Da Casapound alla Lega

  Da Casapound alla Lega
Come il potere rosso si prepara a soffocare il dissenso e a schiacciare la volontà popolare

 Da Casapound alla Lega

Come il potere rosso si prepara a soffocare il dissenso e a schiacciare la volontà popolare

 Non ho alcuna difficoltà a riconoscere che il ventennio mussoliniano, in particolare gli anni Trenta del secolo scorso, sono stati un periodo di grande fioritura artistica, letteraria, scientifica e tecnologica per il nostro Paese. L’Italia, che dopo l’unificazione si era scontrata con i propri limiti strutturali e aveva viste deluse le grandi attese risorgimentali, era assurta finalmente al rango di grande potenza, destinato a  perdersi nel disastro della guerra. Né ho alcuna difficoltà a riconoscere la statura di statista di Benito Mussolini, un riconoscimento che mi trova in buona compagnia, da Churchill, a Roosevelt, fino al mahatma Gandhi.


Ma non sono per niente un nostalgico del regime e non solo perché non me lo permette l’anagrafe ma perché il consenso plebiscitario, il “culto della personalità”, lo spirito gregario non fanno per me. Soprattutto mi disturba l’idea che solo a pochi eletti fosse consentito pensare liberamente, mi riferisco ai rappresentanti dell’alta cultura, fascisti a modo loro, a fascisti o espressamente antifascisti come Croce, mentre la grande massa era tenuta a occuparsi delle proprie faccende e a discutere di sport o di cinema:  “qui non si parla di politica”. 

Cerco di essere più esplicito. Gramsci, Togliatti e tutti i vertici del partito comunista, avevano un piede in Italia e uno nel Comintern e nella patria socialista e tanto sarebbe bastato in qualunque Paese occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti, per tenerli d’occhio, costringerli a emigrare o metterli in gattabuia. Anarchici e socialisti reduci dagli attacchi allo Stato borghese e da una rivoluzione abortita erano obbiettivamente dei sovversivi e non sorprende che subissero delle restrizioni. Quello che giudico intollerabile è però che al cittadino comune venissero offerte tre possibilità: confondersi nel gregge  in camicia nera, ripararsi sotto la tonaca del clero o pensare ai fatti propri e soddisfare il bisogno di interagire e socializzare iscrivendosi a una bocciofila. 

In buona sostanza il cittadino italiano medio nei felici anni Trenta si tiene alla larga dalla politica, si appassiona e si commuove nelle sale cinematografiche, si esalta la domenica per la squadra del cuore, è gonfio d’orgoglio per i successi della nazionale, fischietta sull’aria delle canzonette che invitano a vivere in campagna o magnificano l’Arno d’argento che rispecchia il firmamento.


Tutto questo, forse perché ho un pessimo carattere, mi ripugna. Il regime non ha messo nessuno in catene, non ci sono né Lager né Gulag né campi di concentramento, e mi auguro che nessuno abbia il cattivo gusto di considerare tali qualche mese di confino in località turistiche come Ponza e Ventotene. Ma pretendeva di ottundere le coscienze, non consentiva che si disturbasse il manovratore, privava il cittadino del suo diritto fondamentale, la sovranità, e questo lo giudico intollerabile. Che poi il regime poggiasse sul consenso o sulla coercizione lo giudico irrilevante: non provo simpatia per un popolo di servi, nemmeno se si sono asserviti volontariamente.

Ma esisteva concretamente una alternativa liberale e democratica al regime? Fino alla soglia del ventesimo secolo in Italia, e non solo in Italia, convivevano due forme di Stato: uno Stato liberale, formato da cittadini che godevano della pienezza dei diritti politici, avevano accesso all’istruzione, alle leve dell’economia, alle cariche pubbliche; questi cittadini erano il risultato di un lungo processo storico acceleratosi con la rivoluzione industriale, che aveva portato alla fusione  della vecchia aristocrazia con le nuove classi borghesi in una società articolata per il patrimonio disponibile ma sostanzialmente omogenea per cultura e stile di vita. Rispetto alla popolazione complessiva si trattava di una minoranza, non più del 10%. La grande maggioranza non partecipava di questo Stato: era costituita da contadini, braccianti, salariati o piccoli proprietari, operai, artigiani e bottegai, analfabeti o con un livello minimo di scolarizzazione, lontani dalle professioni, dalla politica, dai partiti, estranei alla circolazione delle idee. Erano parte di un altro Stato, autoritario e paternalistico, in una condizione di sudditi, acquiescenti o riottosi. 

Nel periodo a cavallo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo i due Stati diventano incompatibili. Con l’irruzione nella vita politica di movimenti anarchici prima e del partito socialista dopo questa incompatibilità si esprime come lotta di classe e fermento rivoluzionario, che diventa progetto politico nei partiti socialisti e comunista.

La lotta politica prima durante e dopo la Grande Guerra non consisteva in un confronto dialettico. Si sparava, si tendevano agguati, si incendiavano le sedi di circoli e associazioni politiche. I nuovi protagonisti della vita politica non intendevano semplicemente partecipare all’agone politico: volevano abbattere lo Stato borghese. Questa era, tanto per non fare nomi, l’intenzione del compagno Togliatti, maestro dell’armiamoci e partite, che incitava i proletari a far sentire ai reazionari il suono delle pallottole (mentre lui se ne stava al riparo a Mosca).


Il regime, con la trasformazione dei Fasci di Combattimento in un partito d’ordine all’insegna della pacificazione, aveva fuso questi due Stati, aveva spento il fuoco della rivoluzione, aveva messo al riparo le istituzioni “borghesi” rendendole più popolari ma  nella miscela fra la minoranza di cittadini e la maggioranza di sudditi aveva fatto diventare tutti sudditi. Sudditi protetti da una legislazione sociale fra le più avanzate nel mondo ma pur sempre sudditi. E, dal canto loro, gli avversari politici continuavano a presentarsi come sovversivi, tant’è che i gruppuscoli sparuti di oppositori non comunisti nostalgici dello Statuto erano emarginati, guardati con sospetto e considerati più pericolosi degli stessi fascisti.

Tanto per continuare a contestualizzare: settanta anni fa gli inglesi che portarono la democrazia usavano gli indiani (dell’India) come scendiletto, i liberatori americani non volevano negri sui mezzi pubblici, gli australiani li consideravano scimmie un po’ più evolute.

Oggi viviamo in una situazione completamente diversa, nemmeno lontanamente confrontabile. Nell’Italia degli anni Trenta l’opposizione politica poteva presentarsi come un pericolo per lo Stato, sovversione, attentato alla proprietà, odio verso i ricchi, verso il padrone, verso il borghese (e anche verso il clero, non dimentichiamo). Ma tornava comodo a quel regime bollare tutti gli oppositori come sovversivi al pari di anarchici e comunisti come ora torna comodo a questo regime che sopravvive al voto popolare alla maggioranza parlamentare e al governo, incardinato com’è nel sistema finanziario, nella magistratura, nell’informazione, nell’apparato dello Stato, nell’intelligentzia, additare quanti rappresentano una minaccia per la sua sopravvivenza come fascisti. Un’accusa ridicola, paradossale, intrinsecamente stupida ma supportata da una magistratura compiacente e da un testo costituzionale che, per quello che riguarda le norme transitorie, è da decenni palesemente anacronistico. Anche nell’ipotesi che per un vezzo letterario un movimento, un’associazione, un partito volesse assumere la denominazione “fascista” – l’aveva fatto il compianto Pisanò – col fascismo non avrebbe niente a che fare. Niente.

 

Non basta però qualificare quell’accusa di fascismo come stupida, ridicola, paradossale e anacronistica. Si deve avere il coraggio di riconoscere che si tratta di un’accusa criminale e sovversiva, perché attenta alla libertà di parola, alla libertà di stampa, alla libertà di associazione, in una parola alla democrazia. E veniamo al concreto, e prendo in considerazione proprio quella chesarebbe la più diretta incarnazione delfascismo: Casa Pound. Non mi risulta che sia una banda armata, non mi risulta che nelle sue sedi si celebrino riti contrari al buon costume né che difendere il diritto alla casa per gli italiani sia un invito a rovesciare l’ordine costituito. Negare il diritto all’esistenza di Casa Pound rivela l’insofferenza nei confronti di ogni opposizione che non sia di comodo. A negarla sono gli stessi che non accettavano che Berlusconi governasse senza il loro permesso e che dopo anni di persecuzione giudiziaria e  di martellamento mediatico lo rovesciarono con l’aiuto decisivo di Francia e Germania, salvo poi riabilitarlo e rimetterlo in campo dopo averlo lobotomizzato. Questi stessi pretendono di sciogliere manu militari Casa Pound e Forza Nuova dando ad intendere che un braccio romanamente teso provochi chissà quali sfracelli ma in realtà hanno in mente di far fuori la Lega di Salvini se non si decide a rientrare nell’alveo del regime, se non torna all’ovile bossiano o maroniano, se non torna ad essere una costola dell’innocuo centrodestra. Duole dirlo ma questa operazione si avvale del complice e compiaciuto silenzio di quel carrozzone che è diventato Forza Italia e dei Fratelli d’Italia che smaniano pateticamente per entrare in gioco e arraffare qualche poltrona.


Se mai ce ne fosse stato bisogno, il centro-destra verso il quale i compagni vorrebbero sospingere la Lega ha dimostrato ancora una volta la sua inconsistenza politica proprio col suo silenzio sulla vicenda gravissima del salone del libro di Torino e sulle altre che l’hanno preceduta, accompagnata e seguita. Che l’antifascismo sia un pretesto per attaccare gli avversari politici e un’arma per difendere lo statu quo è un’ovvietà ma è anche un’ovvietà che in questo modo la libertà e la democrazia in Italia sono delle chimere. Tutto quello che viene contestato al fascismo riguardo ai diritti fondamentali del cittadino è lo specchio fedele di questo regime, che per comodità chiamo cattocomunista ma potrei tranquillamente identificare come borghese, reazionario, clericale e massone.   

Uso politico della magistratura o uso giudiziario della politica, corpi militari che agiscono non si sa da chi ispirati, stampa asservita alla politica o politici asserviti ai padroni della stampa, insofferenza nei confronti del voto popolare, tentazione di limitarne il peso, sono tutti segni di una malattia mortale della democrazia, una democrazia già minata dal cancro del comunismo e della chiesa, costruita sulla sabbia dell’ipocrisia, della mistificazione e del compromesso. 


Ma ora si è passato il segno e perfino dai giornaloni di regime si è levata qualche voce preoccupata. Silenzio di tomba invece dalle parti del governo e non solo del suo socio di maggioranza. Lo stesso governo che non ha voluto patrocinare il forum veronese sulla famiglia perché di parte (la famiglia è di parte!!!) ma ha patrocinato il salone del libro che celebra la censura, che ha messo al centro la signora reduce da un campo tedesco (è troppo comodo dire nazista) che invece di prendersela con suoi connazionali di allora – che odiavano gli ebrei come e più dei tedeschi -, addita il Nemico, il Male, il Demonio nello stand deserto di un editore che pubblica senza l’imprimatur del Pensiero Unico. Voglio credere che lei sia solo strumento ingenuo e inconsapevole dell’uso scellerato che fanno della Shoah gli stessi  che manifestano per la causa palestinese: la cancellazione di Israele.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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