Cortocircuiti storici e domande (forse) ingenue

A volte, colpiscono i dettagli. Molti hanno letto, nei giorni scorsi, l’intervista al Presidente del Senato uscita sulla “Stampa” a firma di Paolo Colonnello; l’abbiamo letta a nostra volta e ma ci è saltata all’occhio (lasciando ora da parte ogni considerazione sulle parole spesso poco opportune del Presidente stesso) una curiosità.
Il Senatore La Russa afferma di vivere in una casa conservata come negli anni Trenta per opera della Le Petit, che ivi aveva la propria sede. Ora, la Le Petit è un’importante casa farmaceutica; e negli anni del fascismo ne era a capo Roberto Lepetit, che, espulso dal PNF nel 1942 per attività antifascista, operò a sostegno della Resistenza e in particolare del Partito d’Azione sino al punto di finire arrestato dai nazifascisti nel settembre del ’44, torturato a San Vittore e infine deportato prima a Bolzano e poi a Mauthausen e nei suoi campi satelliti. In uno di questi, Ebensee, avrebbe trovato la morte il 4 maggio del ’45, proprio alla vigilia della liberazione del lager. Il cadavere fu gettato in una fossa comune; e oggi a Ebensee è visibile il toccante monumento funebre che la vedova (dopo avere invano tentato di salvare il marito coinvolgendo anche il Cardinale Schuster) fece erigere per tutti i morti di quella fossa, senza neppure citare il proprio nome ma identificandosi solo come “una donna italiana” che voleva ricordare il proprio sposo e le altre vittime.

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Questo cortocircuito storico tra le vittime di allora e talune figure di oggi cui ci sembra facciano talora difetto limpidezza e senso della misura è frutto, si capisce, soltanto del caso: a conferma, se non altro, che la forza del caso è molto potente, nella storia. Che ognuno vi rifletta come meglio creda: noi aggiungeremo solo poche considerazioni in maniera del tutto casuale.
Si è detto – giustamente, ci pare – che avere improntato gran parte della campagna elettorale sul pericolo parafascista sia stato, dal punto di vista delle strategie dell’attuale opposizione, un errore; siamo altrettanto convinti, però, che sarebbe stato un errore, forse politicamente meno grave ma certo moralmente più tragico, trascurare del tutto l’argomento.
Il fascismo storico (fascismo-regime) certo non è tornato, per somma fortuna; ma la nuova maggioranza sembra trascurare che l’antifascismo – citato nel discorso alle Camere del Presidente del Consiglio solo in accezione negativa (scivolone non bello, ci permettiamo di affermare) – non è il punto di arrivo della riflessione teorica di figure del passato, ma il punto di partenza della pratica politica del presente, almeno finché sarà vivo il nostro attuale sistema legale e costituzionale. Il fascismo come ideologia e movimento rivendica con orgoglio di essere antidemocratico; perciò, se davvero in piena coscienza la destra di governo si considera democratica, non può non dirsi antifascista. Non potrebbe, meglio: perché in effetti non lo fa. O spiega che dipende – e finendo per creare un problema non solo all’equilibrio della vita pubblica nazionale, ma anche a se stessa.
Ecco, noi (che siamo forse ingenui) abbiamo una domanda da rivolgere ai nuovi potenti d’Italia: che cosa vi costa dirvi apertamente antifascisti, anziché trincerarvi dietro espressione ambigue, generiche, vuote? Non per polemizzare, ma solo per capire.
Quanto, per chiudere su un tema à la page, ai cortei del 25 aprile, ci piace ricordare che la festa della Liberazione fu istituita nel 1946 con Decreto Luogotenenziale, a firma dunque di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte, in seguito Sua Maestà Re Umberto II; certo, poco dopo sarebbe arrivato il 2 giugno e il cambio di struttura istituzionale. Ma appare evidente che, se in occasione del referendum avesse prevalso la scelta monarchica, cortei, comizi e sfilate in quella data li avremmo avuti comunque, se non altro perché tutti i partiti di massa, pur nelle differenti posizioni, erano uniti dal paradigma antifascista. Dai monarchici ai comunisti, difficile non riconoscervisi, dunque – salvo se (in piena legittimità, sul piano individuale) non si abbia simpatia per il fascismo. Anche per questo, avere tanto a lungo snobbato – ci si passi il brutto termine – il 25 aprile, rendendosi essa stessa responsabile di uno scarto a sinistra che ora lamenta, è di nuovo controproducente in primis per la destra stessa. E un’altra volta ci chiediamo, perseverando forse nell’ingenuità: perché?

Jacopo Marchisio

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One thought on “Cortocircuiti storici e domande (forse) ingenue”

  1. Eh già, perché si chiede Jacopo Marchisio (a cui diamo il nostro più cordiale benvenuto su queste pagine) questa destra postfascista e postmissina continua a snobbare il 25 aprile nel momento stesso in cui si autoproclama democratica e, nei fatti, pienamente integrata nelle istituzioni della Repubblica italiana democratica, repubblicana e antifascista, secondo il dettato costituzionale? Semplice: perché da neofascisti come ancora erano nel MSI, sono diventati antiantifascisti, per questo non possono dire di essere antifascisti, come dimostrato dai solenni discorsi di Giorgia Meloni al Senato e poi alla Camera, nei quali non si accenna nemmeno di sfuggita alla Resistenza e al sangue versato per la nostra Liberazione dal nazifascismo. Dettagli, come scrive Marchisio, ma molto significativi: ex ungue leonem.

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