Di alberi, di differenze, di un mondo sempre più…

Di alberi, di differenze,
di un mondo sempre più isterico

Di alberi, di differenze,
di un mondo sempre più isterico

 Il mondo di Facebook è un’ottima cartina al tornasole della situazione in cui viviamo. Tanti lati positivi, per allacciare, riallacciare, mantenere contatti, diffondere e ricevere informazioni, ma anche negativi. A un certo punto ci perdi ore vuote, senza accorgertene, e non concludi niente, e sottrai tempo ad altre attività più proficue e salutari. Alla fine è un gorgo che ti prende, e l’inutile deborda, straborda, soffoca l’utile e anche lo svago. 


 E poi la sofferenza, lo stillicidio, lo spiare conversazioni altrui che ti mettono a disagio.

Non che io cerchi solo chi la pensa come me.  Anzi, troppo consenso, troppa unanimità, troppa propaganda mi annoiano pure. La cosa più difficile credo sia separare l’emotività, l’adesione alle proprie idee, dalla logica.  Spesso ho letto e apprezzato commenti di persone con cui non ero d’accordo per niente, o solo in minima parte, ma che mi permettevano di apprezzare un punto di vista comunque coerente, anche se diverso dal mio.  Ho letto critiche dall’esterno al M5* magari anche molto severe, ma fondate e argomentate, e dunque sempre utili a capire, per chi non si ritiene un “fan”.  Mentre ho letto purtroppo altrettanto spesso commenti di chi in teoria proveniva da una forma mentis molto simile alla mia, persone con le quali avevo condiviso battaglie e tratti di percorso, persone ragionevoli e miti, che di colpo si trasformavano in belve schiumanti, in tori di fronte alla muleta, in serpenti schizzanti veleno, in solenni Torquemada dal dito ammonitore puntato, quando appena si nominava il M5*.

La sociologia del futuro ci spiegherà il perché di tutto questo, anche se molte ragioni sono intuibili, dalla propaganda avversa martellante, alla frustrazione per come è ridotta la propria parte politica, ormai indifendibile, e quindi desiderio di trascinare tutti nella fanghiglia, a una sorta di invidia, da parte di chi sia rimasto sempre minoritario. O semplicemente antipatia istintiva che non fa ragionare.  Ovviamente con la presunzione di buona fede che non si nega ad alcuno.

Questa premessa e questo tipo di considerazioni mi sono venute in mente riguardo un paio di avvenimenti di questi giorni, che si prestano benissimo a dimostrare la confusione imperante, i nervi a fior di pelle di tutti noi, il presumere a prescindere, la facilità con cui nella foga si buttano all’aria anni di stima e di amicizia reciproca, senza separare la persona dalle idee che rappresenta.


Il primo, gli alberi a Milano. Devo spiegare, per far capire, come ho affrontato la questione.

In sintesi: leggo i titoli, vedo la foto di palme e banani in piazza Duomo, in tutta coscienza lo ritengo un pasticcio estetico che non valorizza, ma deturpa, una sorta di sfregio da mentalità superficiale, una cosa negativa, un utilizzo sbagliato del verde, che per me non dovrebbe mai essere considerato alla stregua di oggetto, di arredo urbano come una panchina, ma sempre utilizzato considerando che si tratta di una entità vivente.  In soldoni: se pianti un albero, non lo fai tanto per fare o per sprecare i soldi di un appalto o per un decoro momentaneo. Lo fai perché quell’albero lì ci sta bene, perché è adatto, perché vuoi curarlo e farlo crescere.  Invece spesso assistiamo (l’altra volta parlavo di ineducazione ambientale) a piante trascurate, piantumate male, non innaffiate regolarmente.  A potature deliranti e fuori stagione. A vandalismi idioti.

In sostanza, leggo di una petizione di milanesi che chiede di togliere quelle piante, ritengo che abbiano ragione, e anche per il bene delle piante stesse, per salvarle espiantandole subito, firmo.  Change.org mi mette la notifica su Facebook.

Apriti cielo!  Chi mi dice che sono scemenze inutili.  Amici milanesi offesi e sulla difensiva che difendono l’installazione, che la buttano in politica, che mi dicono di non impicciarmi di Milano e come mi permetto. Chi fa ironia sulle palme immigrate, chi trepida per le povere piantine.

Mi dicono che si tratta di uno sponsor privato. Quando scopro, io ingenua, trattarsi di Starbucks, da una parte la mia fiera anima no global è ancora più rafforzata nel proposito, ancor più convinta dello sfregio da cultura commerciale.

Poi la cosa degenera. Tra i molti contrari alle palme leggo commenti idioti tipo voglion far sentire a loro agio gli immigrati, stanno africanizzando Milano.  Allora quelli di sinistra colgono subito la palla al balzo per ironizzare e dare dei dementi agli anti palme.  Poi sento di manifestazioni di Casa Pound con banane. Poi leggo i deliri di Salvini.  Poi forse per alcuni sarei in qualche modo complice degli stupidi che hanno dato fuoco. Mentre è proprio il contrario, appunto perché temevo il peggio volevo salvare le palme.


Ecco, finisco confusa in questa canea, quando i miei scopi erano ben diversi.  Con un pensiero di apprensione rivolto ai poveri pini di corso Tardy e Benech che rischiano di subire una vera e propria barbarie, un supplizio lento, poco alla volta, eh…  si dice che si vogliono salvare, si comincia con il taglio di radici, sperando che muoiano e levino il pensiero. Oppure si dirà che sono pericolanti, e certo, se gli seghi le radici… Saranno sostituiti magari da innocue e incongrue pianticine da giardinetto, o da alberi che ci metteranno decenni ad apportare un minimo contributo di filtraggio dell’aria.  Come è già accaduto per i bellissimi pini davanti alla sede della CGIL di via Boito, qui area privata e non pubblica ma comunque con necessità di chiedere permesso per agire, che davano fastidio ai parcheggi e per questo sono stati condannati a morte rapidamente senza processo e senza che nessuno li difendesse, sostituiti da spelacchiate piantine in vaso.  A dimostrazione che la follia non ha colori.  A dimostrazione che presto, se continuiamo così, dovremo abituarci a respirare qualcosa di diverso dall’ossigeno.


 
Non che comunque il polverone su Milano mi turbi o mi spinga a ritrattare: non baratto il mio pensiero libero con la necessità di schierarsi di qui o di lì. Non l’ho mai fatto.

Del resto, milioni di italiani se ne sono giustamente fregati del fatto che Casa Pound facesse propaganda per il NO all’ultimo referendum, e han votato NO lo stesso. E meno male.

È una mania tutta di sinistra questa di schierare, di etichettare, per contrapporre e allontanare e sminuire. Mantenuta anche da chi sinistra non lo è più da un pezzo. O sei con noi, quelli che comunque sono dalla parte della ragione a prescindere, o sei, a piacere: un razzista, un fascista, un maschilista, un complottista, un antiscientista, e pure un ignorante, rozzo, superficiale e bufalaro, giusto per togliermi dagli “ista”. Eccetera.

Stucchevole e fastidioso modo di ragionare, del quale francamente si inizia ad averne abbastanza, e lo dice una che in massima parte condivide certe idee.  Comodo alibi per adagiarsi in ragionamenti preconfezionati e non avere bisogno d’altro. Che ha portato a errori di valutazione e presunzione enormi, e propiziato le peggiori sconfitte storiche.

Un po’ di umiltà. Ascoltare le ragioni in sé, prima di etichettare.  Perché questa divisione aprioristica in buoni e cattivi, questo scandalizzarsi di default, non porta, purtroppo, a eliminare i problemi e i disagi spesso concreti che sono alla base di certi atteggiamenti intolleranti, ma solo ad accentuarli e a favorire i peggiori sviluppi.

Stessa cosa con la protesta dei tassisti.  Attacchi a Grillo e Raggi, ecco, avete visto, ve lo dicevamo che erano fascisti, ora avete le prove, si sa che i tassinari di Roma son fascisti e loro li appoggiano. Dunque vale la proprietà transitiva. Poi anche il Sindaco Doria prende posizione, lui molto più nettamente pro tassisti e anti Uber, e niente, per lui nessuna accusa perché è di sinistra.

 

 Così ansiosi, così in agguato questi personaggi per trovare, finalmente, e definitivamente, le famose “prove” che convincano qualsiasi elettore perbene a non mescolarsi con noi. Meglio Verdini, dai. Meglio De Luca. Vuoi mettere.

Dimenticandosi che la potente categoria dei tassisti è stata sempre blandita dai sindaci romani in carica, e non solo di centro destra.  Dimenticandosi di guardare le ragioni, le ragioni o i torti dietro la protesta, le situazioni incancrenite che si nascondono dietro la Bolkenstein e altre norme europee, l’incapacità dei nostri governi di difenderci e chiedere distinguo legati al nazionale, al contrario di altri governi che sanno farsi le loro ragioni e ottenere in sede decisionale europea. Noi no: noi prima lasciamo che la legge passi, disinteressandoci dei dettami europei, poi protestiamo a posteriori, proponiamo improbabili deroghe, facciamo i furbi, facciamo pagare multe ai cittadini, e quando proprio non se ne può più, tentiamo di rimediare con emendamenti frettolosi e pasticciati.

Mentre un vero e articolato ddl sulla concorrenza è affossato, probabilmente per veti incrociati e problemi di equilibri governativi, dallo scorso agosto alla Camera.

Quindi non si tratta di essere pro o contro tassisti, pro o contro Uber: si tratta di fare le cose con criterio, senza prendere in giro.

Seconda cosa, che mi ha imbestialito ancora di più, in alcuni commenti: tutti a inorridire per la protesta, a denunciare vere o presunte violenze, a lamentare i disagi per i cittadini.

Ecco, lungi da me istigare alla violenza, sono sempre stata una pacifista convinta e lo rimango, ma tutta questa gente che crede di essere di sinistra, affogando in una brodaglia politically correct da sala del tè della duchessa, e che inorridisce per le proteste, di sinistra dimostra di non esserlo per niente.


Perché tutti i nostri diritti, tutto quel poco che rimane di dignità dei lavoratori, di democrazia, di sociale e di libertà individuali, è stato conquistato attraverso lunghe e dolorose proteste. Perché niente si ottiene senza lottare. Perché la nostra acquiescenza è l’arma migliore del sopruso.

Perché un corteo, uno sciopero, di per sé, DEVE causare profondi disagi, e chi li subisce deve rendersi conto che lo fa anche per lui, anche se non sembra. Perché una protesta, pur pacifica e non violenta, DEVE essere decisa, senza sconti, tenace, e mostrare di non cedere.  Condizione minima, necessaria e non sufficiente per impensierire appena la controparte.

Certo, ci sono scioperi egoisti, corporativi, cattivi, altri pilotati addirittura a volte dai padroni stessi contro chi difende l’ambiente o per ottenere sussidi a fondo perduto. Certo alle manifestazioni ci sono irresponsabili, violenti, provocatori e infiltrati, ma se pensiamo di buttare via il bambino con l’acqua sporca, avremo perso un altro pezzetto irrinunciabile dei nostri diritti. Avremo legittimato qualsiasi uso improprio o eccessivo della repressione e applaudito a qualche testa rotta.

E non è forse fascismo, in definitiva, questo? Non si finisce per ricadere negli opposti?

Per uscire dalla logica delle tifoserie basterebbe un po’ più di apertura mentale. 

Lo dimostra l’esempio succitato di Casa Pound e referendum costituzionale.

Se per caso personaggi vituperati dicono o fanno qualcosa che penso anch’io, questo NON significa che io la pensi come loro su altre questioni, NON significa che io li approvi e NON significa neppure che loro lo dicano o facciano per lo stesso motivo per cui lo farei io.

Un no global e un protezionista, per esempio,  possono entrambi volere un controllo dei mercati, una qualche forma di dazio, ma NON partono necessariamente dallo stesso punto di vista.

Condannare in toto una posizione o un argomento solo perché, almeno a parole, o comunque all’apparenza, a un ragionamento del tutto superficiale, coincide con quella espressa da qualcuno che detestiamo o consideriamo fascista, NON fa necessariamente un fascista di chi la esprime. Soprattutto perché difficilmente i termini e le frasi usati son gli stessi.

Quindi, superficialità due volte, recidiva, nel non notarlo.

Ecco. Cominciare a fare questo libero esercizio mentale, aiuterebbe. Aiuterebbe a sgamare il gioco di quei poteri che non vogliono l’unione di chi li avversa, ma la divisione in fronti contrapposti, che li aiuta a perpetuarsi. ­­­­


Forse un pochino c’è da sperarci, ogni volta che la propaganda chiassosa e lo sdegno supercilioso (e peloso) falliscono l’obiettivo.  A me consolano notizie come questa, che dimostrano un certo risveglio di coscienza e la fine del “monopolio di opinione”, ossia, se la pensi come me va bene, se no sei brutto e cattivo.

 http://www.lastampa.it/2017/02/25/italia/cronache/no-al-mercato-selvaggio-a-sorpresa-gli-italiani-danno-ragione-ai-tassisti-f0svERf3nlB4tHRp12FViL/pagina.html

E con questa speranza vi lascio. 

   Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

 

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