DAZI COME BAZOOKA

In questo periodo bis-trumpiano la parola dazio è tornata di prepotenza agli onori (o disonori) della cronaca. Cerchiamo innanzitutto di definire meglio la parola, rimandando chi fosse interessato all’approfondito articolo dell’Enciclopedia Treccani, che parte dalle sue origini storiche. [VEDI]

Milano 1902. Sulla destra i due edifici del casello daziario. Un documento rimasto a ricordo di un mondo totalmente scomparso.

Se guardiamo al volume di merci che arrivano alle dogane annesse a porti e aeroporti, constatiamo quanto profondamente sia cambiato il mondo. Tuttavia, i dazi provocheranno una contrazione degli attuali volumi e il ritorno a procedure doganali che pensavamo retaggio di un mondo scomparso

Dunque, la distinzione principale da fare è tra dazi interni ed esterni, con i primi che vigevano a livello locale e che oggi non si applicano più; e i secondi, più propriamente dogane, che riguardano transazioni internazionali, applicandosi a merci di provenienza estera.

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Le finalità dei due dazi sono perlopiù diverse: il dazio locale aveva prevalentemente fini di cassa per i Comuni; la dogana ha soprattutto fini protettivi delle produzioni nazionali da concorrenti esterni. Oltre alle tariffe doganali, ci sono altri mezzi di auto-difesa da mosse esterne ostili: contingentamento o blocco totale all’esportazione di materiali di valore strategico interno o dai quali i possibili nemici sono in parte dipendenti (v. ad es. le terre rare); agevolazioni finanziarie, fino a veri e propri aiuti di Stato a fondo perduto, a imprese di rilevanza nazionale, onde rendere i loro prodotti più appetibili sui mercati internazionali e deprimere la concorrenza.
Con l’imporsi della globalizzazione, a partire dagli anni ’90, le dogane, al pari dei dazi locali, furono considerate come un relitto del passato: fu un esempio eclatante di prevalenza di un’ideologia sulla sua fattibilità pratica, sorvolando beatamente sulle profonde differenze che contrassegnano i 193 Stati del mondo. Infatti, si condannò la defunta ideologia comunista, sostituendola però con quella neo-liberista, diametralmente opposta, consentendo a merci e persone di circolare liberamente nel mondo senza più controllo alcuno, nella convinzione che fosse la base per un progressivo e diffuso benessere. In effetti, a livello ideale, non si può immaginare niente di più desiderabile.

I dazi, negli intenti originari, valgono come “avvertimenti” alternativi alla guerra, quando si crede di dominare il mondo militarmente, ossia tecnologicamente. L’annuncio cinese di DeepSeek, specializzato nell’AI, ha però rovesciato la sicumera americana in vero e proprio panico, testimoniato dalla pesante caduta in Borsa di tutti i titoli tecnologici USA: in due giorni quasi $ 1 trilione (poi rientrato). Il rapporto dei costi di produzione e training DeepSeek vs AI è di 5 a 100. Quanti dazi bisognerebbe applicare per sventarne l’importazione? Solo Wall Street potrebbe far tornare Trump sui suoi passi…

In Europa, oltre alla demolizione delle frontiere, si procedette temerariamente all’unificazione delle monete nell’euro. Ma il cozzo con la realtà non poteva essere più traumatico. Infatti, negli ultimi anni abbiamo assistito allo sbriciolamento dell’ideologia globalista, con l’avanzata delle destre, che l’avevano sempre avversata. E oggi, con l’elezione di Trump alla Casa Bianca, è in programma un tumultuoso riavvolgimento della pellicola verso gli anni ’30 del ‘900, quando l’Italia ne rappresentò l’emblema, con politiche protezioniste spinte all’estremo, a causa delle sanzioni, fino ad un’economia autarchica.
Ebbene, nel giro di un ventennio, sembra che ci stiamo avviando, a livello mondiale, verso una replica dell’Europa degli anni ’30, bersaglio di sanzioni e frontiere chiuse. Del resto, anche la nazione simbolo per eccellenza della democrazia, sta allineandosi alle odierne autocrazie orientali, nonché a quelle del deprecato Ventennio, con Trump che ha assommato in sé gran parte delle leve del potere e sta usando il machete per tagliare tutti i lacci che ne ostacolano le manovre, mentre ha posto al suo fianco uno sponsor come Elon Musk, peraltro scaduto da genio indiscusso in campo tecnologico e industriale a personaggio inviso per i suoi atteggiamenti istrionici e la totale mancanza di diplomazia. [VEDI] A conferma, la caduta verticale delle vendite di Tesla, attribuibile in buona parte allo stesso Musk, lo costringerà a distogliersi dalla politica e a dedicarsi appieno ai suoi deludenti affari aziendali se vorrà conservare il titolo di primo trilionario mondiale.
Non appena insediatosi, Trump ha firmato un centinato di ordini esecutivi allineati alla sua diversa visione del mondo, con la priorità assegnata proprio ai dazi, usati, più ancora che come misure protettive delle produzioni nazionali, che pure ne sono la finalità ultima, come minacce immediate verso gran parte delle altre nazioni, per piegarle alla vacillante egemonia americana in una esasperata guerra commerciale (trade war).

Campioni di terre rare, oggi elementi insostituibili di tanti prodotti tecnologici di largo consumo e per usi militari. Per l’80% sono appannaggio della Cina, che, limitandone l’esportazione, le usa come mezzi di controllo e dipendenza su gran parte delle nazioni avanzate, al pari di altri minerali strategici (tra cui quelli di cobalto, tungsteno e antimonio). [VEDI e VEDI] Più che rare, queste terre sono disperse sul globo in basse concentrazioni, con alcune aeree del pianeta, come la Cina, in cui sono più concentrate

Tanto per cominciare, Trump se l’è presa, a sorpresa, più con i suoi pacifici vicini (Mexico e Canada) minacciando di erigere una barriera daziale del 25% sui loro prodotti, che con il vero nemico: la Cina, penalizzata con un inferiore 10%. La reazione cinese è stata immediata: dazi al 15%, blocco delle importazioni in Cina di merci USA per $ 640 miliardi, e divieto di esportazione di 25 metalli rari, di cui la Cina è quasi monopolista.
Se Trump e il suo staff avevano pensato che usare le minacce avrebbe ammansito i suoi vicini, abituati ad essere considerati figure ancillari della potenza contigua, hanno invece sbagliati i calcoli, viste le loro reazioni spiazzanti, anche se prevedibili. Oltre a reciprocare l’entità delle dogane, il Canada ha voluto mostrare ancor più i muscoli, minacciando a sua volta di tagliare le forniture energetiche (petrolio, gas ed elettricità) al suo borioso vicino. È pur vero che l’elettricità fornita dal Canada agli USA rappresenta un minuscolo 1-2%, ma a soffrirne sarebbero i suoi Stati di confine, come Minnesota, Wisconsin, Michigan, New York, che ne dipendono per almeno il 25%. Pensiamo solo all’immane consumo di energia elettrica della città di New York, che dipende per ¼ dalla provincia canadese dell’Ontario.

Il Primo Ministro canadese Justin Trudeau ha risposto alle minacce daziali di Donald Trump con identiche misure di ritorsione: il 25% su centinaia di prodotti e blocco delle forniture elettriche ed energetiche. Per queste ultime, ha subito trovato un nuovo sbocco: la Cina [VEDI]

Un’altra conseguenza di un trade war contro l’intero mondo è stata quella di favorire le coalizioni dei Paesi colpiti contro il comune nemico e addirittura il loro riavvicinamento al Grande Nemico degli USA: la Cina, mentre si stanno delineando nuove ed inedite alleanze, o meglio coalizioni anti-USA, tra cui un’inedita UE-Canada. Del resto, lo strapotere del dollaro aveva già spinto parecchie nazioni, in numero crescente, a coalizzarsi nei BRICS, nel tentativo di creare un sistema finanziario alternativo, basando gli scambi sulle principali valute dei suoi membri, yuan/renmimbi in primis. Obiettivo ultimo: la de-dollarizzazione (dollar ditch).
A questo proposito, Trump non ha usato mezzi termini: contro le nazioni che tenteranno di scavalcare il dollaro nelle loro transazioni si applicherà un dazio del 100%. Gli USA di Trump assomigliano a quelle signore che non si arrendono all’avanzata degli anni e ricorrono ad ogni mezzo, spesso peggiorativo, per nasconderlo e illudersi che nulla sia cambiato. Mentre il mondo non è mai stato percorso dal tumultuoso riassestamento geopolitico cui stiamo assistendo. E non è affatto scontato che gli USA ne usciranno vincitori, come accadde dopo le due guerre mondiali.

La voce grossa di Trump verso mezzo mondo sta accelerando l’adesione di sempre nuovi Stati nei BRICS, ormai al 55% della popolazione mondiale, nonché l’esplorazione di nuove alleanze, come quella, sino a ieri sotto tono, tra UE e Canada [VEDI]

In passato, a tentare il dollar ditch erano state dapprima l’Iraq di Saddam Hussein e a seguire la Libia di Gheddafi. Sappiamo il prezzo che hanno dovuto pagare. Ma un conto è colpire nazioni singole ed enormemente meno militarizzate, un altro è fare il bis con un gruppo compatto di nazioni che includono dei colossi intoccabili, se non al prezzo di conflitti devastanti, quali Russia, Cina e India, che dei BRICS sono le punte di diamante.
L’obiettivo dichiarato di Trump per implementare il suo MAGA (Make America Great Again) è, oltre a quanto già accennato, quello di spingere le imprese che avevano delocalizzato, a tornare in patria e dare lavoro agli americani. “È l’unico modo per evitare le dogane e non perdere il grande mercato americano”. Trump ha usato gli stessi stimoli per convincere il Canada a confluire negli USA, diventandone il 51° Stato. Ciò, dopo aver proposto di acquistarlo, come fatto a suo tempo con l’Alaska, ma minacciando l’intervento armato in caso di riluttanza: la politica del bastone e della carota.

Alle tonanti parole di Trump, la China di Xi Jinping risponde in silenzio coi fatti; ultimo il DeepSeek. Inoltre, negli anni in cui è stata la “fabbrica del mondo”, grazie al signoraggio interno, lo Stato ha accumulato un enorme surplus commerciale, che sta usando per espandere la sua potenza, domestica (investimenti stellari nella ricerca tecnologica) ed estera (investimenti ciclopici in infrastrutture, v. il progetto Belt and Road, per espandere la sua influenza in Asia e verso l’Europa tramite trasporti stradali e ferroviari anziché marittimi , rendendo le sue merci ancora più concorrenziali) [VEDI

Il motto “il lavoro torni in America” è stata una frase ad effetto, ma non so quanto convincente, stante le perduranti forbici tra le condizioni di lavoro negli USA e altrove. Per essere competitivi bisogna: 1) vantare più raffinate tecnologie, a garanzia di una maggiore produttività; 2) esportare i propri prodotti a prezzi inferiori a quelli dei Paesi di destinazione. Sul primo punto, la Cina sta dimostrando di essere almeno un passo più avanti: vedi lo smacco DeepSeek vs ChatGPT in materia di AI. Sul secondo punto, mi riesce difficile immaginare prezzi di mercato globale dalle industrie americane, nonostante l’abbandono di utopici green deal. E non basteranno i dazi a convincere le tante aziende delocalizzate a tornare in patria, se non tagliando a sangue il personale e le retribuzioni: una prospettiva non in linea con la Great America vagheggiata da Trump, che peraltro nella sua carriera ha sempre lesinato il centesimo. Per sfuggire a entrambi i punti suindicati non c’è che un modo: chiudersi a riccio in un novello isolazionismo, puntando sulla estesa autosufficienza materiale degli USA: un’anacronistica autarchia, limitando all’osso l’import-export.
L’unica conseguenza certa della guerra dei dazi è quella di una generalizzata povertà, anche a casa di chi l’ha scatenata, nella convinzione dell’esatto contrario. È elementare intuire che, se tutti alzano i prezzi in virtù dei dazi protettivi, nessuno ne resterà esente, e a pagare saranno soprattutto i ceti medio-bassi, ossia la maggioranza dei cittadini. Per non parlare del probabile sfocio in una guerra annichilente.

Lo spirito affaristico prevale in Trump su quello politico. Dopo aver congelato gli aiuti all’Ucraina per 3 mesi, facendo un enorme favore a Putin, adesso si dichiara pronto a continuarli solo se, anziché a fondo perduto, gli aiuti venissero ripagati dall’estrazione in Ucraina delle terre rare negate dalla Cina

Trump è, in prima istanza, un businessman, che dà un prezzo ad ogni cosa e poi tenta di concludere un deal a suo principale vantaggio dopo estenuanti trattative. Anche questa raffica di dazi potrebbe rivelarsi il bluff di un abile giocatore di poker, che prima le spara grosse per destabilizzare gli avversari e poi sedere attorno a un tavolo per trattare in posizioni di forza. Tuttavia, alcune decisioni da parte di nazioni colpite sono già state prese (con giubilo della Cina), e non è detto che debbano essere rimangiate se cambiano gli umori di Trump.
Per quanto riguarda la guerra Russia-Ucraina, la prima mossa di Trump è stato il congelamento delle generose forniture di armi e soldi elargite dal suo predecessore, Joe Biden a fondo perduto, sostituendole con l’offerta di $ 300 miliardi in cambio di terre rare ed altri minerali strategici come incentivo per risollevare le malconce finanze di Kiev.
Merita osservare, circa la tendenza di Trump a trasferire in politica la sua mentalità imprenditoriale, che accumulò la sua ricchezza, pur con vistosi alti e bassi, come palazzinaro d’alto rango e proprietario-tenutario di casinò, con una vita sempre sul filo di rasoio, come testimoniano le sue numerose cause civili e penali; ed è suo convincimento che tutto possa ridursi a merce di scambio, anche in politica, ponendo il mondo all’asta.   

Marco Giacinto Pellifroni     9 febbraio 2025

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One thought on “DAZI COME BAZOOKA”

  1. Ottima analisi. Della situazione sarebbe interessante conoscere il suo parere sul comportamento dell’Europa verso Trump . Cina e Canada si sono ribellati, l’Europa invece tace facendo come al solito la comprimaria. Intanto Trump cerca di prendersi le terre rare dell’Ucraina

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