Dai caruggi alla chiesa dal federalismo…
Sono nato alle Fornaci e ho vissuto la mia prima gioventù in quel quartiere.
A quei tempi, i quartieri di Fornaci, Legino, Zinola e Lavagnola erano dei propri e veri paesotti i cui abitanti, quando andavano in centro, dicevano “andiamo a Savona”.
Questi quartieri erano abitati per lo più da operai, perché in quei tempi l’industria savonese, parliamo dell’immediato dopoguerra, cominciava a riprendere lo sviluppo interrotto col conflitto mondiale.
Cominciavano anche ad arrivare i primi emigranti dal sud Italia, dalla Sardegna e anche dal Veneto.
Via Saredo era il centro di raduno di tutti i bambini che si dividevano fra quelli che frequentavano l’oratorio e giocavano nel campetto, ora oggetto di brame edilizie, e quelli che invece si divertivano nella stessa via Saredo e nei carruggi perpendicolari alla via, che allora non erano edificati, ovvero via Ponchielli e Vico alla Marina.
Si giocava a calcio separatamente, vale a dire che nei carruggi giocavano i figli dei cosiddetti mangiapreti, mentre nell’oratorio giocavano i figli delle pie famiglie cattoliche.
Naturalmente gli incontri più sentiti dai Fornacini erano i derby “Chiesa contro Carruggi” ovvero, come Don Revello soleva chiarire, “democristiani contro comunisti”. Io giocavo con la squadra dei Carruggi.
In seguito la mia famiglia si è trasferita ad Albissola e dopo diversi anni io mi sono ritrasferito a Savona, ma alla Villetta; tuttavia le radici Fornacine mi sono sempre rimaste nel sangue, anche perché già da verso la fine del 1800 mio bisnonno Carlo e tutta la famiglia si trasferì da Voltri alle Fornaci, assieme ad altre quattro famiglie genovesi formando uno dei primi nuclei di abitanti nel quartiere.
Ogni tanto incontro i miei amici d’infanzia e accade anche che si parli di politica; qualche tempo fa parlando con uno di quegli amici d’allora, sapendo che io nel tempo ero diventato leghista, alla sua affermazione (classica dei comunisti) “sei diventato fascista” io ho risposto con la verità: “Caro G. io gioco sempre nei Carruggi, sei tu che sei passato con la squadra della Chiesa!”
Se osserviamo la nomenclatura del PD, partito erede del vecchio PCI dopo crollo del muro di Berlino, non possiamo non notare infatti, che i suoi massimi dirigenti e le sue eminenze grigie sono tutti ex democristiani.
Mattarella, Renzi, Gentiloni, Franceschini, Rosy Bindi, Zanda, Martina (un vero e proprio prete di campagna) Rosato, insomma del vecchio PCI sono rimasti solo i peones delle feste dell’Unità, mentre chi tira le file sono quelli che noi comunisti chiamavamo “vecchi arnesi democristiani”: altro che “non vogliamo morire democristiani” come si diceva allora! – sarebbe interessante conoscere l’opinione al riguardo del rimpianto Enrico Berlinguer.
Al di là delle etichette, tuttavia, come diceva Den Ziao Ping “non importa che il gatto sia nero o che sia rosso, l’importante è che mangi i topi” per cui se tale fusione di idee “progressiste” avesse portato bene agli operai e alla povera gente, nulla vi sarebbe da ridire; in realtà, per parafrasare il grande statista cinese, nel nostro Paese i topi sono triplicati!
Il clientelismo dell’allora DC che scandalizzava noi comunisti si è moltiplicato ulteriormente perché, come appena accennato, chi tira le fila sono sempre i democristiani e siccome “di bocche da sfamare” ve ne sono di più (visto che si sono aggiunti anche i rossi), per cui oltre alle famose aziende mangiasoldi del parastato di allora e di oggi (vedi Insud, Enisud, Alfasud, Isveimer, Egam, Efim, Fime, Formez, Finam, Agensud, Gepi, Spi, eccetera), oltre a tutto il pubblico impiego scandalosamente sovradimensionato, specialmente nel Sud, il nuovo Eden per le clientele è diventato il grande business dell’assistenza ai “poveri migranti”.
Il prof. Lisorini, che io leggo sempre volentieri e che ringrazio per voler dedicare parte del suo tempo ai savonesi con i suoi eccellenti articoli, quando dice che “i comunisti continuano a nuocere” forse dovrebbe dire che “i cattocomunisti continuano a nuocere”.
Se ci fossero solo comunisti, probabilmente, come successo in tutti i Paesi dell’Est, il popolo italiano se ne sarebbe già sbarazzato; purtroppo da noi, anche per colpa della Chiesa, i cattocomunisti sono più inossidabili dei Ceasescu e degli Honecker.
Veniamo quindi all’argomento del giorno: i referendum di Veneto e Lombardia.
Ero ancora simpatizzante comunista (anzi ero sessantottino) quando giusto nel 1968 il PCI ottenne il Regionalismo, quel regionalismo sino ad allora disatteso, malgrado fosse stato inserito nella Costituzione e che aveva già avuto ampia espressione nel Risorgimento italiano con Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e molti altri patrioti.
Ricordo ancora i manifesti di allora dell’MSI di Almirante, dove gli ex fascisti scrivevano “Pensioni e non Regioni” perché al contrario dei regimi democratici, i regimi autoritari tendono allo spostamento dei poteri al centro.
La classe dirigente democristiana di allora, formata da personaggi specialisti nello scippo delle ricchezze delle regioni del Nord e nell’accumulo di debito pubblico (ora la chiamano flessibilità di bilancio!) fu sempre restia a concedere più autonomia, perché pensava che l’introduzione di un federalismo regionale avrebbe intanto posto un freno a tale scippo, inoltre avrebbe evidenziato l’efficienza delle regioni rosse come l’Emilia Romagna e la Toscana, che già allora erano un esempio di ottimo governo, non riscontrabile in quelle Regioni nel Sud del Paese, governate dai marpioni scudocrociati, che più che creare economia produttiva regalavano prebende in cambio di voti – e oggi se ne vedono i risultati.
Purtroppo la Legge fu fatta alla loro maniera ma, anziché responsabilizzare gli amministratori attraverso un autonomia di tipo federale con tanto di gestione delle risorse locali da parte dei governi locali, furono al contrario dati alle Regioni altri strumenti di spesa supplementari, quei meccanismi infernali, che hanno contribuito ulteriormente a farci avere il secondo debito pubblico mondiale senza avere la seconda economia mondiale (operazione, a parer mio fatta scientemente per fare fallire in federalismo).
Nel frattempo iniziava il lento cammino che dalle convergenze parallele di Aldo Moro ha portato al partito unico della spesa clientelare e cioè al Partito Democratico dei Renzi, Gentiloni, Martina, che ora temono che la domanda dei Veneti e Lombardi di autogoverno, con la possibilità di controllo parziale del flusso di risorse verso Roma, possa intaccare quel potere clientelare che ha fatto governare per anni tale nomenclatura, la quale adesso fa quadrato per respingere o annacquare la richiesta di milioni di cittadini del nord.
Addirittura arrivano ad etichettare per attentato all’Unità d’Italia quello che dovrebbe essere un razionale sistema di gestione delle risorse prodotte con sudore dai cittadini, fortunatamente tutelato dalla stessa Costituzione, risorse che al contrario spesso vengono sperperate in attività economiche fasulle, aventi quale unico obbiettivo il becero clientelismo che funge da collante alle poltrone occupate.
La nostra speranza invece è che seguendo la via intrapresa dai Veneti e dai Lombardi anche i cittadini e i lavoratori onesti delle altre Regioni, sull’esempio di quelli lombardo-veneti, comincino a pensare di gestire le loro risorse in proprio, magari federandosi in macroregioni per creare aree omogenee con interessi comuni e meglio difendere tali legittimi interessi nei confronti sia del potere romano, sia di quello di Bruxelles.
Questa era la visione del compianto Prof. Gianfranco Miglio, che mai come oggi risulta essere quanto di più attuale.
SILVIO ROSSI Consigliere LEGA NORD