Coraggiosi o temerari
CORAGGIOSI O TEMERARI?
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CORAGGIOSI O TEMERARI?
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Tanto tuonò che piovve. Dopo l’estenuante braccio di ferro tra il Ministro del Tesoro Tria e i due vice-premier Salvini e Di Maio, alla fine l’hanno spuntata questi ultimi, superando di gran lunga il rapporto deficit/Pil dell’1,6%, voluto da Tria, per assestarsi sul 2,4%. Apriti cielo: le opposizioni, dal PD a FI, si sono scatenate in previsioni apocalittiche, prevedendo una abnorme crescita del debito pubblico, con conseguente rovina dei risparmi degli italiani e nuova miseria per i giovani. Come prima osservazione, vorrei che i contestatori mi spiegassero come mai non usavano gli stessi foschi pronostici mentre il debito continuava a salire, soprattutto a partire dal fatidico 2007, anno di inizio della recessione. Un grafico aiuta a meglio avallare le mie parole.
https://www.blia.it/debitopubblico/ Grafico storico Debito Pubblico vs PIL. Si noti la tumultuosa crescita del debito pubblico dell’ultimo decennio, mentre il Pil segnava il passo. Chiaro segnale che le politiche di austerity erano fallimentari.
Dalla caduta del governo Berlusconi -casus belli la quota italiana da devolvere all’ESM -, le cure da cavallo all’insegna dell’austerity promulgate da Monti, e poi proseguite col governo Renzi, avevano conseguito il fantastico risultato di deprimere la produzione di beni e i soldi in circolazione, mentre precarietà, disoccupazione, fallimenti e debito pubblico toccavano vette mai raggiunte prima. In sostanza, i tagli alla spesa pubblica, al welfare, alle pensioni, nonché la generale caduta delle retribuzioni, da attribuire alla sconsiderata apertura dei confini a stranieri disposti a tutto pur di rimediare pranzo e cena, e, se non bastasse, l’inerzia di fronte al fenomeno delle delocalizzazioni, tutto ciò aveva generato una crescita inedita del numero dei poveri, la chiusura di innumerevoli imprese e un profondo degrado urbano e sociale. Eppure, quelle opposizioni che, quando erano al governo, hanno determinato con le loro politiche recessive questi angosciosi fenomeni, hanno oggi il coraggio di criticare chi, visti i loro infausti risultati, e nonostante la bocciatura elettorale, osa battere una strada diametralmente opposta, infischiandosene dei soloni di Bruxelles. Soloni che quelle stesse politiche non hanno fatto che propugnare, minacciando sanzioni, dirette e indirette, tramite i “mercati” e le agenzie di rating americane, a chi osasse trasgredirle. Qualche punto decimale di deficit in meno valeva bene la sofferenza di un popolo!
Il PD, erede di una sinistra dichiaratamente per il popolo, gli ha volto le spalle, inseguendo i circoli finanziari
Vorrei qui ribadire quanto già detto a più riprese in passato: non si equipari la contabilità dello Stato a quella familiare o aziendale. La seconda deve prima avere i soldi e poi spenderli; la prima i soldi li crea e poi li spende. Questo, in uno Stato sovrano. I soldi devono nascere così: entrare in circolo per esigenze di pubblica utilità, non dai computer di una banca privata, che poi ne chiede la restituzione, allo Stato o a cittadini e imprese, più gli interessi: questo si chiama parassitismo, usura, sfruttamento. Ma purtroppo, lo Stato attuale NON è sovrano e si è ridotto a chiedere soldi in prestito mediante le aste dei suoi titoli, a tassi decisi dai mercati, creando il famigerato debito pubblico, prova tangibile della sua impotenza. Sic stantibus rebus, il bivio che M5S e Lega si sono trovati di fronte era: aumentare il debito pubblico sulle orme dei loro predecessori, mentre il Paese continuava ad arrancare in ginocchio; o invece aumentare sì il debito pubblico, ma facendo partecipe gli italiani delle risorse che tale aumento avrebbe messo a disposizione, anziché lasciarlo inghiottire dalla mala gestione dei governi passati? Forse non si trattava neppure di coraggio, men che meno di temerarietà: era una scelta obbligata. A confermare l’idoneità della scelta c’è anche una considerazione, piuttosto intuitiva, se non elementare, anche senza scomodare la teoria keynesiana del moltiplicatore monetario: se metti soldi in tasca alla gente, soprattutto a quella più indigente, questi entrano subito in circolo, non finiscono in Borsa, così incrementando i consumi e dando avvio a nuovi investimenti produttivi, assunzioni di personale, maggiori disponibilità per opere pubbliche, e così via, mentre le tasse avranno la preminente funzione di raffreddare un’economia troppo esuberante e relative spinte inflative, anziché quella oggi prioritaria di pagare il disavanzo causato dagli interessi sul debito pubblico.
Denaro vero, contro numeri su un PC. “Vero” però significa soprattutto “pubblico”. Non lo sono né le banconote, legali, né il denaro digitale, fuori legge
Ciò detto, le forze avverse in campo sono formidabili. E sono tali perché i “saggi” governi precedenti, guidati dal nocchiero Padoan, non hanno saputo fermare il travaso della ricchezza nazionale dall’economia alla finanza. Quella finanza che oggi ringhia al nobile tentativo del governo attuale, vedendo la sua determinazione di marciare in senso contrario, sottraendo alla finanza almeno parte delle risorse scippate all’economia reale, a partire soprattutto dal 1999, quando quell’anima candida di Bill Clinton abrogò la Glass-Steagal Act che, dopo la tragedia del 1929, tendeva a relegare al suo giusto posto la finanza, separando banche d’affari e banche di risparmio. Oggi le banche sembrano dare la preminenza a giochi borsistici, promozioni commerciali e vendite immobiliari, rispetto ai loro compiti statutari e di legge, dopo essersi appropriate, contra legem, della fabbricazione di denaro dal nulla. E qui torniamo al mio chiodo fisso: se l’attuale governo oserà mettere in circolazione perlomeno dei voucher, garantiti dallo Stato, per pagare le opere di pubblica utilità (sia chiaro, non cattedrali in odore di piaceri alle mafie), i quali voucher siano poi abilitati al pagamento di tasse e quant’altro dovuto alla pubblica amministrazione, ciò non inciderà di 1 euro sul debito pubblico, limitandosi ad essere una semplice partita di giro tra Stato e cittadini, privati o imprese. (Una simile idea, di marchio leghista -i mini-BOT di Borghi-, è poi caduta nel dimenticatoio). Un plauso dunque da parte mia al governo giallo-verde per aver fatto spallucce alle minacce dei mercati, con l’auspicio che, passo dopo passo, si arrivi finalmente alla moneta pubblica; che poi la si chiami come si vuole, conta poco. Solo allora potremo definirci, a pieno titolo, uno Stato indipendente. Il rischio che stiamo per correre, inutile nasconderlo, è grande, perchè il governo è costretto, grazie all’eredità lasciatagli da tutti quelli precedenti, a combattere con un braccio legato dietro la schiena. Ma la posta in gioco -gli interessi degli italiani e non più delle caste- è tale che vale la pena correrlo.
Marco Giacinto Pellifroni 30 settembre 2018 |