ENTI LOCALI: QUALE DEMOCRAZIA?
ENTI LOCALI: QUALE DEMOCRAZIA.
C’E’ QUALCUNO CHE SI RICORDA?
LA CONSULTAZIONE “SIMBOLICA”(?)
PER LA PIATTAFORMA DI VADO LIGURE
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ENTI LOCALI: QUALE DEMOCRAZIA. C’E’ QUALCUNO CHE SI RICORDA?
LA CONSULTAZIONE “SIMBOLICA”(?) PER LA PIATTAFORMA DI VADO LIGURE
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La condizione miseranda in cui versa la qualità morale delle istituzioni in Italia, non può farci dimenticare l’esigenza di affrontare problemi gravi che si affacciano all’attenzione del mondo politico e della pubblica opinione, al centro di una inedita crisi economica e livello internazionale: il tema degli Enti Locali, nella sua particolarità del “federalismo fiscale” che pare rappresentare uno dei veri e propri punti di svolta della legislatura, appare di grandissima attualità considerato anche che nella primavera di questo 2011 si voterà per il rinnovo di importanti amministrazioni comunali come Torino, Milano, Napoli, Novara, Parma, Savona. |
Abbiamo così pensato di aprire una riflessione posta sul terreno della democrazia al livello degli Enti Locali, in una fase in cui, come già abbiamo riferito, giunge ad un tornante molto difficile quel lungo processo riformistico avviato dalla legge 142/90, passato attraverso la modifica del sistema elettorale con l’elezione diretta dei Sindaci (legge 81/93) e, ancora, con la modifica del titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001 (senza contare il fondamentale passaggio relativo alla revisione della struttura amministrativa, verificatosi con le leggi “Bassanini” tra il 1997 ed il 1998). La politica locale è così emersa come un campo specifico, ma non minore della politica. Sembra che, in effetti, le piccole dimensioni abbiano favorito l’innovazione, permettendo al livello locale la sperimentazione di nuove istituzioni e modelli di democrazia. Le competenze degli enti locali non sono state complessivamente limitate dallo sviluppo dei processi di globalizzazione o “europeizzazione”, che hanno anzi creato nuove occasioni per le istituzioni subnazionali, non solo a livello intermedio (attraverso il nuovo regionalismo), ma anche a livello urbano. Le culture locali si sono confermate vivaci e capaci di influenzare i processi di regolazione economica e, più in generale, lo sviluppo delle comunità. Il dibattito sul capitale sociale ha sottolineato l’importanza delle relazioni di comunità nel formare reti di fiducia e rapporti di reciprocità. Movimenti sociali, associazioni di volontariato, gruppi di pressione pubblica, comitati di cittadini, centri sociali si sono affermati come attori rilevanti di una governance urbana sempre più complessa. La politica locale appare, certamente, come un’area tutt’altro che priva di problemi. La crisi fiscale ha avuto effetti particolarmente gravi al livello locale, dove avviene prevalentemente la distribuzione dei servizi sociali, in situazioni caratterizzate da crescenti diseguaglianze economiche. Se le competenze formali sono cresciute attraverso processi di decentramento politico, regionalismo, federalizzazione, gli enti locali risentono oggi di un clima di complessivo ritiro dalla politica a vantaggio del mercato, con una crescita di diseguaglianze economiche fra aree territoriali, ma anche all’interno delle città, soprattutto di grandi dimensioni. |
Piattaforma di Vado Ligure
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Al livello locale non si sviluppa soltanto lo spirito civico, ma anche i rapporti clientelari che, si è visto bene anche in recenti episodi di cronaca “politica” (pensiamo alla “Parentopoli” romana che ha portato all’azzeramento della Giunta) appaiono ben vitali. Le statistiche elettorali registrano un declino accelerato nelle forme di partecipazione politica tradizionale, prima fra tutte la partecipazione al voto, mentre le assemblee rappresentative (consigli comunali, provinciali, regionali) vengono via, via, sempre più private delle funzioni e della capacità di controllo e di dibattito politico. |
E’ comunque ancora a livello locale che sembrano emergere le prime elaborazioni di nuovi modelli di democrazia, a partire dal dibattito sui processi decisionali. E’ stato osservato che le forme delle decisioni pubbliche possono seguire diverse logiche: una logica maggioritaria, dove la decisione viene presa in modo autoritativo, attraverso un conteggio numerico dei voti; una logica di negoziato, in cui gli attori raggiungono un accordo, attraverso un dare e avere; e una logica deliberativa, basata su una argomentazione che, partendo dalla condivisione di alcuni valori di fondo, serve a raggiungere un consenso per, diciamo così, convincimento. Mentre nei primi due casi le preferenze, o interessi, sono già dati all’inizio del processo, nel corso di un processo deliberativo le preferenze dei diversi attori cambiano: i partecipanti, infatti, appellandosi a valori comuni, costruiscono, almeno in parte, i propri interessi attraverso il dialogo. Nella discussione odierna sulla democrazia, l’indebolimento delle risorse di autorità dello Stato hanno portato a far crescere l’interesse sia per le soluzioni negoziate, che per il processo di deliberazione: si tratta di punti di discussione soltanto apparentemente teorici che, a nostro avviso, dovrebbero invece guidare il dibattito fra quanti si apprestano a partecipare alla tornata elettorale amministrativa di primavera, per fare in modo di giungere a quella scadenza disponendo dei dati di discussione concreti e non semplicemente elaborando slogan misurati su di una concezione superata dall’amministrazione pubblica, e della capacità dell’agire politico in quelle sedi. Una deliberazione pubblica di qualità richiede, comunque, l’esistenza di alcune norme condivise: un processo deliberativo è facilitato dalla condivisione degli obiettivi (ed è questo un dato di verifica preventivo molto importante nel momento in cui si formano le coalizioni raccolte attorno a determinate candidature), e dalla focalizzazione del dibattito sul modo di raggiungere questi obiettivi (un secondo passaggio fondamentale). Per questo, processi di cooperazione hanno spesso successo nei patti territoriali che riuniscono attori accomunati dall’obiettivo dello sviluppo economico; essi tendono ad escludere, però, e ad essi si oppongono attori che (come gruppi di residenti, consumatori, utenti dei servizi pubblici) hanno una diversa concezione dello sviluppo. La definizione di norme comuni è quindi un momento indispensabile, che non può essere facilmente “devoluto” al negoziato tra gli attori. E’ per questo che l’appello ai tavoli di negoziato risulta, a volte, come una concezione neoliberista in cui lo spazio per la politica, come decisione di autorità, è da limitare il più possibile, introducendo elementi di distorsione nel mercato dei gruppi, capace invece di autoregolarsi. Si tratta di una tendenza da combattere decisamente: il “mercato” si autoregola, infatti, a tutto svantaggio degli interessi più deboli, ma anche dello stesso potere politico, catturato degli interessi particolaristici: un fenomeno che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. E’ stato osservato, infatti, che la soluzione proceduralistica di governare il territorio attraverso attori, distribuendo risorse e costruendo occasioni di interazione, rinunciando a prefigurare gli esiti territoriali attesi lascia di fatto pieno spazio alle prefigurazioni offerte dagli attori più forti generalmente attori di mercato (mi sia concessa, in questo caso, una annotazione di carattere locale: tutto questo è esattamente avvenuto, nel corso degli ultimi vent’anni a Savona con il processo di deindustrializzazione e la concessione delle aree dismesse alla logica della speculazione edilizia: come si vede la logica teorica dell’analisi politica, ancorché empirica, trova sempre riscontro nella qualità dell’azione politico – amministrativa). La partecipazione alle “arene deliberative” non deve, quindi, portare ad una deresponsabilizzazione delle istituzioni pubbliche. Concludendo, le democrazie contemporanee (locali, ma non solo) devono costruire istituzioni e pratiche adeguate per evitare una manipolazione (per la gran parte già in atto) della partecipazione dei cittadini, sia attraverso un riconoscimento solo simbolico delle richieste dal basso (ad esempio attraverso una consultazione cui non seguono riconoscimenti sostanziali. Ed in Liguria sotto questo aspetto abbiamo vicende eclatanti: dalla piattaforma Maersk di Vado Ligure, alla cosiddetta “gronda” autostradale a Genova), sia attraverso il meccanismo di associazione di diversi gruppi, sia pubblici, sia privati, al processo decisionale pubblico (pensiamo al ruolo delle Autorità cosiddette indipendenti: nelle città portuali l’incidenza, ad esempio, delle Autorità Portuali è sotto questo aspetto del tutto fuori di misura sul piano della qualità dell’agire democratico). La sfida è allora il trasformare la democrazia urbana, limitando il peso delle disuguaglianze sociali nelle decisioni pubbliche. Come facilitare l’accesso agli interessi più deboli, come definire le norme comuni dalle quali la deliberazione deve partire, quali funzioni sviluppare nelle arene deliberative sono elementi fondamentali per definire la qualità della democrazia urbana. Savona, 22 Gennaio 2011 Franco Astengo |