Dalla parte della Meloni. Per una volta

Dalla parte della Meloni. Per una volta
Ma la magistratura è un falso obbiettivo

Sono convitto che il governo Meloni sia il peggiore di quanti si sono succeduti dall’Unità ad oggi.  Il peggiore non solo o non tanto perché espressione di una maggioranza incoerente, somma di tre partiti ciascuno dei quali ha tradito il proprio elettorato ma per la singolare personalità politica e umana di chi lo guida  e per il sistematico ricorso alla manipolazione della realtà. Dico personalità singolare per riferirmi alla sua inafferrabilità, al suo cangiare come uno caleidoscopio, con l’unica costante di una disarmante assenza di umiltà.

La signora Meloni per farsi accettare si ispira al principio del “sono come tu mi vuoi”; è di volta in volta centralista e autonomista, bellicista e pacifista, sovranista e europeista, fan di Kamala e di Donald, fautrice dell’integrazione e dell’espulsione, innamorata di Zelensky ma pronta a tradirlo,  contraria e favorevole alle politiche gender;  la sua è una politica sociale a favore degli ultimi, del ceto medio e soprattutto dei banchieri, è la paladina dei pensionati e li mette al riparo dall’inflazione con cinque euro al mese, lotta contro i privilegi  ma raddoppia le prebende ai sindaci.  La signora Meloni confida nel potere magico della parola. Il suo governo si barcamena nella cronaca spicciola ma lei un giorno sì e l’altro pure dichiara urbi et orbi che sta facendo la storia, il suo governo è escluso dai tavoli che contano,  perfino la Polonia ha più peso dell’Italia ma lei è convinta di guidare l’esecutivo più forte del continente e mentre si è infilata in uncul de sac dà ad intendere che mezza Europa guarda con invidia al suo modello Albania per risolvere il problema dell’immigrazione illegale (id est l’invasione, come la chiameranno nei manuali scolastici in un futuro non troppo lontano). I suoi scagnozzi dichiarano trionfalisticamente che la pressione fiscale è diminuita ma col gioco delle tre carte della revisione delle aliquote e delle addizionali contribuenti non hanno avuto in più nemmeno un centesimo. Intanto il ministro Crosetto ha resuscitato il Sordi di “Fin che c’è guerra c’è speranza” mentre il resto della produzione industriale italiana va a farsi benedire.

Per carità di patria mi fermo qui, anche se non posso esimermi dal notare che l’erede di Almirante si accoda ai più ottusi e disinformati cultori della metafisica antifascista quando sostiene che il fascismo è stato complice dell’Olocausto. Dovrebbe sapere che gli ebrei francesi per sfuggire alla caccia dei tedeschi e dei collaborazionisti di Vichy riparavano nella Francia controllata dall’Italia (fascista) e che nei seicento giorni della Rsi checché ne dica Nicola Tranfaglia le autorità fasciste – per non dire dello stesso Mussolini – si adoperarono per contrastare l’applicazione rigida di provvedimenti imposti dai comandi germanici. Negli anni in cui la follia antiebraica raggiunse il suo acmè, in Italia non c’è traccia dell’odio collettivo contro gli ebrei  di cui dette prova il resto dell’Europa. E questo lo dico non perché l’ho letto nelle pagine di De Felice ma per l’esperienza della mia famiglia d’origine in una terra che ospitava la più numerosa, più ricca e più colta comunità ebraica.  Già allora, seppure in modi più attenuati rispetto all’Olanda, alla, Polonia, alla  ex Cecoslovacchia (dove ora gli ebrei sono solo nei cimiteri) o all’Ucraina di Bandera, un sentimento antiebraico era sì presente anche in Italia ma non era affatto una prerogativa del Fascio o dei fascisti: era radicato fra i ceti popolari sia rossi che neri, è sopravvissuto all’interno della sinistra comunista  e ha trovato il modo di esprimersi liberamente col pretesto della causa palestinese. E la signora Meloni, come tutti i politici italiani, piuttosto che compiacere l’opinione pubblica europea e dare dimostrazione di masochismo nazionale  dalla Shoah dovrebbe imparare a guardare ciò che si annida nel presente e adoperarsi per impedire che si ripetano in forme nuove gli orrori del passato.

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Ma se la realtà fattuale è una variabile indipendente (vedi l’economia che va a gonfie vele, l’occupazione record, gli sbarchi ridotti del settanta per cento) figuriamoci la verità storica.

Non sorprende che la metà degli elettori italiani sia disgustata dalla politica e diserti le urne.  E sono facile profeta se prevedo che sic stantibus rebus alle prossime consultazioni i votanti saranno una minoranza e si dovrà recitare il De Profundis della democrazia.

Però ora che la signora Meloni e due suoi “autorevoli” ministri sono entrati nel mirino della magistratura mi trovo costretto a prenderne le difese.  Lei e il suo governo si sono adoperati per sottrarre  alla giustizia ungherese un’attivista rossa autrice di una spedizione punitiva a Budapest per pestare i partecipanti ad un convegno. Lei e il suo governo si sono resi responsabili di un’operazione opaca  per ottenere il rilascio di una cronista  che pensava di poter impunemente imbastire un video ostile al governo di Teheran sotto gli occhi dei pasdaran,  che non hanno gradito.  In tutti e due i casi il governo ha agito fuori dagli schemi del diritto facendo valere le sue prerogative  e nessuno ha trovato niente da ridire, anche se in un caso si è pestato un piede all’amico americano. Poi però capita che un personaggio importante nel marasma politico libico di passaggio in Italia venga colpito da un mandato di cattura emesso dalla corte dell’Aia. Eseguirlo avrebbe compromesso la posizione dell’Italia nella gara per accaparrarsi commesse e petrolio della nostra ex colonia. Giustamente  quel mandato non viene eseguito e un volo di Stato riporta al sicuro a casa sua il ricercato. I magistrati, che non avevano trovato niente di disdicevole nella liberazione dell’uomo dei droni, niente di disdicevole nella interferenza nella giustizia di un Paese al quale ci lega un’alleanza militare e la comune appartenenza all’Ue, ora ravvisano un’ipotesi di reato e inviano un avviso di iscrizione nel registro degli indagati alla signora  Meloni e a due membri del suo governo (saltando allegramente il tribunale dei ministri). Potrei dire che la Meloni se l’è cercata con le sue improvvide e goffe giustificazioni, delle quali un governo serio non avrebbe avuto bisogno. Di fronte alla ragion di Stato non c’è giudice che tenga: semmai  in un Paese “normale” il giudice che si  avventurasse a contrastarla rischierebbe qualcosa di molto più grave della semplice radiazione dall’ordine giudiziario. Ma considerare serio il nostro governo è un ossimoro.  Si dirà: dura lex sed lex, l’azione penale è obbligatoria. Una sciocchezza che non tiene conto del filtro che viene esercitato nel caso di segnalazione di un reato.

Il fatto è che non c’è in Italia un problema di conflitto fra magistratura e politica e l’idea di una magistratura politicizzata che si muove motu proprio eternando la vicenda (tutta da chiarire) di “Mani pulite” è una colossale bufala. Ci sono, anche per le smagliature nei concorsi, magistrati succubi della sinistra, e in particolare del Pci-Pds. Ds- Pd, nel quale la componente antinazionale  è particolarmente forte. Mascherata da europeismo, sotto la bandiera dell’antifascismo è animata da un furore antitaliano pari a quello dei preti dopo la breccia di porta Pia. Ha i suoi centri nei salotti di Bruxelles e newyorkesi, smania di sostituire la carenza di giovani italiani con sangue fresco africano e pur di danneggiare l’Italia sorvola su femminicidi, discriminazione, intolleranza e violenza maschile;  di fronte all’Islam accantona il suo laicismo e a differenza degli anarchici il cui sentimento antipatriottico era giustificato dall’utopia di una patria universale è assolutamente priva di ogni riferimento valoriale. L’utopia della patria universale dei proletari è sostituita da quella della patria universale dei nuovi Kalòi kagathòi, i buoni, giusti, illuminati, fuor di metafora parassiti e privilegiati.

Pierfranco Lisorini

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