Disconosciuti sguardi (Seconda parte)
Uno dei temi ricorrenti negli aforismi di Fulvio Baldoino è quello leopardiano della sofferenza “ontologica” di tutti gli esseri viventi, siano essi uomini, animali o piante. Nel leggere lo sconsolato aforisma sulla crudeltà della Natura, che troviamo alle pp. 12-13, vengono alla mente i grandi Idilli del Poeta dove la Natura da presunta madre si è rivelata matrigna ingannatrice: “O natura, o natura, / perché non rendi poi / quel che prometti allor? Perché di tanto / inganni i figli tuoi?”; “Ma perché dare al sole, / perché reggere in vita / chi poi di quella consolar convenga? / Se la vita è sventura / perché da noi si dura?”; e ancora: “Posa per sempre. Assai / palpitasti. Non val cosa nessuna / i moti tuoi, né di sospiri è degna / la terra. Amaro e noia / la vita, altro mai nulla, e fango è il mondo.”
E in una famosa nota dello Zibaldone leggiamo: “Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi…”. Nel Dialogo della Natura e di un Islandese la Natura in persona parla e spiega all’Islandese che le ha chiesto perché non elimina tanta inutile sofferenza dal mondo, come funziona l’universo: “Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che mancasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento”. Ecco spiegata la necessità della sofferenza nel mondo: senza distruzione non sarebbe possibile nemmeno la produzione. Detto altrimenti: la morte è necessaria alla vita, tanto che una vita senza morte non sarebbe più vita, o meglio, non sarebbe più vita umana.
A questo punto si aprono le grandi ed eterne domande sulla vita oltre la vita e sull’esistenza di un Essere di cui non si può pensare niente di più grande, di un Essere infinito creatore di tutti gli enti finiti, del quale possiamo solo immaginare l’esistenza contemplando, per esempio, il cielo stellato e i vari aspetti della Natura, tra cui, appunto, gli animali. Sennonché vediamo anche che il regno degli animali è governato dalla legge del più forte e che i più deboli soccombono, tanto che, scrive Baldoino “non possiamo non chiederci se il creato non sia anche un reato, data l’essenza estremamente crudele della Natura. Ovviamente di reato non si può, in senso stretto, parlare; perché se la Natura è stata creata da Dio, dovrebbe voler dire che è giusto quello che a noi pare ingiusto. Oppure non vi è nessun Dio Sommo Bene, ma una forza più o meno consapevole che fa e disfa indipendentemente da ogni nostro senso morale. In questa accezione il mondo animale nega l’esistenza di Dio. O Dio va al di là del bene e del male, travolgendo ogni nostra idea di morale, oppure proprio non è.”
Per gli animali, infatti, non si può parlare né di reati né di peccati: se uccidono lo fanno per necessità; per loro la colpa non esiste, agiscono secondo l’istinto della loro…natura, e non si può accusare la Natura di essere quello che è. “Il Dio Sommo Bene, cioè la versione che ne dà la chiesa dopo essere andata oltre il puro testo letterale della Bibbia, se si osserva il mondo animale, un mondo il dolore del quale non si può addebitare a un qualche frutto di un qualche albero proibito, è inammissibile. Quello che l’uomo ha creato col mito, è dunque un tentativo di spiegazione della precaria e faticosa situazione umana, che può ingannare solo fino a quando non si prenda coscienza che il mondo animale non è sostanzialmente diverso, e la lotta per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, porta alla stessa fatica, allo stesso dolore”.
Certamente anche gli animali soffrono e provano sentimenti, basti pensare alle affettuosità dei cani e dei gatti, dei criceti e dei cavalli, per non parlare dei delfini e delle scimmie antropomorfe. O alla “Capra” di Umberto Saba. “L’esistenza è di per sé crudele – osserva l’Autore – non ha bisogno di peccati per diventarlo. Da sempre rapaci volano cercando se nel prato le macchie che si muovono non siano cuccioli di lepre, da sempre l’individuo malato che rallenta la marcia del branco viene abbandonato alla sua sorte”. E’ la legge della giungla. Chi l’ha scritta? Dio? La Natura? Il Diavolo? E l’animale uomo come si comporta riguardo agli altri animali? Possiamo capirlo meglio leggendo l’aforisma a pag. 19: “Il trattamento riservato agli animali dagli uomini, rispecchia quello che gli uomini di potere riservano agli uomini che di potere sono privi. Ovviamente vi sono molte gradazioni anche nel sopruso, ma il modello nella sostanza è questo. Se non siamo in grado di trovare parole e azioni per difendere gli animali inermi, allo stesso modo non saremo in grado di trovare parole e azioni affinché il diseredato, il solo, il mentalmente ritardato, il povero, non si ritrovi in balìa di chi vuole approfittare di una tale situazione di svantaggio. E’ pur vero che questa è una considerazione antropocentrica che bada all’interesse dell’uomo, ma è meglio di niente. Se infatti si riuscisse a capirla e a tenerla praticamente in conto, si farebbe un gran passo in avanti. Un passo che nell’intenzione verrebbe fatto per garantire una parte degli uomini, ma che, come effetto, avrebbe la sua ricaduta anche sugli animali”.
Baldoino giustamente, anche per controbilanciare lo strapotere esercitato finora dall’uomo sugli animali, si mette dalla loro parte, ma, data la comune appartenenza allo stesso regno, essere dalla parte degli animali non significa essere contro l’uomo. Il giorno in cui ci renderemo conto che non siamo i padroni dell’universo forse comincerà una nuova storia del mondo, quindi anche dell’animale uomo: “Noi, che a denti stretti accettiamo di appartenere al terzo regno, quello animale, ma ne vorremmo un quarto tutto nostro che ci distinguesse e perciò aristocraticizzasse, in realtà siamo rispetto all’uomo di domani, se ci sarà un uomo domani degno di domani, come la bertuccia rispetto a noi: scimmie”. Come sarà l’uomo di domani ancora non lo sappiamo. Sappiamo però per certo che siamo una specie a rischio di estinzione se non troveremo la cura adatta per le pandemie prossime venture e per le annunciate catastrofi ambientali.
FULVIO SGUERSO