Da Nizza all’ Italia: la lezione globale che ignoriamo
Mentre in Italia ci si arrovella ancora tra referendum dal respiro corto a poche centinaia di chilometri da noi si è discusso del futuro del pianeta. Nizza in questi giorni ha ospitato la Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, un appuntamento di respiro internazionale in cui si prendono decisioni che contano davvero.
È qui che la Ministra francese della Transizione Ecologica, Agnès Pannier-Runacher, ha lanciato un appello per un “trattato ambizioso sulla plastica”, sottoscritto già da 95 Paesi. Un’iniziativa che nasce da una consapevolezza cruda e incontrovertibile: la plastica non sta solo inquinando i mari, sta letteralmente entrando nei nostri corpi. Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, è stato netto: «L’inquinamento da plastica sta soffocando la vita marina, contaminando il nostro cibo, finendo nel nostro sangue… e persino nel nostro cervello».
Queste parole dovrebbero campeggiare in prima pagina. E invece? Silenzio. La stampa nazionale ha praticamente ignorato l’evento.

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Nel frattempo, sul fronte dei referendum italiani si naviga a vista. Domande complesse ridotte a slogan semplici, con l’illusione che un tratto di penna su una legge possa rimettere in piedi un mercato del lavoro ormai globalizzato e sfuggente. Ma cosa cambia davvero se si modificano le regole italiane sul licenziamento o sulla cittadinanza, quando un’impresa può produrre in Vietnam, assemblare in Polonia e vendere in Amazon Europe senza che nessuno ponga vincoli o condizioni?
Ecco allora la vera notizia che arriva da Nizza, e che nessuno qui sembra voler ascoltare: serve un nuovo ordine internazionale fatto di regole condivise. Regole su ambiente, lavoro, diritti. Un patto tra Paesi che scelgono di alzare l’asticella invece di abbassarla per restare competitivi. Un club globale in cui solo chi aderisce può commerciare liberamente. Gli altri, fuori.
È una proposta rivoluzionaria perché mette in discussione la globalizzazione fatta finora: una globalizzazione guidata dalle imprese, ma senza guida politica, senza responsabilità, senza etica. I capitali sono diventati cittadini del mondo, mentre i lavoratori sono rimasti confinati nelle loro legislazioni locali. I sindacati sono rimasti nazionali, i politici provinciali, gli elettori disorientati.
Il risultato? Un mondo inquinato, diseguale, instabile.
Nizza non è Marte. È vicina. Ma il livello del dibattito, da questa parte delle Alpi, è lontanissimo. Chi parla oggi, in Italia, di un trattato internazionale contro la plastica? Chi mette in discussione la libertà assoluta di commerciare con Paesi che non rispettano alcun diritto? Nessuno. Ci si divide tra chi vuole liberalizzare i contratti a termine e chi vuole bloccarli. Come se fossimo ancora nel Novecento.
Quello che serve, invece, è una politica finalmente all’altezza delle sfide globali. Che smetta di usare le regole per “produrre consenso” e inizi a scriverle per produrre futuro. E magari, chissà, che cominci anche a leggere cosa succede a Nizza.