Diritti, garanzie e libertà sostanziali nelle democrazie sotto l’egida del dollaro (o dell’euro).
Un approccio teorico o “filosofico” alla democrazia non serve a nulla e non è nelle mie intenzioni. Neppure mi voglio avventurare in un excursus storico sul concetto di democrazia o sulle forme di governo e di partecipazione che si sono succedute attraverso i secoli. Ci tengo solo a puntualizzare che il termine è in sé equivoco sia sotto il profilo della denotazione, vale a dire di ciò che indica, sia sotto quello della connotazione, vale a dire dell’investimento emozionale e dei riferimenti valoriali. Infatti in entrambi i casi il suo significato è storicamente determinato e viziato da presupposti non formulati e rimane in buona sostanza vago e allusivo. E più se ne tenta una definizione più il concetto diventa inservibile, fuorviante e arbitrario perché la corrispondenza con la realtà fattuale si riduce progressivamente a zero. Per restituirgli senso e utilità occorre rinunciare a un ente che gli corrisponda e sostituirlo con un insieme di variabili: non una sostanza ma una molteplicità di attributi. Ovviamente la gerarchia di tali attributi rimane discrezionale e giustifica l’ambiguità denotativa e connotativa del concetto.
Sicuramente il primo e fondamentale attributo è il voto popolare: prima dell’avvento del suffragio universale non ha senso parlare di democrazia. Ci sono stati nel corso della nostra storia buoni governi e cattivi governi, alcuni solleciti del bene comune altri piegati all’interesse di una parte ma nella migliore ipotesi si può parlare di paternalismo non di democrazia. Se lo Stato non è di tutti ma di una parte o di uno solo – come in una monarchia assoluta – è diritto dei sudditi nel loro complesso rovesciare il sovrano e nel caso di in un regime rappresentativo nel quale una parte della popolazione è esclusa dal voto quella parte è legittimata alla rivolta.
D’altro canto se ci si ferma al suffragio universale e, di conseguenza, al potere della maggioranza si corre il rischio che le minoranze vengano emarginate e/o costrette a uniformarsi e siccome i migliori sono per definizione una minoranza la loro voce non solo viene trascurata ma addirittura soffocata. Si decide a maggioranza all’interno di un gruppo di pari e su questioni per le quali non esiste una specifica competenza: due condizioni che non sussistono quando si tratta del governo di una nazione o di una nave, per ricorrere ad un accostamento caro agli antichi. Ecco allora che intervengono dei postulati che giustificano il passaggio all’organizzazione sociale da un’ipotetica condizione presociale: la tutela della sicurezza e della proprietà privata, la delega della vendetta privata ad una autorità pubblica super partes, la normazione delle transazioni interne e esterne alla società; una volta che questi siano soddisfatti intervengono il riconoscimento della pari dignità e dell’equa distribuzione della sovranità fra tutti i membri della comunità e tutta una serie di corollari che vanno dalla libertà di esprimere la propria opinione alla trasparenza nella gestione dei beni pubblici.
E allora mi chiedo: quale dignità è riconosciuta alla persona e quanta parte di sovranità le è consentito di esercitare in un Paese in cui mentre percorri un’autostrada o per un controllo di routine o perché hai una fanalino spento una macchina della polizia ti insegue, ti costringe a fermarti, ti si parano davanti due scherani armati che ti fanno scendere con le mani alzate e se appena le abbassi perché hai un colpo di tosse ti costringono a sdraiarti, ti salgono sopra premendoti la schiena col ginocchio impedendoti di respirare? In quel Paese vige la democrazia o la replica della più trucida tirannide medioevale? Se poi queste cose ti capitano solo se hai la pelle nera, peggio ancora, vuol dire che in quel Paese non si è ancora metabolizzata la fine dello schiavismo e si è convinti che esistano razze inferiori, più prossime alle scimmie che al genere umano. Ma non è necessario ricorrere a questi estremi che ci vengono dall’ altra sponda dell’atlantico: da noi è considerato normale che la polizia stradale non si limiti a controllare la patente di chi guida e il libretto di circolazione ma che pretenda i documenti dai passeggeri e se ti risenti perché non tolleri che ti si controlli se non hai commesso alcun reato rischi di essere ammanettato e portato forzatamente in un commissariato. Così intesa e realizzata l’organizzazione sociale sminuisce e umilia l’individuo invece di garantirlo nella sua peculiarità e nella sua centralità grazie alle leggi, ai giudici e alle forze dell’ordine.
Già, i giudici. Non c’è bisogno di scomodare la democrazia per pretendere da loro indipendenza e imparzialità: quale che sia la base su cui poggia la legittimità del governante l’indipendenza e l’imparzialità del giudice nell’applicazione della legge ineriscono l’essenza stessa del giudicare. I regimi autoritari o autocratici sono spesso accusati di violarla; e le cosiddette democrazie? Non mi pare che almeno per questo riguardo ci siano significative differenze fra gli stati islamici, la Corea del nord o le “democrazie occidentali”. Il fatto stesso che la magistratura sia organizzata urta contro la solitudine del giudice e se anche solo una parte della magistratura esercitasse un ruolo politico o fosse uno strumento di una parte politica non avrebbe senso parlare di democrazia o di Stato di diritto (ogni riferimento alla pagina oscura di tangentopoli e alla persecuzione di Berlusconi è intenzionale).
Sotto ogni aspetto la vicenda Trump è un caso di scuola di incompatibilità con la democrazia, comunque la si intenda. Sembra appartenere più a un regime militare, tipo la Grecia dei colonnelli o il Cile di Pinochet. Immaginiamo la cagnara della stampa occidentale tutta e nostra in particolare se una faccenda del genere fosse accaduta in Russia. E, a proposito di Russia, dopo l’attentato ucraino alla figlia di Dugin una bomba ha fatto saltare in aria un giornalista russo particolarmente inviso agli ucraini, o, meglio, al governo ucraino. È stata arrestata una donna, rea confessa di aver consegnato alla vittima una statuetta piena di tritolo. La donna viene trattenuta e interrogata secondo le procedute fissate nel codice, è difesa da un avvocato e quando saranno formalizzati i capi di accusa si andrà a processo. In America al processo non ci sarebbe mai arrivata, sarebbe già morta. Dove sta di casa la democrazia? La ragazza, pare una giornalista, è stata torturata, deportata in Siberia, rinchiusa in un carcere duro del genere del nostro 41 bis? non risulta, niente di tutto questo. Se qualcuno sa qualcosa di diverso ci informi.
Ma invece di guardare in casa d’altri vediamo cosa succede dalle nostre parti, all’ombra della “costituzione più bella del mondo, nata dalla resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo”. Succede che per contenere un’epidemia difficile da fronteggiare anche per l’impreparazione della “sanità migliore del mondo” i cittadini vengono chiusi in casa per mesi (così si infettano meglio), i familiari degli anziani ospiti delle Rsa sono privati di ogni contatto con i loro congiunti dei quali riescono ad avere notizia a tumulazione avvenuta, i guariti (e di conseguenza immuni e sicuramente non contagiosi) se non si iniettano il vaccino una, due, tre e, se non lo avessero impedito gli elettori, quattro volte (tanto per smaltire i vaccini accumulati nei magazzini) non possono andare a lavorare né accedere ai pubblici esercizi; e bocca chiusa a chi tenta di sollevare qualche timida obiezione. E se, come accaduto a Trieste, cittadini esasperati scendono in piazza per una protesta assolutamente pacifica, botte, idranti e gas lacrimogeni da una polizia in assetto antisommossa. Partiti, sindacati, media non rifiatano. In Cina, notoriamente culla di libertà e di rispetto per i cittadini-sudditi, non hanno saputo fare di peggio.
Ma quella del covid era solo la prova generale. L’osservatore alieno delle miserie terrestri, dopo aver assistito alla follia delle due guerre mondiali e alla tensione fra l’occidente libero e il comunismo liberticida, al crollo dell’Urss avrebbe tirato un sospiro di sollievo e brindato al ritorno della santa madre Russia nel suo alveo europeo. Fine del dualismo, della logorante guerra fredda, la Germania ritrova la sua unità, tutti riannodano i fili col loro passato. No davvero. Si scopre che per gli Usa era molto meglio avere a che fare con la banda che si era installata al Cremlino nel 1917 e che gli aveva consentito di egemonizzare indisturbata l’Europa e il mondo, si scopre che fra i compagni e Wall Street i rapporti non erano poi così cattivi e che il ritorno allo statu quo privo di steccati ideologici è stata una iattura. E nel 1991 prima si è provato a banchettare sulle spoglie dell’impero sovietico poi invece di smobilitare un’alleanza diventata inutile la si rinforza e si dà inizio ad un assedio e a una serie di punzecchiature contro l’orso russo. Che, con una decisione impeccabile, si riprende la Crimea, regalata dal compagno Krusciov ai compagni di Kiev, la capitale di uno stato bolscevico ritagliato sul territorio russo dai bolscevichi di Mosca. Niente da eccepire sull’autodeterminazione delle popolazioni di lingua e tradizione ucraina; ma che c’entra la Crimea? Non c’è solo l’assurdità di un cadeau fra compagni trattando le persone come “anime” – krepostnoy -, oggetti; la storia, la lingua, la volontà popolare non valgono improvvisamente più nulla. E qualche opinionista fuori di testa sostiene che il mondo libero avrebbe dovuto intervenire già nel 2014 per impedire che si compisse il misfatto del ritorno della Crimea alla madre patria invece di limitarsi a flebili proteste e inutili sanzioni. Ma non c’è solo la Crimea. L’Ucraina disegnata da Lenin non è per niente omogenea: non solo i parlanti ucraini si mescolano con russofoni ma intere oblast sono russe fino alle midolla e si adattano alla sovranità di Kiev finché viene rispettata la loro lingua, la loro storia, la loro cultura e la loro contiguità, fatta anche di legami familiari, con la Russia. Il colpo di Stato (c’entra qualcosa la Cia?) che rovescia il governo liberamente eletto di Yanukovic, impegnato a rispettare gli impegni presi a Minsk nel 1991, che prevedevano la neutralità del Paese, il rispetto dell’autonomia delle regioni russofone e il riconoscimento del russo come lingua ufficiale regionale, apre la strada a un regime filoamericano supportato da gruppi neonazisti eredi dei massacratori di ebrei durante l’occupazione tedesca e intenzionati ad operare la pulizia etnica nel Donbass, che reagisce con la proclamazione dell’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Luhansk. Da allora, siamo nel 2014, l’Ue, la Nato, il governo americano assistono imperterriti al tiro al bersaglio contro i secessionisti, sordi alle proteste dei russi che dopo l’ultima provocazione del ventilato ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica danno il via alla loro operazione militare speciale per la difesa del Donbass. Questi i fatti, incontrovertibili. Per Mario Draghi la mossa di Putin – resa obbligata dalle provocazioni della Nato e di Zelensky – è un attentato alla nostra libertà e alla nostra democrazia – sono le sue parole testuali – alle quali non si può non reagire. In un Paese normale – cito D’Alema – una reazione ci sarebbe stata sì ma alle sue parole e il superbancario sarebbe stato sepolto da una gigantesca risata. Ma un Paese normale non è teleguidato e il nostro è una marionetta i cui fili sono tirati a Washington. Una marionetta complessa, una sorta di caricatura del Grande Leviatano evocato da Hobbes in cui niente e nessuno fra quelli che detengono porzioni anche minime di potere è in grado di muoversi autonomamente.
E allora altro che risata in risposta alle deliranti affermazioni di Draghi (a essere non dico cinici ma realisti e senza entrare nel merito: cosa ci incastriamo noi con un conflitto regionale a migliaia di Km di distanza?): tutti i partiti, tutti i giornali, tutte le televisioni e tutto il coro di maîtres à penser gli hanno fatto eco e siamo arrivati agli ineffabili Meloni e Crosetto: avanti tutta con armi, soldi, addestramento e al primo fischio via alla Folgore, ai bersaglieri, agli alpini e magari si vedrà che le nostre due portaerei servono a qualcosa. E l’opposizione? Non c’è opposizione, sono tutti d’accordo (non mi si dica che quella di Conte è un’opposizione). Sarebbe orribile se questo unanimismo rispecchiasse l’unanimismo del Paese ma per fortuna non è così: la stragrande maggioranza degli italiani nonostante il bombardamento mediatico, i fotomontaggi e le spudorate falsità è assolutamente contraria al coinvolgimento dell’Italia nella guerra, alle sanzioni alla Russia, all’invio di armi e, che dio ce ne scampi, di uomini; e molti di loro, quelli che si sono presi la briga di informarsi sulla storia e le cause del conflitto, sanno che i russi hanno ragione non al cento ma al duecento per cento e non se la prendono se gli viene dato del putinianesimo. E chi, nella politica, nella stampa, fra i pensatori di professione rappresenta quella maggioranza (o foss’anche una minoranza)? Nessuno. Quella maggioranza e, ripeto, fosse pure minoranza, nel Paese con la “costituzione più bella del mondo” non ha voce, come non aveva voce al tempo del covid e del vaccino. E se una parte, fosse pure minoritaria, dei cittadini non ha voce, non ha rappresentanza, è in una condizione di marginalità, si può ancora parlare di democrazia? Ma oggi, in Italia, non è una minoranza né una maggioranza ma sono gli italiani tutti a non essere rappresentati: il partito storico della sinistra, il Pci diventato nel tempo Pds, Ds, Pd è ora il partito dell’utero in affitto, delle famiglie arcobaleno, della lobby LGBT, mille miglia lontano dai problemi reali di lavoratori e pensionati; la destra, o centrodestra che sia, ha tradito su tutti i fronti il suo elettorato: ha accantonato o ridotto in burletta la riforma fiscale, dopo aver promesso il blocco navale è riuscita a fare entrare in pochi mesi trentamila clandestini e si prepara ad accoglierne centinaia di migliaia, doveva essere sovranista e la premier prima di soffiarsi il naso chiede il permesso all’Europa, doveva restituire all’Italia il posto che le compete in Europa e nel mondo e si consola con l’asse con la Spagna (!) mentre Macron con al seguito la von der Leyen va a Pechino per fare affari e parlare di pace; e invece di affrontare il problema del peso degli stranieri che ha distrutto lo stato sociale se la prende col reddito di cittadinanza. E poi la guerra: gli italiani non ne vogliono sapere ma governo e opposizione fanno a gara nel sostenere l’Ucraina con una foga che fa sembrare Stoltenberg una persona equilibrata. Qualcuno dovrebbe spiegarci in che senso e sotto quale aspetto l’Italia è una democrazia.
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Ancora una volta hai colpito nel segno: non siamo una democrazia, ma un’oligarchia a staffetta tra varie fazioni, che ne escludono, con muri di gomma o cemento, a seconda dei casi, la totalità della popolazione, chiamata a scegliere, ogni quinquennio, tra una fazione oligarchica e l’altra. Non c’è una decisione politica, a prescindere da chi governa, che tenga conto degli interessi della nazione, anziché del consenso di Washington. Con la guerra in Ucraina e l’immigrazione selvaggia hanno dato il peggio di sé, spacciando la prima come difesa della nostra libertà (!) e la seconda come opzione (confessa o indichiarata, a seconda del colore di chi governa) per sopperire al calo demografico, dovuto proprio all’incertezza che l’importazione del neoliberismo finanziario di Wall Street ha radicato nelle famiglie italiane, legali o di fatto. Basti solo pensare che in Francia è condiserato limite minimo di sopravvivenza una pensione di € 1.200/mese: il doppio che in Italia. Un’ottica che si riflette nel mondo del lavoro, oberato da tasse e contributi tali da far trionfare precariato e lavoro nero. E senza prospettive, come si fa a progettare una famiglia con tanto di prole? Niente paura, ci pensano trafficanti e scafisti a colmare le culle vuote
Caro Giacinto cosa ti vuoi aspettare quando quotidianamente non i compagni ma Guzzanti e Sansonetti sulle reti mediaset ripetono la bufala che di quelli che sbarcano illegalmente in Italia solo il 10% vi rimane perché il 90% si dirige in Francia e Germania. Mentono sapendo di mentireperché se per entrare in Italia le porte sono spalancate uscirne è praticamente impossibile e chi rocambolescamente ci riesce se acciuffato ci viene prontamente restituito. Ma in ogni regime che si rispetti una menzogna, per quanto clamorosa, a forza di essere ripetuta diventa verità.
E’ esattamente quanto ho scritto io di recente. In altri termini, l’Italia è come un lago, con un immissario, ma senza emissario. Nessuno vuole questo fiume di gente, buona sola per bassa manovalanza e con propositi egemonici nel medio-lungo periodo. Quindi, ai lati il mare, a Nord le Alpi, ben sigillate da Francia, Svizzera, Austria e Croazia (quest’ultima come una valvola a senso unico verso l’Italia). Chi arriva è condannato a restarci; e, non appena si insedia l’oligarchia di sinistra, subito regolarizzano tutti in massa: sono risorse, perbacco. Non che la destra faccia nulla di meglio, d’altro canto. E’ brava solo a parole; non riesce neppure a interdire alla Guardia Costiera di andare a fare “salvataggi” in zone SAR maltesi e libiche