Donne che odiano le donne

Note a fondo pagina
DONNE CHE ODIANO LE DONNE

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DONNE CHE ODIANO LE DONNE

Quando, negli anni sessanta, ero bambina e aspettavo Carosello per poi andare a dormire, c’era uno spot di una marca di olio, che faceva vedere due sagomette  femminili, Olivella sposa novella, graziosa e autocompiaciuta, e Maria Rosa, nevrotica e bruttarella. La prima era la classica perfettina, a cui tutto va bene, la seconda un’emulatrice maldestra, che cercava di copiare senza esserne capace, le imprese dell’antagonista. Così diceva la canzoncina: “invidiosa, Maria Rosa, come lei vuol far, ma non è capace e non la sa proprio imitar”. Inutile dire che l’ingrediente segreto era l’uso dell’olio pubblicizzato.

 

Lo spot rifletteva uno stereotipo, ovvero l’invidia tra donne, in quel caso da parte di una tipa sgraziata e sfigata verso una congenere come si deve, entrambe aspiranti a incarnare un cliché conformistico. Alla fine, invidia a parte, finivi per simpatizzare con la povera Maria Rosa. Se avessi potuto farle un discorso, sarebbe stato: ma smettila di correre dietro a quella borghese madonnina infilzata, e comincia a guardarti un po’ intorno, magari parti per un viaggio, che ti spalanchi la panoramica del mondo. Insomma, Maria Rosa, versione Thelma e Louise, senza Louise. Si perché in noi, bambine negli anni sessanta, qualcosa cominciava a spostarsi rispetto al mondo delle spose novelle. C’ė da scommettere, dando un’anima ai cartoni, che un ritorno di Maria Rosa dal viaggio della sua emancipazione avrebbe avuto come conseguenza un bel cambio di ruolo, con la povera Olivella, sposa ormai stagionata, nel ruolo dell’invidiosa. All’uomo vengono ascritti, in genere, altri sentimenti, come l’egoismo, l’aggressività, il narcisismo. Ma è alle donne che si attribuisce l’invidia, che si traduce poi in tentativi di mortificazione della rivale, senza nemmeno quel cameratismo che collega i maschi tra loro. Non starò ora a indagare da cosa nasca tale inclinazione antagonistica, se, come molte sostengono, dal maschilismo stesso, in una sorta di ‘divide et impera’, oppure, secondo una lettura più psicoanalitica, dal confronto irrisolto con la figura materna, o altro ancora. Resta il fatto che esiste ed ė più esperita che nominata, una misoginia femminile, che rischia di fare ancora più male di quella che viene dal mondo dei maschi.


È spesso più sotterranea e ambientale, io posso dire di averla vista agita da una dirigente scolastica verso le docenti donne, o da alcune docenti verso le studentesse. L’autore di un libro che ho presentato, mi ha detto che, a parer suo, le donne vogliono essere belle, secondo i canoni vigenti di magrezza e botulino, non tanto per piacere agli uomini, quanto per fare invidia alle altre donne. Che il maggior nemico di una donna sia un’altra donna, è cosa già orecchiata. Come minimo, chi si dà da fare in dimensione pubblica, si sentirà accusare da molte congeneri di fare la prima donna., di volersi mettere in mostra., cosa che in un uomo verrebbe ritenuta una virtù, roba da maschio alfa.  Ma non sono più i tempi di Olivella sposa novella e oggi le donne si propongono spesso in un ruolo, che in realtà non è affatto nuovo per la storia di genere, ovvero quello della ribellione.  Se dedichiamo alla cosa uno sguardo storico, ci rendiamo conto che le donne sono sempre comparse in due ruoli contrapposti e difficilmente mediabili: quello dell’obbedienza e quello dell’estrema e perseguitata disobbedienza, che ha nella caccia alle streghe il suo maggior manifesto. Le donne erano presenti nei movimenti ereticali, nelle viscere delle grandi rivoluzioni, sul selciato di Rosenstrasse, unico episodio di non cedimento al nazismo, o di Plaza de Mayo, nei movimenti resistenzialii ecc. Insomma, nelle zone del non conformismo, assumendosene tutti i rischi.

 Donne a Plaza de Mayo

E oggi, nel tempo storico post facebook natum, l’invidiosa Maria Rosa, o un’ Olivella claustrofobica, ha uno strumento di lapidazione mediatica in più verso  chi non è conforme, che rende palese quel fenomeno, le donne anti donna, che  tendeva in precedenza a essere confinato ai pettegolezzi bocca a bocca. Ascoltare quanto urlato da uomini contro due disobbedienti odierne, Carola Rackete e Greta Thumberg, è sconcertante, ma leggere post traboccanti insulti fegatosi da parte di donne, lascia senza parole. Mi chiedo cosa avrebbero scritto su  Rosa Luxemburg o Edith Piaf o Marlene Dietrich, se ci fossero stati i social. Quando ad attaccarci è un uomo, puoi contare sulla solidarietà di genere, che pure esiste intendiamoci, ma se ad attaccarci sono le donne, ci sentiamo naufraghe. E ora è arrivata anche Silvia Romano, a travolgere i cliché di una società pelosa, a cui sarebbe piaciuto che lei restasse nel ruolo di una vittima come la vogliamo, meglio se violentata, straziata, abusata, pronta per essere compatita e per confermare un manicheismo ottimi/pessimi, assai poco femminile, come pure gli anatemi scomposti della Santanchè, che non a caso si fa strada nel mondo col cognome del’ex marito. E sono le stesse donne a gridare l’unico insulto di cui sono autolesionisticamente capaci le persone dal pensiero a corta gittata: troia! puttana!  Donne che odiano le donne, quindi. Segno, questo sì, di una mancata o incompleta emancipazione. E che dire del tiro al bersaglio contro Samantha Cristofoletti o Giovanna Botteri o la ministra Bellanova? Brutte, mal vestite, mal truccate e chi più ne ha più ne metta. È stata proprio la Bellanova a rispondere che lei deve governare l’agricoltura non partecipare a miss Italia. Dico io, ma c’è bisogno di dirla una cosa così? C’è bisogno di controargomentare? In tempi passati, era toccato a Rosy Bindi essere bollata per la scarsa avvenenza, ma, ante facebook natum, ci si illudeva ancora che fossero in gioco mentalità maschili dure a morire, anche se dobbiamo ricordare che la formazione dei futuri adulti è, in famiglia e a scuola, soprattutto in mano alle donne.


Silvana de Mari e Silvia Romano

Ai tempi della Bindi, c’era Bossi, il celodurista in cannottiera, e c’era Berlusconi, ora sprofondato nella sua pietosa automortificazione fisica, che  si è permesso per anni, e ancora si permette,  battute da bar, tra cui l’epitteto ‘la culona’ affibbiato ad Angela Merkel, con le berlusquettes pronte a fargli da coro misogino. Ed ecco, ultima in ordine di tempo, la dottoressa Silvana De Mari, che, parlando delle volontarie in Africa, le definisce ‘sciacquine’. Questa è proprio da segnare: SCIACQUINE. Mi risulta nuova, anche a livello lessicale, dal momento che in passato avevo sentito dire ‘sciacquette’ nel senso, guarda caso, di puttanelle. Critichi pure, se ne ravvisa i motivi, ma come si permette di insultare? E insulta al femminile, chissà perché? I volontari maschi non sono compresi nella reprimenda? Nemmeno si prende la briga di distinguere tra cooperanti e volontarie: lei dice che lo stato non è tenuto a pagare riscatti per sciacquine in vacanza , che ‘se la vanno a cercare’ : così si dice, da parte dei peggiori, delle donne stuprate. Senza soffermarmi sul fatto che la dottoressa De Mari tira elegantemente lo sciacquone su tutti i saperi e le competenze che non sono strettamente chirurgia e ingegneria, vorrei assegnare a questa gentile signora  la targa DOD (Donne odiano  donne) 2020, da condividere con le sue altrettanto gentili follower anti-Silvia su quel mezzo che, Umberto Eco docet, ha dato la stura in modalità leoni da tastiera, agli idioti, agli idiotoni (idioti + leoni) e alle idiotesse (idiote + leonesse).

 GLORIA BARDI

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