Distrazioni guidate

Al 7 ottobre ’23 sono stati dedicati migliaia di articoli giornalistici, libri, conferenze, talk show, dibattiti, incontri, documentari etc.
Meno enfasi si è invece posta sulla strategia della comunicazione ad essi sottesa.
Eppure numerose sono le cose che al riguardo si potrebbero dire.
Una in particolare risulta di continuo messa in campo da chi, scegliendo a priori o ritenendo a posteriori di stare dalla parte di Israele, nel momento in cui si trova a corto di argomenti in una disputa, se ne serve per trarsi d’impaccio.

Questo dipende dal fatto che nonostante il 7 ottobre ( in alternativa o contestualmente agli altri due mantra utilizzati in tali frangenti “emergenziali”: Hamas e antisemitismo ) si evochi per controbilanciare le accuse di chi accusa Israele, e rendendosi tuttavia conto che la sua forza di contrasto dialettico va scemando di volta in volta perché la strage perpetrata in quella data conta tante vittime, ma ormai definite nel numero ( 1200 morti, alcuni dei quali deceduti per “fuoco amico”, e 251 rapiti ), non può giustificare la strage in continuo tragico aggiornamento di Gaza ( sembra che quando si potranno contare i morti, anche quelli non ufficiali, il rapporta sarà almeno di 1 a 100 ), si tenta di raggiungere l’obiettivo in due mosse.
Prima mossa è quella per cui si punta a indirizzare il ragionamento su un evento dato per scontato come trigger, sganciando il 7 ottobre da tutto quanto accaduto prima, ovvero dagli albori del sionismo e in particolare dalla Nakba, dalla Guerra dei Sei Giorni e dalle due Intifade.
Seconda mossa, quella per cui viene contestata la scelta di parlare sempre e solo di quel che di orrendo succede nella Striscia di Gaza senza ricordare mai ciò che di orrendo è accaduto al Nova Festival e in alcuni kibbuz due anni fa.

Ecco, la contestazione forse più frequente trattando dell’argomento del conflitto israelo-palestinese è proprio questa: “Del 7 ottobre non parla più nessuno!”, “Vi siete dimenticati del 7 ottobre!”, “E il 7 ottobre? Dove lo mettiamo!?” e frasi similari, diverse nella forma ma equivalenti nel contenuto, con le quali affermando che non ne parla più nessuno, e affermandolo almeno dal novembre ’23, se ne parla sempre, come facilmente si può constatare acquisendo la registrazione delle varie trasmissioni televisive o recuperando i vari articoli giornalistici sull’argomento.

Questa tecnica puntualmente costringe l’interlocutore a interrompere la concatenazione del suo ragionamento per fermarsi a spiegare che non è vero che del 7 ottobre non tiene conto, col risultato che di nuovo inevitabilmente ne parla.
E’ per questo che i più accorti per reagire alla falsa obiezione, come contromisura “mettono le mani avanti” e si affidano a premesse del tipo: “Ferma restando la condanna per quanto commesso da Hamas il 7 ottobre…”, dopodiché, ormai così autotutelati, continuano a dire ciò che avevano previsto di dire, lasciando tuttavia un certo dubbio nell’ascoltatore su quanto tale premessa sia sincera o sia un modo affinché il ragionamento abbia un inizio e una fine senza essere deviato, o frammentato, o indebolito.
Che poi sia entrambe le cose, e cioè risulti una tecnica che permetta di essere consequenziali e di esserlo sinceramente, è quello che tutti dovrebbero augurarsi.

Certo, rispetto alle enormi questioni politiche ed etiche sollevate dal 7 ottobre, evidenziare strategie retoriche può sembrare riduttivo e quasi lezioso.
In realtà in un’ epoca mass-mediatica qual è la nostra, l’abilità nel gestire il linguaggio è un’arma potentissima; più potente, a volte, delle armi propriamente dette, ed è perciò che le va dato spazio.

Ecco, Israele nonostante continui da anni, giorno dopo giorno, a rosicchiare nella apatia e acquiescenza generale dell’Occidente la terra in Cisgiordania espandendo gli insediamenti, e il mare a Gaza limitando sempre di più ai gazawi la navigazione ( per giunta di piccole barche da pesca ) nello specchio d’acqua antistante la Striscia ( specchio d’acqua ricchissimo, guarda caso, di giacimenti di gas nel sottosuolo…), ha confezionato una narrazione con la quale unitamente ai suoi sodali di qua e di là dall’Atlantico, riesce nel paradosso di protestare per la supposta dimenticanza della strage da lui subìta il 7 ottobre, e insieme a dimenticarsi e spesso a far dimenticare stragi come quelle di Sabra e Chatila e di Deir Yassin.
Infatti se si chiede alla gente cosa esse siano, su Sabra e Chatila sanno rispondere in pochi, e su Deir Yassin, nessuno.

Fulvio Baldoino

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