Due biblisti particolari

Excommunicated Spinoza, 1907 painting by Samuel Hirszenberg

Se si parla di ateismo ottocentesco, forse il primo nome che viene in mente per chi bazzica un po’ la filosofia, è quello di Ludwig Feuerbach.
Anche perché la sua idea di ateismo è insieme geniale e semplice.
Si sintetizza nel concetto per cui non è Dio ad aver creato l’uomo, ma l’uomo ad aver creato Dio. Un’operazione che riguarda il singolo individuo e la società, e che comporta la trasformazione del proprio vissuto relativo in termini di desideri o di bisogni, in assoluto.
Così dall’esigenza di giustizia che per gli umani avrà sempre riscontri solo parziali, si passa ad un’idea, se vogliamo alquanto platonica, di Giustizia, pura e totale. E così via per ogni cosa che umanamente è raggiungibile, quando è raggiungibile, solo in parte: la Bellezza, l’Autenticità, la Verità ( e con un ictus speciale, l’Onnipotenza e l’Eternità )… e insomma la perfezione ideale.

Certamente Feuerbach non è stato il primo a proporre un concetto simile.
Addirittura 2300 anni prima qualcosa del genere aveva già affermato Senofane. Celeberrimo il brano secondo cui “gli Etiopi credono che [gli dei] siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi [ e che ] se buoi e cavalli [ … ] avessero le mani e sapessero disegnare [ … ] i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi…”.
Ma si trattava di abbassare gli dei agli uomini: Mentre con Feuerbach il percorso è inverso, e si tratta di proiettare l’uomo in uno specchio che gli restituisca l’immagine depurata e idealizzata di sé, come avrebbe voluto vedere Dorian Gray nel ritratto del romanzo omonimo.
Si tratta di una definizione netta ed icastica nel rovesciamento di una idea consolidata come quella giudaico-cristiana; una definizione per nulla naif, ma anzi basata su tutta una serie di considerazioni nate da anni di studio e di letture, e frutto di una vita, come Feuerbach confessa, dedicata alla questione religiosa.
Niente a che vedere con l’ingenua rappresentazione pagana della umanizzazione degli dei, dei loro sentimenti di vendetta, di gelosia, di passione amorosa…
Qui si tratta di qualcosa di molto più dialettico e psicologicamente raffinato, che ha la forza di confrontarsi con le sottigliezze patristiche contro le quali i sacerdoti di Zeus e di Afrodite non poterono reggere e verso le quali invece sono largamente indirizzati gli strali del filosofo tedesco, allergico ad ogni concessione fideistica.
A costituire una tale rappresentazione e a darle sostanza deve avere notevolmente contribuito anche l’approfondimento del pensiero di Spinoza, su cui egli tenne un corso di lezioni all’Università di Erlangen, la stessa in cui poco prima si era laureato e dove aveva ottenuto la libera docenza in Filosofia.
Se l’influenza di Spinoza del “Deus sive Natura”, cioè Dio ovvero la Natura, è palesemente in forte sintomia con la feuerbachiana asserzione della filosofia di quest’ultimo per cui “Viviamo nella natura, con la natura, della natura e dovremmo tuttavia non essere derivati da essa? “, meno immediato è evincere da quale testo spinoziano Feuerbach abbia attinto.
Ebbene, ed è questa ipotesi che qui si propone, si può con un po’ di azzardo pensare che tra i testi papabili in questo senso, vi sia il “Trattato teologico-politico”.
In particolare uno speciale peso può avere avuto nel rovesciamento feuerbachiano da teologia ad antropologia il capitolo XIII di esso, laddove tra l’altro si legge:
“Non è, conseguentemente, da meravigliarsi che Dio si sia adattato alle immaginazioni e ai preconcetti dei Profeti [ … ], né deve destar meraviglia neppure il fatto che, parlando di Dio, la Scrittura si esprima in termini impropri [ … ] e che, infine, essa ci rappresenti Dio come il Giudice assiso, in cielo, in un trono, e col Cristo alla sua destra, perché la Scrittura così si esprime onde rendersi accessibile alla mentalità del volgo, ch’essa si preoccupa, non di rendere dotto, ma di ridurre all’obbedienza”.

Dopodiché non c’è da stupirsi come simili tesi, ateo-panteistiche per Feuerbach e panteistico-atee per Spinoza rispetto il Dio della Scrittura, si temesse scompaginassero e mettessero in crisi postulati dottrinari ed equilibri consolidati… Più ancora che per le cose che dicevano, perché arrivavano a dirle prendendo le mosse dalla Bibbia, di cui entrambi avevano una profonda conoscenza.

Fulvio Baldoino

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