Facebook a Savona

Savona, quando Facebook diventa un arma
Stalkers e privacy fasulla

Savona, quando Facebook diventa un arma
Stalkers e privacy fasulla
 
Siamo ormai consapevoli di vivere in una città che, sebbene molto più lentamente di altre, si globalizza ogni giorno di più e perde ogni tanto il proprio aspetto caldo e familiare, inteso nel senso più letterale del termine. Risulta quindi ovvio quanto Savona debba conseguentemente uniformarsi ad alcuni odiosi standard ormai presenti, senza scomodare realtà oltre confine, nella maggior parte delle città d’Italia.
Non intendo lamentarmi – retoricamente – dei fatti di cronaca nera, faccenda che lascio volentieri a chi si occupa di disquisizioni pour parler; desidero invece entrare in merito a fatti che ritengo intellettualmente sconcertanti. Si è recentemente sentito parlare dello stalker venticinquenne denunciato alla Questura in seguito alle molestie recate alla ex-fidanzata, perpetrate con pedinamenti, sms e telefonate (come da manuale), ma l’inedita freccia che prende posto nella faretra dei persecutori risulta essere lo stalking cibernetico, comunemente operato tramite il celeberrimo Facebook. Il social network ideato dal giovane Zuckerberg è notoriamente nato come mezzo di comunicazione tra compagni di corso all’Università di Harvard, proposito di per sé positivo, è oggettivo. Nessuno si è preoccupato quando il sito ha rapidamente scalato le vette del web, e come criticare d’altronde, permettere al mondo intero un’intercomunicazione istantanea con chiunque ci salti in mente di contattare pare, di primo acchitto, una conquista di civiltà. Risultando utile anche per la miglior gestione dei rapporti lavorativi, i dubbi sono scomparsi e l’opinione pubblica ha gridato “ Evviva Facebook! “. Ogni sistema però, inteso come cosmo sociale, ha sempre un qualche difetto intrinseco che può portarlo al collasso, oppure – come in questo caso – all’instaurarsi di meccaniche malate che ne divengono paradossalmente la linfa vitale, essenziale al mantenimento del sistema stesso. Premettendo che altre realtà sociali funzionano benissimo e senza strani meccanismi, passo ad analizzare quelle che credo siano le piaghe incosapevolmente portate dal giovane Zuckerberg.

 

Ho citato l’episodio di stalking avvenuto a Savona con lo scopo di portare alla luce uno dei difetti più evidenti di “ FacciaLibro”, rappresentato dalla facilità con la quale si può farne un cattivo uso (persecutorio nella fattispecie).

Sì, perchè da blando utilizzatore del sito, so che è possibile contattare persone con le quali non si è stretta “ amicizia “ tramite messaggi privati, e non fatico ad immaginare il passo successivo, quello che vede lo stalker utilizzare questa metodica per importunare la vittima (o magari intimidirla, se invece di stalker parlassimo di malitenzionato classico). Sono stati riscontrati casi, in giro per il mondo ma nemmeno troppo lontano da qui, nei quali questo metodo è stato utilizzato da alcuni pedofili e maniaci di vario genere per agganciare le vittime. Rimanendo focalizzati sul caso di stalking però, la domanda è ovvia: perchè non registrarsi con uno pseudonimo e blindare il proprio profilo in modo risultare introvabili agli occhi del persecutore?

Senza contare il fatto che esiste una procedura per rimanere registrati eliminando la possibilità di rendere il profilo rintracciabile tramite l’opzione di ricerca. L’interpretazione che sento più logica è quella che uno dei meccanismi più morbosi, tra quelli innescati da Facebook, è il bisogno di determinare se stessi tramite la visibilità sul sito, e non se ne ha mai abbastanza. Il sasso diventa valanga quando il processo giunge a saturazione e si percepisce l’impedimento di possedere una visibilità totale – la potenziale possibilità di essere trovati da chiunque digiti il vostro nome anagrafico da qualunque parte del globo – come una limitazione della libertà personale. In funzione di ciò molte persone mantengono il proprio profilo in stato di accessibilità totale, dando cioè la possibiltà a chiunque di accedere alla totalità delle informazione che contiene. A differenza di coloro che non adottano questa filosofia (pochi per la verità) questi utenti risultano costituire una popolazione web che rifiuta la propria privacy, un gruppo di persone che deve rendere note a tutti i fatti propri, a volte anche indirizzo e recapiti telefonici. Rido di gusto quando sento invocare la privacy da chi la getta nel cestino delle immondizie come coloro che ho appena citato.

In coda alla povera analisi appena fatta pongo l’ultimo dei problemi creati da Zuckerberg (è almeno l’ultimo che mi viene in mente), la dipendenza da social network. Si diffonde infatti la vera e propria mania di passare molto tempo (ore a volte) scorrendo i profili degli amici di amici, passando in rassegna album fotografici di persone sconosciute o conosciute di vista. Il malsano passatempo causa qualche volta una riduzione della vita sociale “vera” che dovrebbe preoccupare ogni persona presente a sé stessa.

Savona non merita questa malattia, nossignore. Può sembrare retrogrado, ma l’eccessivo uniformarsi alle modernità sociali che attraversano il globo è molto pericoloso, un’abitudine in grado di spersonalizzare le semplici realtà cittadine e portare nuovi metodi di offesa personale a chi ha voglia di utilizzarli. Si dice che a Savona non succeda mai niente. Magari fosse così.

 

    Davide Frumento

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