali?” chiede con piglio inquisitorio la bionda conduttrice della trasmissione crepuscolare di rete 4  alla malcapitata leghista, che indugia a rispondere mentre si sforza  di immaginare quali potrebbero essere  le parole del generale. Ci pensa l’inquisitrice a suggerirgliele: “Vannacci scrive che gli omosessuali non sono normali, lei è d’accordo?”.  La leghista la prende alla larga, accenna alla tolleranza, all’intimità, alla inviolabilità della vita privata e fa indispettire l’inquisitrice che la interrompe sentenziando evangelicamente “volevo semplicemente un sì o un no”.

Un sì o in no. Aut aut, o di qua o di là, non puoi sfuggire, non ci sono terze posizioni. È curioso che proprio mentre dà un ulteriore prova di manicheismo il mainstream progressista neghi uno dei cardini della tavola dei contrari: maschio/femmina e pretenda di imporre un’alternativa proprio dove introduce liquidità. Ma non voglio prendermela con la modesta e un po’ svampita interprete del pensiero dominante – non quello che tormentava il contino di Recanati -: troppo facile infierire sul livello imbarazzante del giornalismo italiano.  Il problema vero è l’inconsistenza progettuale della politica. I mestieranti che hanno preso il posto dei partiti – meglio: che si sono sottratti al controllo dei partiti  o usano le etichette di partiti inesistenti come specchietti per le allodole – non solo nell’inevitabile intreccio fra affari e politica sono esposti al rischio di essere risucchiati nella melma del malaffare che è il terreno di un’imprenditoria   parassitaria e criminale ma,  privi come sono di qualsiasi contatto col cuore pulsante della società civile, non sono capaci di coglierne gli umori,  i bisogni, le difficoltà e sopperiscono alla mancanza di piani di azione spostando il dibattito politico lontano dai problemi reali della struttura economica e sociale.

C’è un mondo di ideazioni, emozioni, atteggiamenti che si rispecchia nelle relazioni interpersonali, si nutre di letture, distribuisce gratificazioni e frustrazioni, un mondo di cui gran parte è rappresentato dai modi in cui viene declinato l’eros; è l’intimità delle persone, che storicamente l’avvento del cristianesimo ha violato esponendola all’occhio indiscreto del prete e  la modernità ha faticosamente riportato all’interno del privato. A questa intimità attiene l’educazione sentimentale, che comprende l’investimento erotico dell’altro.  Non c’è niente di politico in questo, perché la politica riguarda la gestione della polis, la tutela dei cittadini e dei loro beni e la garanzia del libero svolgersi delle attività materiali e intellettuali. Ne discende che chiunque è libero di provare disgusto di fronte alla evocazione di un commercio carnale fra individui dello stesso sesso così com’è libero di provare ripugnanza per lo spettacolo di qualsiasi rapporto sessuale.  Il che, ovviamente, non implica la liceità di  esternarli ad libitum e non intacca la libertà che tutti hanno  di esprimere e soddisfare liberamente le proprie pulsioni in solitudine o in compagnia. Padrone il mio vicino di casa di indossare mutandine da donna e reggiseno  ma lontana da me l’idea che sia un comportamento da imitare o in cui identificarmi. I compagni giustamente rivendicano la libertà di comportamenti che non nocciono agli altri ma dimenticano la libertà di pensiero e il diritto ad esprimere le proprie opinioni quando non siano insulti o minacce.

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Se Vannacci avesse scritto che gli omosessuali  o, in generale, i soggetti che afferiscono alla LGTB+  violano una legge dello Stato e pertanto vanno sanzionati o avesse sostenuto che, in quanto non-normali, dovessero essere esclusi dagli uffici pubblici, dalla scuola o dall’esercito allora sì che avrebbe sollevato una questione politica, vale a dire di diritti reali; ma non l’ha fatto. Ha semplicemente osservato che sono una minoranza, un’eccezione rispetto alla norma e che non si può pretendere di erigere a norma la loro diversità La diversità non è di per sé né un male né un difetto: basta dire che nella nostra società, fra i nostri giovani, nelle nostre scuole, l’intelligenza è un’eccezione, è il patrimonio di una minoranza – purtroppo silenziosa – che si sta facendo, dati alla mano, sempre più ristretta. Diversità che è il sale della terra perché la piatta normalità, come il conformismo, porta alla stagnazione  e a una lenta ma inesorabile deriva culturale ed etica; l’originalità, l’eccentricità, la trasgressione sono valori positivi e il motore della storia e della cultura. Che poi il generale gli dia una connotazione negativa sono affari suoi e la conseguenza di una prospettiva che ne coglie solo gli aspetti negativi:  anche il criminale è un diverso e nella trasgressione come nell’anticonformismo si annidano elementi sgradevoli o ripugnanti.  Ma in ogni caso la politica, e nemmeno la morale intesa nel suo significato originario come mores, costumi,non  deve intromettersi  nei comportamenti che non hanno un impatto sociale, tantomeno in quelli che si esauriscono nella sfera privata.  La Chiesa è arrivata a considerare il suicidio un peccato e ad imporre ai governi di trattarlo come un reato, come se il corpo appartenesse allo Stato o all’ecclesia. Con la stessa logica si considera l’aborto un reato, indipendentemente dal momento in cui è praticato: confondere la fecondazione di un ovulo, l’embrione di una vita e un bambino in procinto di cambiare ambiente è frutto di un astrattismo che ha perso di vista il buon senso. C’è un limite oltre il quale il privato sconfina nel pubblico, vale a dire nel dominio della politica. L’omosessuale  questo limite non lo passa: lo passa  lo stupratore, lo passa l’esibizionista, lo passa il molestatore ma non lo passa chi  investe le proprie pulsioni affettive e sessuali su un oggetto non convenzionale che lo attrae, quale che sia – purché inanimato o consenziente-  e instauri con esso uno scambio erotico o ne faccia uno strumento di piacere.  Quale sia l’oggetto e quali siano le modalità di quello scambio sono questione di interesse esclusivamente privato: possono essere materia di arte, di letteratura, di spettacolo ma non di politica o di valutazioni etiche.

Identificare una persona per qualche sua caratteristica o per le sue idee  è sempre una cosa sciocca: ciascuno di noi è una persona nella pienezza della sua essenza. Ridurla a vecchio, a storpio o a comunista è consentito solo nella volgarità del linguaggio quotidiano, nel quale appunto si viene identificati per i gusti, le opiniono e le tendenze sessuali. Segno e insieme retaggio di immaturità infantile soprattutto presenti in aree culturalmente depresse e nelle subculture giovanili. Ma che si arrivi a fissare quelle caratteristiche fino a farne delle categorie sociali è veramente grottesco, quale che sia l’intento e da qualunque parte ciò avvenga. Se uno mi dice: io sono  comunista gli rido in faccia perché non esiste la categoria comunista, che dovrebbe segnare l’appartenenza ad una formazione o ad un gruppo socialmente definiti e identificabili quali sono militare, insegnante, avvocato, ecc; ma se mi dicesse: “sono omosessuale” sarebbe anche peggio, in primo luogo perché sarebbero affari squisitamente suoi, in secondo luogo perché mi darebbe l’impressione di un approccio indesiderato. E così vengo all’altro aspetto del problema: l’omofobia di cui viene accusato il generale Vannacci. Premesso che in tutto l’arco della mia vita di sportivo, di insegnante, di psicologo  non ho mai incontrato qualcuno che odiasse o avesse paura degli omosessuali – in questo consiste la fobia – do per scontato che soprattutto fra i ragazzi nel repertorio degli insulti di cui ci si gratifica ci siano riferimenti alla sfera sessuale e do anche per scontato che le varianti dialettali con le quali viene qualificato l’omosessuale abbiano una connotazione canzonatoria. Se questa è l’omofobia che  fa ingresso nel codice penale mi cascano le braccia. Ma alla televisione fanno vedere scene di aggressione, bullismo, linciaggio psicologico all’interno delle scuole  o dei luoghi di ritrovo. Lo dico brutalmente: non ci credo. Non ci credo perché vivo in una città che in fatto di becerume, violenza verbale – e qualche volta fisica – e  intolleranza non si fa mancare nulla, ma sempre all’interno del mainstream,  che  per l’appunto vede in prima linea i sacerdoti e le sacerdotesse LGTB+.

https://www.passionepsicologia.org/

Ma allora nessun problema ma solo la pretesa di voler cambiare gli atteggiamenti, obbligare a considerare normale ciò che normale non è o di imporre l’idea assurda che non esista una norma? No, il problema esiste anche se non è quello sollevato dal conformismo di sinistra. Esiste a livello psicologico e riguarda in primo luogo gli adolescenti posti di fronte alla scelta delle propria identità sessuale: per alcuni di loro è una scelta non facile ed è foriera di  conflitti interiori, di sensi di colpa, di paura dell’isolamento  sui quali il mondo esterno, gli stessi familiari, gli adulti di riferimento, gli psicologi – dai quali in generale è bene stare alla larga – se deve intervenire lo deve fare in modo estremamente discreto e delicato. Rispondere prontamente alla richiesta di aiuto, garantire un ambiente caldo e accogliente, seguire senza darlo a vedere: poi ognuno prende la propria strada. Ma io, durante la mia esperienza di insegnante di liceo, ho assistito impotente all’intrusione scomposta di colleghe sui turbamenti di ragazze  in cerca di modelli e alle prese con la gestione delle prime tempeste ormonali per fissarne una fase di esplorazione destinata di per sé a correggersi o a proseguire; e questo sì che è un problema ma parlarne è scorretto perché mette in cattiva luce un certo femminismo.

Per concludere

Ovviamente non è casuale che si sollevi un problema che non esiste come l’omofobia, che si impedisca di parlare alla ministra che non vede di buon occhio l’aborto, che si soffi sul fuoco del conflitto nella striscia di Gaza: tutto fa brodo per occultare il fatto che in Italia non c’è più un’opposizione e non c’è più nemmeno una parvenza di sovranità. E dare credito allo sproloquio della contestatrice che riassume lo squallore intellettivo prima che culturale che imperversa nelle università   è un modo astuto per distogliere l’attenzione da personaggi come Macron, Stoltenberg, la Meloni o Crosetto, che dovrebbero essere il bersaglio  di una rivolta generale in nome non solo della pace ma  semplicemente del futuro che questi apprendisti stregoni mettono a rischio.

Pierfranco Lisorini

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