Dura lex sed lex
DURA LEX SED LEX La favola della legge, dura ma uguale per tutti, non fa che subire smentite, specie quando da una parte c’è un normale cittadino e dall’altra i potenti.
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DURA LEX SED LEX |
La favola della legge, dura ma uguale per tutti, non fa che subire smentite, specie quando da una parte c’è un normale cittadino e dall’altra i potenti. In nome del popolo italiano?
Not in my name.
A seguito di una sentenza che mi ha interessato personalmente, avevo già maturato la convinzione che i giudici, alla pari di ciascuno di noi, quando devono dirimere una vertenza, partano già sbilanciati a favore di una parte. E’ insito nell’indole umana. Di lì in poi, lungo tutto l’iter della causa il giudice non fa che cercare argomenti per convalidare la sua idea iniziale, arrivando persino a trascrivere nelle motivazioni le tesi della parte da lui a priori data per vincente. Quindi, parlare di “giustizia imparziale” è un’utopia. Inoltre, schierarsi dalla parte del potente semplifica la vita, perché ci si muove nel paradigma corrente e accettato dalla società. Avversare il potente è come risalire un fiume, con sforzi moltiplicati quanto più la corrente è forte. Fatte queste generiche premesse, vengo a un caso concreto: due ordinanze del tribunale di Bolzano a proposito di una casa mutuata, che il mutuatario non era più riuscito a pagare. Chi avrà letto il mio articolo precedente…LEGGI… capirà meglio la materia del contendere. Il mutuatario aveva sostenuto che la banca, all’atto del concedere il prestito, l’aveva fatto senza attingere un solo euro dalle sue disponibilità o dai depositi dei correntisti, creando il denaro dal nulla (fiat money), ossia pigiando semplicemente dei tasti su un computer. Era quindi un prestito allo scoperto, al quale la banca non era autorizzata da nessuna legge. Nel respingere in prima istanza la sospensione della vendita all’asta, il giudice sostenne “che comunque l’Euro è una moneta non rappresentativa, per cui non è richiesto un controvalore per ogni biglietto stampato”. Con ciò egli faceva confusione tra le banconote della BCE, cui è concesso per legge tale privilegio (pur assurdo, in quanto trattasi di banca privata), e il mutuo erogato dalla banca in forma elettronica (scritturale). Per avvalorare ulteriormente la sua decisione, il giudice aggiunse: “Questa facoltà delle banche non centrali di creare ed emettere euro scritturali (girali) in assenza di qualsiasi norma di legge che conferisca loro questa facoltà, è riconosciuta in base al principio che ciò che non è proibito o riservato, è lecito.“ Se ne desume allora che, in virtù di tale supposto principio e in forza del diritto all’uguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, tutti i soggetti, e non solo le banche, sarebbero quindi abilitati a creare danaro scritturale. Le uniche creazioni dal nulla: Fiat Mundus e Fiat Money
Forse accortosi della pregnanza di tale affermazione, il giudice nella seconda ordinanza si lanciò in ulteriori affermazioni che confermavano la sua scarsa conoscenza della materia (era stato richiesto un CTU o un CTP?) e la sua ferma volontà di arrivare dove voleva, anche arrampicandosi sugli specchi. Leggiamo infatti: “In ordine alla creazione di moneta, questa ovviamente [?] si crea in quanto le banche non abbisognano dei soldi che imprestano; la creazione, peraltro, della moneta avviene sempre quando si è di fronte ad un debito di valuta che produce interessi, di modo che il rapporto debito/credito dopo un anno non è più pari alla somma imprestata, ma pari alla somma imprestata più gli interessi, e quindi già con tale piccola quanto semplice operazione si crea denaro, che è sempre una cosa virtuale.” Si noti l’inconsistenza e/o l’ovvietà di tutto il discorso: sono proprio gli interessi che obbligano a ricorrere sempre più all’accensione di nuovi prestiti, indebitando intere nazioni. Altro che “piccola quanto semplice operazione!” Tuttavia, non pago di tanto, il giudice così prosegue: “Considerato che l’art 10 TUB stabilisce che le banche esercitano la funzione bancaria -[toh!]-, di conseguenza [!?], sono autorizzate a stipulare l’attività di credito, e non è previsto che per ogni finanziamento concesso ci siano dei depositi equivalenti.” Ragionamento fuorviante e tautologico, che confonde l’esercizio dell’intermediazione mobiliare –cui la banca è autorizzata- con la creazione di denaro, che la banca effettua illecitamente (l’ha scritto nella prima ordinanza!). Ma, ritenendo di aver trovato l’assoluzione dei crediti allo scoperto -delle sole banche, al contrario del resto della popolazione- il giudice procede senza più remore ad affermare “che non sussistano gravi motivi per sospendere il processo esecutivo”, respingendo pertanto l’istanza di sospensione. Fiat voluntas legis, rectius iudicis. Ora, non è chi non veda la superficialità e la parzialità di simili giudizi, che consentono a qualcuno di operare in assenza di specifiche autorizzazioni, mentre si nega ad altri lo stesso diritto, in barba al principio di uguaglianza. Ma il primo è un potente, il secondo è un normale cittadino. Ebbene, è ancora più strabiliante leggere la risposta di Bankitalia all’interrogazione dell’on. Villarosa circa la tassazione sulla creazione di denaro bancario, sulla falsariga di un futuro referendum in Svizzera: “Circa la possibile introduzione di una nuova imposta sulla creazione di depositi (che rappresentano la quasi totalità del denaro bancario), è probabile che i maggiori costi determinati dall’imposta, pur se formalmente in capo al sistema bancario, sarebbero comunque traslati sui clienti delle banche […] In ultima analisi, sarebbe la collettività a contribuire al pagamento di parte o dell’intero ammontare dell’imposta.“ Risposta che implicitamente ammette l’attuale creazione di denaro dal nulla, esentasse. “Non paghiamo le tasse sul fiat money, ma per il vostro bene!”
Eh, certo piacerebbe a tutti gli esercenti non battere gli scontrini per non pagare le tasse e riuscire a sopravvivere; o alle imprese non pagare l’Iva o l’Ires, che si ripercuotono sugli utenti finali. Ma, a maggior ragione, le banche dovrebbero pagare le tasse sul denaro che emettono senza spese, visto che ci guadagnerebbero comunque il 72,5%; mentre i cittadini già oggi pagano l’intero 100% del denaro che le stesse erogano a debito, più gli interessi! Le banche insomma pretendono di non pagare un solo euro di tasse sul denaro che creano a costo zero; denaro che i cittadini sono poi tenuti a lavorare per restituire, gravati di interessi. Si noti l’assurdità e la protervia di tale pretesa. Non sto sostenendo la liceità dei pagamenti scritturali allo scoperto, che toglierebbero ogni valore al denaro, in stile Weimar o Zimbabwe. Sostengo invece che essi abbiano un mero intento dimostrativo, per portare a galla la perversa natura dell’attuale sistema monetario, nonché della scarsa o nulla volontà dimostrata sinora dalla magistratura (e dall’Agenzia delle Entrate, in quanto pubblico esattore) di andare alla radice del problema, che permette alle banche di non pagare le tasse sui crediti erogati dal nulla; e per arrivare, in prospettiva, al traguardo di trasferire allo Stato questo monopolio. Seguiamo il percorso del denaro elettronico, per accorgerci che l’attuale sistema non regge, anche alla logica più elementare. Dunque, facciamo due ipotesi: a) il sig. Rossi chiede un finanziamento di € 10.000: b) chiede un mutuo ipotecario di € 200.000 per acquistare un alloggio. In ambo i casi i soldi vengono accreditati sul suo conto corrente, senza dazione fisica –datio pecuniae- di moneta. a) Il sig. Rossi spende i € 10.000 lungo diverse strade: può emettere assegni o fare bonifici (pagamenti scritturali, di pari natura al prestito concessogli dalla banca), o può prelevare piccole somme volta per volta al bancomat o agli sportelli, e pagare le sue spese in contanti. Nel secondo caso ha effettivamente sottratto alla banca parte delle sue riserve di valuta legale e non avrà aggiunto moneta nuova nel circuito monetario; nel primo invece trasferirà in cascata ad altre banche il suo credito scritturale, che si sarà aggiunto alla massa monetaria pre-esistente. Nel secondo caso la banca gli avrà effettivamente prestato valuta legale, sottraendola ai suoi accantonamenti di legge (previsti dai regolamenti di Basilea 3 e 4), mentre nel primo caso nulla avrà sottratto ai suoi depositi. L’incubo delle banche: il contante
Stando alla logica, la parte prestata in banconote giustifica il suo pieno rimborso e nessuna tassa sui redditi, come in un qualsiasi prestito tra privati cittadini; quella data in forma elettronica invece, se non viene “nullificata”, è un reddito e come tale va tassato al 27,5%. È chiaro il distinguo? b) Rossi paga regolarmente le rate del mutuo, ma una malattia o l’improvvisa perdita del lavoro gli impedisce di farvi più fronte. Dopo un certo numero di rate non pagate la banca adisce le vie legali, il giudice emette sentenza esecutiva e autorizza il pignoramento della casa. La casa, divenuta proprietà della banca, è frutto del salto di qualità da eterei numeri su un PC a un bene fisico, che la banca incamera senza nulla aver attinto dal suo patrimonio; e dimostra che sin dall’atto di erogazione del mutuo, “senza che ci siano dei depositi corrispondenti” (come recita la succitata ordinanza) si tratta di un prelevamento di potere d’acquisto dalla società, di cui la banca fruisce senza aver prodotto altro che numeri e senza neppur pagare le tasse sul patrimonio fisico così acquisito gratuitamente. È una regalia alla banca da parte della società. Ma l’Italia non è per Costituzione una Repubblica fondata sul lavoro? Se questo non è arricchimento illecito ed esentasse, cos’altro lo è? Manca a sinistra il Grande Assente: la Vigilanza Statale
Ho fatto presente quanto sopra all’Agenzia delle Entrate del mio territorio (Savona) e invito quanti più possibile a fare altrettanto, onde creare nei nostri esattori la consapevolezza che, non tassando la moneta scritturale, commettono una grave omissione e un’altrettanto grave discriminazione, ai danni di tutto il popolo italiano. Marco Giacinto Pellifroni 5 marzo 2017
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