Da Nizza al collasso ambientale: il pianeta grida aiuto e noi facciamo finta di niente
La recente Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani tenutasi a Nizza avrebbe dovuto scuotere le coscienze globali. A pochi chilometri dai nostri confini, leader internazionali, scienziati e attivisti si sono riuniti per affrontare una delle crisi più gravi del nostro tempo: l’inquinamento marino. Eppure, nei dibattiti pubblici italiani, l’evento è stato appena menzionato, se non del tutto ignorato. Il paradosso è evidente: mentre a Nizza si parla di un futuro sostenibile per il pianeta, in Italia si consumano ore di dibattito politico attorno a referendum privi di una reale visione internazionale.
Durante la conferenza, la ministra francese Agnès Pannier-Runacher ha lanciato un appello per un trattato globale contro la plastica, già sostenuto da 95 Paesi. E non si tratta solo di sacchetti nei mari: la plastica è ovunque, entra nei nostri corpi attraverso il cibo, l’acqua, l’aria. António Guterres, segretario generale dell’ONU, ha parlato senza mezzi termini: “La plastica soffoca la vita marina, contamina il nostro cibo, finisce nel sangue e nel cervello”. Parole dure, che dovrebbero far tremare ogni cittadino consapevole. Ma l’assuefazione alla catastrofe è ormai la nostra più grande debolezza.
Inquinamenti invisibili: ciò che non vediamo ci sta distruggendo
La plastica, per quanto evidente, è solo la punta dell’iceberg. Esistono forme di inquinamento che non si vedono, ma che ogni giorno ci circondano e danneggiano irreparabilmente l’ambiente. È l’inquinamento invisibile, quello che si nasconde nei gesti quotidiani e nelle abitudini a cui non facciamo nemmeno più caso. Le nostre città sono invase da fonti costanti di consumo energetico e produzione di rifiuti, spesso non riconosciute come tali.
Un esempio banale, ma significativo, è rappresentato dalle macchinette del caffè presenti nei bar. Questi dispositivi restano accesi 24 ore su 24, consumando elettricità in modo continuo, e producono una quantità enorme di rifiuti difficili da riciclare, tra cui bicchierini di plastica, palette monouso e capsule non biodegradabili. Nessuno ci pensa, ma il caffè che beviamo ogni mattina ha un impatto. Anche lì potremmo fare di meglio, con sistemi a spegnimento intelligente, cialde compostabili o semplicemente cambiando abitudine.
Alternative sostenibili: cambiare si può
Anche lo streaming video, oggi parte integrante della nostra quotidianità, ha un impatto significativo. Guardare una serie TV in alta definizione non è un gesto neutro: comporta l’attivazione di enormi server farm che consumano una quantità spaventosa di energia elettrica, spesso proveniente da fonti non rinnovabili. Persino l’invio di una semplice email con allegati pesanti produce CO₂, anche se non la vediamo.
Poi c’è il fast fashion, che alimenta una produzione continua di capi di abbigliamento a basso costo in paesi in via di sviluppo, con processi industriali altamente inquinanti e sprechi idrici insostenibili. Comprare una maglietta a pochi euro ha un prezzo ambientale ben più alto di quanto pensiamo. Così come lo hanno i trasporti inutili, le consegne espresse che moltiplicano i furgoni sulle strade, l’uso compulsivo di dispositivi elettronici sempre più energivori.
Anche il mondo dell’intrattenimento ha il suo impatto. Le sale giochi fisiche e le strutture dedicate al gioco tradizionale richiedono spazi ampi, climatizzazione costante, illuminazione artificiale e materiali di consumo in abbondanza. È un settore che, per quanto redditizio, ha un impatto ecologico notevole. Eppure, alternative più sostenibili esistono già. I casinò online Italia rappresentano un’opzione che permette di vivere lo stesso tipo di esperienza ludica senza gravare sulle risorse ambientali in modo così marcato. Eliminano gli spostamenti, riducono i consumi energetici legati agli ambienti fisici, e abbattono drasticamente la produzione di rifiuti. Basta poco, a volte, per fare scelte più consapevoli.
C’è ancora speranza? Solo se agiamo subito
Greta Thunberg, simbolo globale della lotta contro la crisi climatica, ha spesso dichiarato che “non possiamo salvare il mondo seguendo le regole, perché sono le regole stesse ad averci portato fin qui”. La sua voce, spesso criticata e strumentalizzata, continua a essere una delle poche che insiste sull’urgenza. E ha ragione: ogni giorno che perdiamo, ogni conferenza ignorata, ogni trattato ambientale rimandato, ci avvicina sempre di più a un punto di non ritorno.
Gli scienziati parlano chiaro. Se non cambiamo rotta subito, entro il 2030 potremo superare l’aumento di 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. Questa soglia è considerata critica: oltre, gli effetti diventano irreversibili. Parliamo di scioglimento delle calotte polari, innalzamento del livello dei mari, desertificazione, eventi climatici estremi e migrazioni di massa. Nessuna nazione sarà immune.
Eppure, c’è chi pensa che si tratti di un problema lontano, di qualcosa che riguarda solo le grandi potenze o le generazioni future. Non è così. Il cambiamento climatico è già qui, lo vediamo nei raccolti compromessi, nelle estati soffocanti, nella scomparsa progressiva delle stagioni intermedie. E se non ci muoviamo ora, sarà troppo tardi.
Tutti possiamo fare qualcosa
Non è necessario essere attivisti professionisti o politici influenti per fare la differenza. La rivoluzione ambientale parte dal basso, da ogni singola scelta. Ogni volta che scegliamo una bottiglia di vetro invece che una di plastica, ogni volta che rinunciamo all’auto per spostarci a piedi o in bici, ogni volta che riduciamo il consumo di energia o acquistiamo prodotti locali, stiamo contribuendo a rallentare il collasso.
È giunto il momento di smettere di cercare alibi. Non possiamo più fingere che il problema sia troppo grande per essere affrontato. È grande, sì, ma ogni grande cambiamento parte da una somma di piccole azioni. E il primo passo è vedere ciò che finora abbiamo scelto di ignorare. Come disse una volta Greta, guardando negli occhi i potenti della Terra: “Ci state deludendo. Ma noi non ci arrenderemo”. Sarebbe bello se, per una volta, fosse la politica a sorprendere gli attivisti. Ma, in attesa che ciò accada, possiamo cominciare noi.