Dalla crisi di Cuba alla crisi Iran-Israele: il ritorno della paura nucleare tra propaganda e ipocrisia occidentale, la nuova Guerra Fredda senza diplomazia, religione e finzioni democratiche

Dalla crisi di Cuba alla crisi Iran-Israele: il ritorno della paura nucleare tra propaganda e ipocrisia occidentale, la nuova Guerra Fredda senza diplomazia, religione e finzioni democratiche

di Paolo Bongiovanni

Gli eventi delle ultime 24 ore hanno segnato un nuovo punto di rottura nel conflitto tra Israele e Iran.
Dopo una lunga serie di tensioni, dichiarazioni e operazioni mirate, Israele ha lanciato un attacco diretto contro basi iraniane, accompagnato – ancora una volta – da richiami espliciti ai testi biblici da parte del primo ministro Netanyahu.
La storia, si dice, non si ripete mai uguale, ma spesso fa rima. Il confronto tra la crisi dei missili di Cuba del 1962 e l’attuale tensione nucleare tra Iran e Israele rappresenta una di queste rime sinistre. Allora come oggi, il mondo si trova sull’orlo di un conflitto potenzialmente apocalittico, alimentato da logiche di deterrenza, ideologie religiose e soprattutto da una manipolazione sistematica della paura. Tuttavia, le differenze storiche, geopolitiche e mediatiche delineano uno scenario più frammentato, caotico e per certi versi pericoloso di quello della Guerra Fredda.

Toccando una serie di temi profondi e complessi che meritano un’analisi articolata. Possiamo scomporre questa crisi in più livelli per mettere a confronto:
1. La crisi nucleare Iran-Israele vs la crisi di Cuba (1962)
2. Il ruolo dei media e della paura nucleare
3. I modelli politico-religiosi di Iran e Israele: somiglianze, differenze, contraddizioni
4. Democrazia, autoritarismo e percezioni occidentali
C’è nell’aria un senso di deja‑vu, un’eco della Guerra Fredda che torna più nervosa, caotica e — questa volta — senza adulti responsabili a disinnescare la tensione.
C’è un’aria pesante che si respira in Medio Oriente e nel mondo intero.
Un’atmosfera già vissuta, già temuta: quella della guerra atomica.
Al posto della diplomazia, la propaganda.
Al posto del dialogo, la demonizzazione reciproca.
E sullo sfondo, una stampa occidentale che anziché informare, alimenta lo scontro.
Benvenuti nella nuova Guerra Fredda.
Questa volta, non tra superpotenze globali, ma tra potenze regionali — Iran e Israele — che incarnano due visioni religiose e politiche profondamente contrapposte. E dietro di loro, un Occidente impotente e diviso, incapace di mediare perché parte in causa, e perché economicamente e ideologicamente interessato a perpetuare lo scontro.
Mentre nel 1962 Kennedy e Krusciov evitarono l’olocausto nucleare con diplomazia strategica, oggi l’Iran e Israele si affrontano in uno scontro asimmetrico, nel quale la potenza di deterrenza non basta: serve dialogo, e invece mancano canali credibili.
1. La diplomazia è morta: Occidente paralizzato
L’accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA) è stato abbandonato da Trump e mai seriamente riattivato da Biden. Gli Stati Uniti sono legati a Israele, mentre l’Unione Europea è impotente: dilaniata dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica e dalle divisioni tra gli Stati membri.
Robin Wright, esperta non minoritaria, denuncia la mancanza di cintura diplomatica per l’Iran: “non c’è più alcuna capacità di mediare credibilmente” . E mentre Masoud Pezeshkian, nuovo presidente iraniano, cerca serrate diplomatiche, l’Occidente rimane sordo e inconsistente.
2. Israele attacca: una guerra di scelta che mina la pace
Il 13 giugno 2025 Israele ha colpito il sito nucleare di Natanz, uccidendo scienzi e ufficiali. Robin Wright lo denuncia come “una guerra di scelta che non doveva accadere… in piena diplomazia statunitense” .
Netanyahu, smascherato da Robin Wright, avrebbe aspettato il suo momento politico: un attacco pianificato da tempo, ora attuato, per neutralizzare l’avanzata iraniana e consolidare il consenso interno .

PU BBLICITA’

3. La stampa occidentale: profitto e pregiudizio
I media mainstream occidentali hanno abbandonato l’imparzialità. Il risultato? Israele è immerso nella retorica della “difesa” e dell’aggressione necessaria; l’Iran è raffigurato come una minaccia insensata, ignorando l’assenza di armi nucleari attive e le sanzioni subite .
George Galloway denuncia un doppio standard drammatico: “il mantra secondo cui Israele ha il diritto di difendersi non si applica chiaramente all’Iran… se lo fosse stato, ogni governo occidentale avrebbe condannato la distruzione dell’ambasciata iraniana a Damasco” .
4. Il bargxenaggio internazionale: Europa gregaria, divisa, spaventata
L’UE appare come un simulacro di potere: incapace di agire, paralizzata dall’unanimità e dall’incapacità di superare legami di solidarietà atlantici .
Il cancelliere Scholz e la premier Meloni manifestano solidarietà a Israele, ma rimangono muta testimone del massacro a Gaza, preferendo l’accondiscendenza al confronto politico.
Lo scenario europeo è fratturato: aumentano le misure anti‑immigrazione, dilaga la paura del terrorismo e tramonta ogni visione strategica comune.
5. Due radici religiose, stessa teocrazia: l’illusione della democrazia
Iran e Israele si richiamano all’abramismo, ma importano religione nel potere politico:
In Iran, la Vilayat-e Faqih, il Leader supremo, domina la vita politica; ogni dissenso viene represso nelle prigioni, come testimonia Ahmad Zeidabadi .
In Israele, lo Stato ebraico tradisce la democrazia: nel tentativo di annullare la Corte suprema, estromette i palestinesi e trasforma la religione in strumento di governo .
Entrambi i regimi sono teocratici, entrambi autoritarismi, ma la prima sistematicamente demonizzata, la seconda giustificata. Un’incoerenza mediatica e geopolitica intollerabile.
6. Il profitto dell’ideologia e della paura
Il giornalismo narrativo e le testate allineate producono profitto tramite la costruzione della paura: “clickbait” ideologici, viral misinformation e demonizzazioni, si trasformano in consenso.
Israele incassa il silenzio su Gaza e la politica colonialista; l’Iran diventa un nemico seriale. Nessuno ferma la macchina della paura. Nessuno chiede: “Chi destabilizza davvero la regione?”
7. Citazioni critiche da fonti autorevoli
Robin Wright: “È grave perché l’attacco israeliano su Iran ha lanciato una guerra di scelta che non doveva accadere, almeno non ora, durante la diplomazia statunitense” .
Robin Wright: “Netanyahu ha quasi assicurato una maggiore instabilità” .
George Galloway: “Il mantra secondo cui Israele ha il diritto di difendersi non si applica chiaramente all’Iran… se lo fosse, saremmo tutti qui a condannare la distruzione dell’ambasciata iraniana a Damasco” .
New Yorker / Le Monde / ISPI: “Non esiste una comunità internazionale, ma un mondo frammentato, competitivo e impotente”.
Un confronto asimmetrico e senza valvole di sicurezza:
Israele è da tempo una potenza nucleare non dichiarata. Nessuno lo dice apertamente, ma tutti lo sanno. L’Iran, invece, è sotto osservazione da decenni per un programma nucleare civile (che potrebbe diventare militare). La narrativa occidentale parla chiaro: Israele è una democrazia che si difende, l’Iran una teocrazia che minaccia.
Ma dietro questo manicheismo si cela la realtà: Israele non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione, e ha bombardato più volte reattori nucleari di altri paesi (Iraq 1981, Siria 2007).
L’Iran, invece, ha firmato il TNP e ha subito sanzioni devastanti pur senza possedere un’arma atomica. Chi davvero mina gli equilibri?
L’Europa? Irrilevante. Gli USA? Complici:
In questo contesto, ogni tentativo di dialogo tra Iran e l’Occidente è ormai una messa in scena. Gli Stati Uniti hanno stracciato l’accordo nucleare del 2015 (JCPOA) sotto Trump, e Biden non ha mai avuto il coraggio politico di riprenderlo seriamente in mano. L’Europa, invece, si è limitata al ruolo di segretario frustrato: presente ai tavoli ma senza influenza reale.
La verità è che né gli USA né l’UE hanno più alcun margine credibile per negoziare. Washington è vincolata dal legame strategico e ideologico con Tel Aviv, mentre Bruxelles è paralizzata da divisioni interne, crisi energetiche, e dalla guerra russo-ucraina che ha monopolizzato ogni agenda geopolitica.
Le capitali europee, incapaci di fermare il massacro a Gaza o anche solo di riconoscere la Palestina, non hanno né legittimità né coraggio per essere mediatori. L’“Occidente”, in questo scenario, è diventato un attore rumoroso ma inefficace, che parla di diritti solo quando conviene e dimentica la diplomazia quando non serve agli interessi del blocco atlantico.
Stampa occidentale: il profitto della paura
Il giornalismo, un tempo strumento di vigilanza e coscienza critica, si è trasformato in macchina narrativa. Le redazioni europee e americane trattano il conflitto Iran-Israele secondo una sceneggiatura già scritta:
da una parte il fanatismo, dall’altra la democrazia assediata.
Così facendo, la stampa guadagna in clic, consenso e pubblicità.
Alimenta una nuova ondata di islamofobia culturale e un’apologia implicita del colonialismo, dipingendo l’espansionismo israeliano come autodifesa e ogni resistenza palestinese come terrorismo.
L’Iran diventa il simbolo dell’“oscurantismo sciita”, propagandando una ideologia religiosa cinsiderata violenta dall’occidente, senza mai contestualizzare la sua politica estera in funzione difensiva o giustificativa.

1. Crisi Iran-Israele e crisi di Cuba: somiglianze e differenze
Cuba 1962: il modello classico della crisi nucleare
La crisi nucleare di Cuba è stata uno scontro diretto tra due superpotenze globali (USA e URSS).
Il pericolo era imminente: i missili sovietici erano già a Cuba, pronti a colpire il suolo americano.
La soluzione fu diplomatica, con un compromesso segreto (ritiro dei missili da Cuba e poi da Turchia).
La crisi dei missili di Cuba è stato forse l’unico momento nella storia in cui l’umanità è stata a un passo concreto da una guerra nucleare su scala globale. Due superpotenze – Stati Uniti e Unione Sovietica – si fronteggiavano in modo diretto, con missili già installati, sottomarini armati e aerei pronti al lancio. Eppure, paradossalmente, fu proprio la simmetria dello scontro e la razionalità strategica dei leader (Kennedy e Krusciov) a evitare il disastro.

La crisi fu risolta con un accordo segreto: i sovietici avrebbero ritirato i loro missili da Cuba, gli americani avrebbero fatto lo stesso in Turchia. La diplomazia, seppur sotterranea, ebbe il sopravvento sull’isteria. La paura era reale, ma gestita.
Iran-Israele oggi:
Non è uno scontro tra superpotenze, ma tra una potenza nucleare non ufficiale (Israele) e un paese che potenzialmente può diventarlo (Iran).
La minaccia nucleare è più potenziale che attuale, ma l’escalation potrebbe diventarlo reale.
Manca un canale diplomatico credibile e stabile come quello tra Kennedy e Krusciov.
Somiglianze:
La logica del “brinkmanship” (portarsi sull’orlo della guerra per ottenere vantaggi).
La centralità della deterrenza nucleare.
La manipolazione della paura per ottenere consenso interno e internazionale.
2. Media, opinione pubblica e la nuova “paura nucleare”
Oggi, la stampa — soprattutto quella occidentale — tende a presentare l’Iran come una minaccia sistemica e Israele come uno stato in difesa.
I media raramente mettono in discussione l’arsenale nucleare israeliano, che rimane ufficialmente “non dichiarato”.
L’Iran viene dipinto come un regime apocalittico che cerca l’atomica per distruggere Israele, senza spesso analizzare le ragioni geostrategiche o le dinamiche interne al paese.
Il meccanismo della “paura” è simile alla Guerra Fredda, ma oggi è più asimmetrico e meno controllato.

3. Due regimi religiosi/politici contrapposti: sciismo e sionismo
Entrambi i sistemi politici affondano radici in una tradizione abramitica, ma:
Iran: è una repubblica islamica basata sulla religione musulmana sciita, con un clero dominante (Vilayat-e Faqih).
Le decisioni fondamentali passano per il Supremo Leader Religioso e non per i rappresentanti parlamentari eletti.
Israele: lo stato ebraico è considerato democratico solo da una parte della sua popolazione.
Gli arabi israeliani, i palestinesi sotto occupazione e le minoranze religiose sono spesso esclusi dai pieni diritti.
Contrapposizione ideologica:
Entrambi i regimi usano la religione come leva per la legittimazione del potere.
Entrambi rivendicano una missione “sacra” e “identitaria” nella regione.
Ma uno viene percepito come “tirannico” (Iran), l’altro come “democratico” (Israele), nonostante le derive autoritarie e le gravi violazioni dei diritti umani in entrambi i contesti.

4. Iran: leggi antidemocratiche – Israele: “finta democrazia”
Iran: mancanza totale di pluralismo politico, repressione di minoranze e dissidenti, leggi religiose invasive, soprattutto contro la libertà del ruolo femminile.
Israele: elezioni libere ma gravi discriminazioni sistemiche, apartheid nei territori palestinesi, crescente influenza dell’estrema destra religiosa.
Entrambi i modelli presentano tratti autoritari, ma con diverse maschere:
L’Iran si presenta come baluardo anti-occidentale e islamico.
Israele si presenta come democrazia liberale in un mare di tirannie, ma solo formalmente.
Iran-Israele: uno scontro asimmetrico senza valvola di sicurezza
La tensione tra Iran e Israele si configura in modo radicalmente diverso.
Qui non si ha a che fare con due superpotenze eguali e riconosciute, ma con una potenza nucleare non ufficiale (Israele, che non ha mai firmato il Trattato di Non Proliferazione e possiede secondo stime tra le 80 e le 400 testate nucleari) e un paese sospettato di voler acquisire la bomba (l’Iran, firmatario del TNP ma sospettato da anni di arricchire uranio a scopi militari).

Quello che rende la situazione ancora più instabile è l’assenza di canali diplomatici diretti e affidabili, l’escalation militare crescente e il fatto che entrambi gli stati — seppur diversamente — si fondano su visioni religiose e identitarie radicali.
A tutto ciò si aggiunge una stampa internazionale sempre più schierata, che non si limita a informare, ma contribuisce a modellare il consenso su chi sia il “giusto” e chi il “malvagio”.
Religione e politica: due visioni dello Stato teologico
Dietro lo scontro geopolitico si nasconde un conflitto tra due modelli di teocrazia: lo sciismo rivoluzionario iraniano e il sionismo etnico-religioso israeliano.
Entrambi affondano le radici in una figura comune:
Abramo, padre del monoteismo, da cui si originano ebraismo e islam.
Ma le loro declinazioni contemporanee sono profondamente divergenti.
Iran: Repubblica Islamica dal 1979, governata secondo il principio della Vilayat-e Faqih, ovvero il dominio del giurista islamico. Il potere reale è nelle mani del Supremo Leader, una figura non elettiva, religiosa, che ha l’ultima parola su tutte le questioni, comprese quelle nucleari e militari.
Israele: formalmente una democrazia parlamentare, ma con una definizione costituzionale come “Stato ebraico”, che implica una discriminazione strutturale verso le minoranze arabe e palestinesi. Le recenti riforme giudiziarie e il crescente potere dei partiti ultraortodossi hanno messo in discussione la laicità dello Stato e i principi democratici fondamentali.
Durante gli ultimi attacchi contro l’Iran, gli Israeliani l’hanno chiamata “Operazione Leone Nascente”:
il simbolo del leone tra politica e Bibbia, secondo una lettura laica dei testi antichi è un simbolo arcaico di potere, che comunque accomuna i due schieramenti, perché anche il Corano ne parla.
Il paradosso è che entrambi i paesi si dipingono come baluardi di un ordine morale e divino, ma entrambi utilizzano la religione per giustificare repressione interna, espansionismo esterno e militarismo sistemico.
La stampa come arma: manipolazione e propaganda nel XXI secolo
Durante la Guerra Fredda, la stampa occidentale aveva un ruolo relativamente bilanciato: pur essendo ideologicamente schierata, lasciava spazio al dibattito. Oggi, in un’epoca di algoritmi e polarizzazione digitale, l’informazione è diventata un’arma psicologica.
Nel caso iraniano, la stampa internazionale contribuisce a costruire l’immagine di un regime totalitario e irrazionale, vicino al terrorismo e potenzialmente suicida. Le voci dissidenti, interne ed esterne al paese, vengono sistematicamente oscurate o rese funzionali a una narrazione di “salvezza dall’esterno”.
Israele, al contrario, è rappresentato come un bastione democratico, vittima costante della barbarie circostante. Si tace sulle politiche di apartheid, sulle colonizzazioni illegali, sui crimini di guerra documentati nei territori occupati. Criticare Israele, in molti contesti, significa essere accusati di antisemitismo, rendendo di fatto impossibile una critica laica e razionale.
Democrazia vs autoritarismo: due maschere, un’unica sostanza?
L’Iran è, senza dubbio, uno stato autoritario: elezioni truccate, diritti civili negati, repressione sistematica delle donne, delle minoranze etniche e religiose, degli intellettuali. Tuttavia, sarebbe ingenuo considerare Israele una democrazia piena.
L’apartheid denunciato da organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International, le leggi fondamentali che escludono i non ebrei dalla piena cittadinanza, e l’uso sistematico della forza contro la popolazione palestinese parlano chiaro.
Due modelli politici opposti che si accusano a vicenda di essere tiranni, ma che condividono pratiche illiberali e teocratiche. Il problema, quindi, non è solo “chi ha la bomba”, ma “chi può decidere di usarla”, e con quali valori.
Una nuova Guerra Fredda senza diplomazia:

La differenza più inquietante con la crisi di Cuba è l’assenza di diplomazia credibile. Kennedy e Krusciov, pur essendo nemici ideologici, si parlavano, si rispettavano e temevano le conseguenze delle loro azioni. Oggi, tra Iran e Israele — e in generale tra l’Occidente e il cosiddetto asse della resistenza — manca un linguaggio comune, un terreno neutro, una volontà di mediazione.
Siamo entrati in una nuova fase della guerra psicologica, in cui la paura nucleare non è più deterrenza, ma strumento di propaganda.
E in cui la religione, anziché elevare l’uomo alla pace, viene usata per giustificare l’annientamento dell’altro.
Conclusione:
Uno scontro di specchi e propaganda per spezzare la catena della paura
Il conflitto nucleare Iran‑Israele non è solo un rischio militare: è una crisi morale e informativa. La paura viene coltivata, il dibattito soffocato, la diplomazia esclusa. L’Europa, ridotta a comparsa, resta testimone muta di un massacro a Gaza e di una escalation mortale.
Per uscire da questo nuovo Medioevo geopolitico serve una leva radicale: la decostruzione della paura, la verità giornalistica, la pressione politica per un ruolo europeo indipendente, e — non meno importante — il ristabilire canali diplomatici veri, autonomi da Washington e Tel Aviv.
La crisi attuale è più una guerra di narrazioni che una vera guerra imminente — ma proprio come nel 1962, il rischio è che la retorica spinga gli attori verso un punto di non ritorno.
Mentre Cuba fu una lezione di diplomazia e paura controllata, oggi sembriamo muoverci senza rete, senza mediazioni serie e con la stampa spesso allineata a logiche di potere più che alla ricerca della verità.
oltre la paura, verso una coscienza critica
Di fronte a questo scenario, il cittadino informato ha un compito sempre più difficile ma essenziale: distinguere l’informazione dalla propaganda, la democrazia autentica dalle sue imitazioni, la religione come via di pace dalla sua riduzione ideologica. La nuova paura nucleare non si può combattere con la rimozione o l’allineamento cieco, ma con la lucidità, la memoria storica e il coraggio di guardare il potere, ovunque si trovi, con occhio critico.

Paolo Bongiovanni
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