Da Breznev a Biden con disinvoltura

I tempi passano ma gli opportunisti non cambiano; o meglio, sanno cambiare per i loro interessi di bottega, di campo e di padrino.
In questi giorni tristi, nei quali stanno morendo tanti civili sotto il tiro delle artiglierie russe ed altrettanti militari russi sotto il tiro dei cecchini e dell’esercito ucraino, in una terra martoriata da una  guerra che sta durando ormai da troppi giorni, vi è chi ci vuol  far credere che, per  fare cessare le ostilità, occorra armare ulteriormente la parte che più verosimilmente appare essere quella soccombente.
A parte che è bizzarro pensare che per spegnere un incendio occorra buttare benzina sul fuoco, io penso che, inondando ulteriormente di armi un Paese come l’Ucraina, peraltro già ben fornito di armi super moderne dagli americani fin da prima dell’inizio dell’invasione russa, è facile intuire che, anche se la situazione sarà stabilizzata a breve con un accordo di pace, con così tante armi in circolazione nel territorio la pace sarà poco duratura.
Purtroppo, come accennato in un mio precedente articolo, un Paese così vasto e composito, abitato da popolazioni eterogenee, con lingue differenti, culture differenti e anche religioni e filosofie di vita differenti, creato a tavolino dai leader della rivoluzione bolscevica e con mezzo secolo di regime comunista, era inevitabile che diventasse un Paese socialmente molto instabile.
Se a ciò aggiungiamo il fatto che da molto tempo ormai le diverse fazioni della popolazione ucraina venivano fomentate da soggetti estranei, interessati soltanto a modificare il quadro politico a proprio favore o a sfavore dei rivali economici, non era difficile pensare che prima o poi  si sarebbe arrivati ad una guerra, nella quale la Nato e l’Europa sarebbero state coinvolte in modo diretto, anche se non ufficialmente.

Ucraina, colpo di stato del 2014

In verità la guerra civile in Ucraina durava da anni, seppur in modo non eclatante, ma scoppiava   prepotentemente con il colpo di stato del 2014, sostenuto in modo palese dagli Stati  Uniti  durante la Presidenza del democratico nonché premio Nobel per la Pace Barak Obama, con l’aiuto dei soliti “benefattori dell’Umanità” alla George Soros e con il patrocinio intellettuale dei Think Tank alla Robert Kagan. Peccato che alla fine, di tutto questo guazzabuglio, chi ne subisce oggi le pesanti conseguenze è la cara e vecchia Europa e, che i nostri governanti non ne siano  consapevoli, o facciano finta di non esserlo, è davvero grave.
Robert Kagan è uno dei principali esperti, tra i vari consulenti dei governi democratici statunitensi, i cui pareri hanno influito maggiormente nelle vicende ucraine, oltre a essere il marito della famosa Vittoria Nuland, sottosegretario di Stato Americano, famosa per aver detto al telefono “Fottiamo l’Unione Europea”, che recentemente ha dovuto ammettere a un’audizione davanti al Senato la presenza in Ucraina, ai confini con la Russia, di strutture americane per produzioni batteriologiche, subito prima sdegnosamente negata.

Robert Kagan e Vittoria Nuland

Certamente la geostrategia degli Stati Uniti, che anche attraverso guerre sanguinose, dalla fine della seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta ad oggi si è espansa prepotentemente in tutto il globo, non può scandalizzare più di tanto, nel senso che la storia, fin dal tempo dei Romani, è sempre stata dominata dal più forte. Gli Stati Uniti agiscono nell’esercizio del loro ruolo di superpotenza mondiale che cerca di mantenere la propria posizione di predominio; godendo di indipendenza energetica e alimentare nonché di superiorità tecnologica, gli USA hanno tutti  i mezzi per dominare il mondo e influenzarlo a proprio uso e consumo. Ciò che da cittadino europeo non mi pare invece ragionevolmente accettabile è che l’Europa, come se fosse un qualsiasi Paese del terzo mondo, ne sia ancora succube – per non dire sottomessa – e debba sempre pagare pesantemente le conseguenze delle decisioni prese a Washington.
L’ Europa, anziché porsi a metà strada fra i due mondi e le due civiltà che si scontrano e cioè quella occidentale del consumismo e della globalizzazione e quella orientale più conservatrice della cultura e dei  valori tradizionali,  si appiattisce passivamente alle esigenze della prima, dimenticandosi che, al contrario, potrebbe porsi come parte intermedia fra le due civiltà, come ago della bilancia e magari, dalla sua posizione di equidistanza, riuscire a trarne interessanti vantaggi  economici.

L’Italia poi, che dell’Europa è la parte più vulnerabile perché oltre ad essere quasi totalmente dipendente dalle fonti energetiche russe ha anche un debito pubblico smisurato, anziché porsi nell’ambito europeo a capo dei moderati, di quelli cioè che si battono  perché la diplomazia abbia la prevalenza sulle armi e si ottenga la pace il più presto possibile, al contrario, assieme alla Gran Bretagna (che non fa più parte dell’UE) e alla Polonia (Paese storicamente nemico della Russia) si è collocata in quell’esiguo drappello degli interventisti più accalorati, così ingenui da pensare che l’esercito Ucraino possa addirittura sconfiggere quello della Grande Russia, la quale, a detta degli analisti, sta impiegando in questa guerra un millesimo del suo potenziale distruttivo.
La cosa più scandalosa, tuttavia, è che in seno al governo italiano  il Partito Democratico, figlio di quel PCI che ai tempi dell’Unione Sovietica osannava l’invasione dell’Ungheria e della Cecoslovacchia da parte dei carri armati russi, ora sia passato disinvoltamente dalla parte opposta, dimostrandosi non solo acquiescente verso una situazione che danneggia principalmente il nostro Paese, ma  altresì complice di una  guerra che manderà sul lastrico una grossa fetta della popolazione italiana, a partire da quella più disagiata.

In verità il PD, che è il partito dei banchieri e di quei ceti parassitari che non soffrono più di tanto gli aumenti dei prezzi indotti dalla guerra, con la guerra stessa pensa di poter rafforzare i propri interessi elettorali, soprattutto nel terzo settore e cioè in quel mondo dell’assistenzialismo e delle cooperative, tutte intente a prosperare sugli arrivi dei “poveri rifugiati”.
Visto che gli italiani cominciavano ad averne le tasche piene degli sbarchi di migranti dall’Africa, che rimangono in Italia a ciondolare per le strade a carico del contribuente – se non a delinquere – grazie alla guerra in Ucraina si apre una nuova e ghiotta occasione per il settore dell’accoglienza, che così può continuare nella propria opera di lucrare sull’assistenza dei rifugiati ucraini.
Dal canto suo, l’opinione pubblica non può certo biasimare la sacrosanta accoglienza di donne e bambini, che scappano, questa volta sì, da una guerra vera, ma focalizzandosi su questi nuovi arrivi  distoglie la propria attenzione dagli altri sbarchi, che continuano regolarmente ad avvenire nel sud  del nostro Paese e che alimentano uno dei settori politicamente più importanti della nostra economia, vero feudo elettorale del PD; sbarchi che in futuro sono oltretutto destinati a moltiplicarsi a dismisura, in conseguenza delle carestie che la guerra sta creando e sempre più causerà in tutta l’Africa.

Forse non tutti sanno, e molti fanno finta di non sapere, che quello dell’accoglienza è un settore altamente improduttivo che si regge sul contributo pubblico, cioè viene alimentato dalle tasse dei contribuenti; ma visto che gli italiani sono già oberati da un carico fiscale che supera di gran lunga la media europea, quale sarà il futuro di tutte quelle piccole imprese e di quei cittadini italiani che già da quando è iniziata la pandemia tirano e continuano a tirare la cinghia? E che ne sarà di quelle persone anziane che vivono con 600 euro di pensione e che in questi mesi si sono viste triplicare i costi del riscaldamento e dei generi alimentari?
Gli aumenti nei prezzi delle fonti energetiche ci porteranno direttamente ad una recessione, come accadde nei primi anni ‘70, che distruggerà interi settori produttivi ;  il Sole 24 Ore prevede addirittura che  un 46% di di aziende saranno a rischio   ; il che significa desertificazione dell’economia del Paese e la morte di quei settori produttivi che di fatto  pagano tutti i costi dello stato sociale, come la sanità, l’istruzione, l’assistenza agli anziani e, non ultima, la sicurezza. Intanto, mentre l’80% degli italiani comincia a preoccuparsi per la situazione economica, che rischia di creare ulteriori 700.000 disoccupati, il segretario del PD Letta pensa alla guerra e al bene degli ucraini e, probabilmente, anche alle sue ambizioni, visto che il prossimo segretario della NATO, per rotazione, sarà un italiano – e qui dovrei citare la famosa frase di Andreotti: “Pensar male è peccato, ma facilmente ci si azzecca!”.

Di fronte a questo scenario, nel quale il nostro Presidente del Consiglio ci prospetta di dover patire il freddo, cuocere la pasta  con un fornetto elettrico e spegnere il condizionatore (per chi ce l’ha!) i  sondaggi sono abbastanza chiari: malgrado la martellante campagna stampa a favore della guerra, da fare quasi invidia a quella fatta ai tempi delle guerre di  Mussolini, tre quarti  degli italiani non  vogliono inviare armi in Ucraina per alimentare una guerra che non capiscono e che non vogliono sostenere perché pensano, giustamente, che  sarà deleteria soprattutto per l’Italia e poi per l’Europa in generale. Per contro il nostro Governo, retto da un esercito di parlamentari il cui unico obbiettivo, visti i tempi, è stare incollati alle poltrone il più a lungo possibile, sta agendo esattamente in modo contrario.

Quando potrà il popolo  “sovrano” italiano dire nuovamente la sua nella cabina elettorale?

Silvio Rossi (libero Pensatore)

PUBBLICITA’


Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.