Dallo stato etico alle stragi di Stato

DALLO STATO ETICO ALLE STRAGI DI STATO

DALLO STATO ETICO ALLE STRAGI DI STATO

Thomas Hobbes

Secondo il maggior teorico dello Stato moderno, il filosofo materialista inglese Thomas Hobbes (1588 – 1679), se noi esseri umani fossimo rimasti nel nostro originario stato naturale di animali non “politici”, come ci ha definito Aristotele, ma selvaggi prepolitici (non certo antipolitici, dal momento che non esisteva ancora nessuna polis, quindi nessun ordinamento riconosciuto da tutti – o quasi – i cittadini, da aborrire in nome del proprio sacro particulare) oggi noi non staremmo qui a disquisire o a polemizzare sulla politica o sull’etica (e lasciamo ora da parte l’estetica, se non altro per buon gusto), per il semplice motivo che saremmo scomparsi dalla faccia della terra, come una specie estinta, a causa della nostra feroce bellicosità (bellum omnium contra omnes), rivolta contro noi stessi, in balia della legge della giungla, in cui, come è noto, domina l’arbitrio del più forte e del più abile a raggirare il prossimo.
Di qui, per Hobbes, la necessità di stipulare un contratto con il quale i soggetti contraenti rinunciano ai loro diritti arbitrari per salvarsi dalla distruzione reciproca, devolvendo i loro poteri individuali – salvo quello della sopravvivenza – a un potere unico e sovrano, lo Stato, appunto, cui spetta il monopolio del diritto e della forza, quasi una divinità terrestre, o un mostro biblico come il Leviatano, di cui si dice nel libro di Giobbe che “ Niente sulla terra è paragonabile a lui”. Si può quindi capire perché in questo Stato assoluto l’unico legislatore sia il sovrano, il quale, proprio per questo suo potere, è legibus solutus.

 

Una simile concezione non poteva passare indenne attraverso la critica degli illuministi e alle rivoluzioni di fine Settecento, in America e soprattutto in Francia, tanto che persino la Restaurazione messa in atto dai sovrani europei dopo il Congresso di Vienna fu obbligata dalle mutate condizioni storiche a porre dei limiti al potere assoluto vigente nell’Ancien Régime, e le monarchie divennero costituzionali. Nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto (1821) G. W. F. Hegel considera l’uomo dal punto di vista del sistema sociale in cui si trova a vivere: e l’insieme dei rapporti che legano gli individui tra loro è lo “spirito oggettivo”, che si articola dialetticamente nei momenti del diritto privato, della moralità astratta e dell’eticità. Quest’ultima è concretamente vissuta all’interno delle istituzioni in cui si svolge la vita umana: la sfera dell’eticità (se è veramente tale) supera il conflitto tra spirito soggettivo e oggettivo, tra dovere astratto e sua messa in opera, tra intenzione individuale e legge, la volontà del singolo non contrasta – o non dovrebbe – con le richieste della famiglia, della società civile con il suo sistema economico, giudiziario, corporativo e poliziesco e, infine, dello Stato in cui solamente, secondo Hegel, il singolo individuo può, anzi deve, realizzare pienamente la sua libertà. Lo spirito oggettivo culmina quindi nello Stato, definito etico in quanto “è la realtà della volontà sostanziale, che esso ha nell’autocoscienza particolare, elevata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé.

Quest’unità sostanziale è fine a se stessa, fine assoluto, immoto, nel quale la libertà giunge al diritto supremo, così come questo scopo finale ha il più alto diritto, di fronte ai singoli, il cui dovere supremo è di essere componenti dello Stato.” E’ qui delineata – l’attento e avvertito lettore se ne sarà già reso conto – la giusticazione teorica dei sistemi totalitari che hanno tragicamente segnato la prima metà del secolo scorso.

Non per niente tra i principi fondamentali e qualificanti della nostra vigente Costituzione, oltre alla sovranità popolare, troviamo il riconoscimento e la garanzia dei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….” (Art. 2). La legge fondamentale ci dice , quindi, che il nostro è uno Stato democratico e liberale, definito “di diritto” in quanto, oltre a indicare i doveri, tutela – o dovrebbe tutelare – i diritti dei singoli cittadini e controlla la legittimità costituzionale della legislazione ordinaria.

Eppure non tutti e non sempre i cives nostri concittadini hanno rispettato e rispettano questi principi giuridici fondamentali; purtroppo gli esempi degenerativi non mancano, così in alto come in basso; e bisogna pur riconoscere che lo Stato è percepito da non pochi cittadini come un’entità lontana e quasi nemica, come apparato burocratico macchinoso e spesso inefficiente quando non vessatorio, e, quel che è più grave, non di rado severo con i deboli e tollerante, troppo tollerante con i potenti. Il principio fondamentale dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è stato troppe volte aggirato o violato, e gli smaccati privilegi di cui gode la classe politica nel suo insieme stridono troppo con le condizioni di vita del cittadino comune per non diffondere un senso di sfiducia e disaffezione nei confronti delle stesse istituzioni democratiche ( il crescente astensionismo elettorale ne è un sintomo inequivocabile). Come se tutto questo non bastasse, il clima che dovrebbe caratterizzare una pacifica e civile convivenza – pur nella diversità e nei contrasti delle opinioni e dei legittimi interessi presenti in una società aperta, pluralista e, ormai, anche multietnica – tra appartenenti a una stessa comunità nazionale risulta perturbato e avvelenato dalla strisciante, mai dichiarata ma sempre in atto, guerra civile che la criminalità organizzata e apparati deviati dello Stato portano avanti contro lo Stato democratico e costituzionale, fin dai tempi del generale De Lorenzo e del “Piano Solo”. La strategia della tensione inaugurata con la strage di Piazza Fontana, a Milano, non può dirsi ancora oggi del tutto archiviata; e non lo è perché troppi sono ancora i misteri e gli “impedimenti” che depistano le indagini di procuratori e forze dell’ordine, che a rischio della vita compiono il loro dovere di fedeli servitori dello Stato, e che si trovano a dover indagare a volte su colleghi al servizio di altre “entità” non meglio precisate, ma che di sicuro non amano le istituzioni repubblicane a cui hanno pur giurato fedeltà. E’ come se ci trovassimo in presenza di un doppio Stato: uno legittimo, in chiaro, costituzionale, e l’altro occulto, colluso con Cosa nostra, eversivo e stragista. L’uccisione del generale Dalla Chiesa, il primo attentato fallito al giudice Falcone, gli attentati terroristici del ’92 e del ’93, se non erano contro lo Stato democratico contro chi erano? Inoltre, se si considera la grave situazione economico-finanziaria di quegli anni (ma ora ci risiamo), e il mutato quadro internazionale con la caduta del muro di Berlino e con l’implosione dell’Unione Sovietica che rendeva di colpo obsoleti gli apparati di sicurezza impiegati sul fronte orientale, e la dissoluzione del sistema partitico della prima Repubblica sotto i colpi di tangentopoli, sistema che si reggeva, come è stato dimostrato, sul malaffare e sul “pericolo comunista”, anche al di là delle “rivelazioni” di Massimo Ciancimino, non sembra inverosimile che “entità” non meglio identificate temessero il cambiamento del quadro di riferimento politico che fino ad allora aveva favorito i loro traffici e coperto le loro trame. “Chi sa parli”, ha tuonato l’Elefante del Foglio, “produca delle prove, e, se non ne ha, sia esposto al ludibrio delle genti”.

 

Peccato che a tanti, che erano sul punto di parlare, sia stata chiusa la bocca per sempre.

 Fulvio Sguerso

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