COSA ABBIAMO IMPARATO
Se dio vuole l’eccidio di Gaza ci ha insegnato, o rinfrescata la memoria, se siamo abbastanza vecchi, di cosa è capace il più forte rispetto al più debole: a Gaza non era in atto una guerra, perché in ogni guerra si fronteggiano almeno due contendenti; e Hamas, dopo l’insensato assalto del 7 ottobre 2023, non è più stato in grado di opporre una valida resistenza, cosicché tutta la furia di Israele si è scatenata contro gli inermi, i Gazawi, che per troppi anni hanno fatto da scudi umani delle sue rappresaglie.

Una delle tante partenze di velieri della Flotilla con destinazione Gaza. Tutti intercettati dalla marina militare israeliana, arrestati, incarcerati e rispediti a casa. Un esempio concreto della validità dei blocchi navali nei confronti di natanti indesiderati, anche in acque internazionali
In sostanza, i Gazawi si sono trovati tra l’incudine e il martello, in una plateale dimostrazione che, anche qualora gli “effetti collaterali” superino di gran lunga il raggiungimento degli obiettivi primari, c’è chi non si fa scrupolo di continuare la carneficina. Una lontana eco del sistema usato dai nazi-fascisti della Repubblica di Salò nei confronti delle imboscate: la fucilazione di dieci italiani per ogni tedesco ucciso.

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L’eccidio di Gaza ha messo parzialmente in ombra l’altra vera guerra, tra Russia e Ucraina, nella quale l’Europa è purtroppo intervenuta a suo rischio e pericolo, sbilanciandosi unilateralmente con l’Ucraina, immemore delle motivazioni che hanno provocato l’intervento armato russo. Motivazioni attribuibili interamente alla graduale avanzata della NATO verso Est, contraddicendo gli accordi presi a suo tempo, con la definizione di due zone d’influenza dopo l’implosione dell’URSS. La NATO ha approfittato dell’improvvisa debolezza dell’ex fronte avversario con lo stesso atteggiamento dell’avvoltoio: ormai al mondo c’era un solo padrone.
Con i riflettori puntati implacabilmente per settimane sulla moderna “strage degli innocenti”, e da ieri spostati trionfalisticamente sulla pace finalmente raggiunta, il baricentro degli interessi di tg, talk show e notiziari radio è rimasto fuori confini, facendo dimenticare -nel palazzo, ma non in chi vive giornate affannose- che l’Italia sta male.
E sta male per la distanza che cresce tra istituzione e cittadini, lasciati ad arrangiarsi con un potere d’acquisto ogni giorno più basso, mentre sono chiamati a soddisfare le voraci fauci di istituzioni che poco danno e molto pretendono.
E mentre i media disquisiscono di politica internazionale, si lascia incancrenire un’altra piaga, messa in standy dai notiziari: una guerra nella quale c’è un contendente solo: la cosca criminale libica che scaglia, contro un’Italia inerme, altri scudi umani al pari di bombe o proiettili. Giorgia Meloni aveva fatto tante promesse, in base alle quali ottenne una vittoria elettorale schiacciante. Tra queste il dispiego di blocchi navali davanti ai Paesi, come la Libia e la Tunisia, divenuti basi di lancio di sciami di disperati cui viene dipinta la nuova Terra Promessa, europea.

Uno dei tanti “salvataggi” in mare calmo, in realtà trasbordi pianificati tra ONG e aguzzini libici. Sono anni che questa colossale presa in giro continua e ultimamente non fa neppure più notizia, con la preponderanza di notizie su Gaza e, ultimamente in sordina, sulla guerra in Ucraina
Abbiamo imparato da Gaza e dalla Flotilla che è solo bloccando le partenze che si può sperare di risolvere il flusso continuo di gente che non vogliamo, ma che ci è imposta dai nuovi negrieri. Siamo al paradosso che la composizione etnica e culturale dell’Italia viene decisa non in Italia, ma fuori dei suoi confini, ormai inesistenti, vanificando così l’appellativo di Stato al territorio italiano. Ci viene detto che questi clandestini sono la soluzione -succedanea- al futuro spopolamento dell’Italia che non fa più figli, con proiezioni di un’Italia islamizzata di qui a fine secolo. Se ne parla come di qualcosa di ineluttabile, in un criminoso atteggiamento di acquiescenza all’invasore. In guerra si chiama disfattismo. Come se la rinuncia a metter su famiglia e far figli non sia dovuta alla precarietà, diffusa e capillare, della nostra esistenza. Quello stesso popolo che ha riempito vie e piazze per solidarietà con i martoriati Gazawi, dimostra invece un atteggiamento rinunciatario quando si tratta di difendere sè stessi, i propri diritti ad una vita che non sia alla giornata, vietando ogni pianificazione.
Ma Gaza ci ha insegnato, non solo che un’indignazione a largo spettro può fermare anche una banda di stragisti quale s’è dimostrato il governo israeliano, ma anche che i blocchi navali possono essere molto efficienti nel rintuzzare i tentativi di forzarli.


Il goffo escamotage dei centri migranti in Albania ha prestato il fianco a un fiume di critiche, sia per i costi altissimi che per la pervicacia con cui i giudici ne vanificano l’utilizzo
Il ripiego dei centri di smistamento e rimpatrio in Albania s’è rivelato un inutile spreco di denaro pubblico (come quello prossimo venturo degli armamenti), con i giudici che hanno vanificato zelantemente anche quel poco che il governo riusciva a realizzare. Giudici che fingono di credere -e fanno valere- il “diritto del mare”, che impone di soccorrere chiunque vi si trovi in difficoltà, per un’avaria o una tempesta. Ma assistiamo, persino con filmati, alla farsa di naufraghi in mare tranquillo, o barconi inadatti ad affrontare un minimo moto ondoso, con naufraghi creati ad arte sin dalla partenza. Si è scoperta addirittura l’alleanza tra navi ONG e scafisti per decidere il luogo di incontro e il trasbordo dalle carrette alle navi battenti bandiere straniere, in particolare tedesche, con la Germania che oggi chiede all’Italia, in base al Trattato di Dublino, di riprendersi quegli stessi migranti che le sue navi avevano caricati e trasferiti sul nostro suolo.
In conclusione, questo governo, già al suo terzo anno dall’insediamento, ha dimostrato di avere scarsa determinazione nel perseguire i traguardi sbandierati per attrarre voti e procede zoppicando in mezzo a grandi riunioni estere del nostro premier, dove può soddisfare la sua autostima, barcamenandosi tra l’amicizia a senso unico verso Trump, che la ricambia solo a parole, e i tentativi, sinora sterili, di svincolarsi dall’abbraccio pernicioso con la germanica Ursula.
In sintesi: diplomazia abbondante; coraggio prossimo a zero.
Marco Giacinto Pellifroni 12 ottobre 2025
Perfetto. Israele ha dimostrato che se si vuole il blocco navale si può fare. Se si vuole, appunto, e si ha interesse a farlo. P.F.L.