E il Militina? C’era anche il Militina?

E il Militina?
C’era anche il Militina?

  E il Militina? C’era anche il Militina?

 “Guai se i poveracci sapessero che anche i ricchi diventano pazzi.” (Il Militina) Nel 1971 avevo un anno o forse qualche mese, in Italia vi era una forte industrializzazione, tanto lavoro e tanti impieghi per le famiglie, nelle grandi fabbriche dei grandi gruppi a partecipazione statale, nelle grandi città, soprattutto del Nord Italia. Intere famiglie si spostavano dal Sud per rifarsi una vita e a quel tempo i migranti venivano dalla Sicilia o dalla Calabria, come dalla Campania e dalla Puglia.


Non esisteva la Lega e Salvini non era nemmeno ancora in programma, ma a Torino la rossa, la gente piemontese originaria, non si faceva troppi problemi a scrivere “Non si affitta a meridionali”, che erano costretti ad andare ad abitare in periferia, in case di fortuna o scantinati, come il decaduto Conte Mascetti di “Amici miei”. Molte volte si lavavano ed andavano al gabinetto, in un unico posto comune nel cortile, come raccontato dal ragazzo della Via Gluck, Adriano Celentano, così erano trattati dai polentoni (quelli del Nord), come fossero tutti sporchi e puzzolenti, a loro veniva detto “Terun mangie el savun!”.

Salvo Randone era un attore di origine Siciliana, nativo di Siracusa, apprezzato nel teatro soprattutto, ma negli anni 70 fu interprete caratterista di numerosi personaggi in molti film, alcuni impegnati anche politicamente. La classe operaia va in paradiso, fu un simbolo all’italiana di quel mondo che oggi non c’è più, le fabbriche, quelle fabbriche hanno chiuso per sempre, o si sono spostate in altri luoghi, magari all’estero e con loro l’indotto.

Da quegli anni dove ancora il lavoro manuale era primario, ed in fabbrica si lavorava con ritmi da manicomio, Petri descrive quel mondo minuziosamente, quanto solo precedentemente fecero Charlie Chaplin in “Tempi Moderni” e Fritz Lang con “Metropolis”. Personalmente ritengo in quegli anni, anche il film “Mimì Metallurgico ferito nell’onore”, della regista Lina Wertmuller ugualmente paragonabile.


Ma, tra tutti i personaggi di queste opere, solo il Militina ha profondamente colpito la mia fantasia, sia come personaggio, sia come nome, con quel suono strano e quella etimologia ancora più ambigua, Il Militina come fosse un milite piccolo, un soldatino che come in Metropolis, va in fila buono buono in coda, al lavoro in un flusso perpetuo.

Ricordo che quando vidi la prima volta il film, “La classe operaia va in paradiso” ero in un cinema estivo con mio padre, a quel tempo ce n’erano molti, sarà stato che so, forse il 1978 ed avevo 8 anni, la pellicola era proiettata ad una festa dell’Unità, quando c’era un partito, un movimento operaio, ed un perché.

Del film di Elio Petri, l’unico nome che mi rimase impresso è quello del buon folle Militina, il suo caratteristico modo di essere ribelle, anarchico fino a forse, fingerla la pazzia, per non essere più schiavo di un sistema. Lui impazzisce di lavoro, o almeno così dice: “Ci va coraggio a non ammattire di lavoro”.


 E alla visita di Lulù al manicomio, risponde così alle interperanze dell’operaio, che gli descrive l’andazzo della fabbrica: “Lulù, è il danaro, comincia tutto di là. Ah! Noi facciamo parte dello stesso… giro. Padroni e schiavi, dello stesso giro! L’argent! I soldi! Noi diventiamo matti perché ce ne abbiamo pochi e loro diventano matti perché ce ne hanno troppi. E così, in questo inferno, su questo pianeta, pieno di… ospedali, manicomi, cimiteri, di fabbriche, di caserme, e di autobus… il cervello poco a poco… se ne scappa. Sciopera! Sciopera! Sciopera, sciopera.”


 Poi il sogno finale, che è il nesso del film stesso e raffigura un modo per fuggire dall’alienante catena di montaggio della fabbrica. Oggi non c’è più quel mondo, non ci sono più quegli uomini e nemmeno quelle donne, che, in entrambe i film, Mimì e La classe operaia, interpretava la Melato. Non ci sono più gli scioperi, non ci sono più le lotte, i ciclostili, le macchine da scrivere e le telescriventi, non ci sono più nemmeno quegli operai ed anche molti di quegli attori. Tutte quelle persone non ci sono più, come il lavoro, sostituito dalle automazioni, dai decentramenti, dai contratti di collaborazione ed i voucher, dai nuovi lavori home made, con le poltrone girevoli comode come un click al Pc.

Il Militina è la mia nostalgia di un periodo, che nessuno mi potrà mai ridare, una storia che purtroppo non potrà mai più tornare, per nessuno. Un periodo grigio ma luminoso, pieno di scontri ma equilibrato, che resterà per sempre sui libri ed in una pellicola scolorita dal tempo, ma oggi digitalizzati nella memoria futura, come nella mia mente.

Ciao papà

 Paolo Bongiovanni

  

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