Consolazione di massa

CONSOLAZIONI DI MASSA

CONSOLAZIONI DI MASSA

 L’ormai certificata diffusione del malessere individuale, clinicamente classificato come depressione e, in subordine, ansia, produce, come risultato ultimo, ciò che collettivamente viene rubricato come malessere sociale. La risposta, rispettivamente medica e politica, si sostanzia in pillole chimiche ricorrenze storiche.

Le une, come brevemente riportato in mio precedente articolo [Vedihanno rivelato la loro inutilità e anzi dannosità per chi le assume, di contro a sostanziosi utili per chi le produce; le altre, come il trascorso 25 aprile od ogni altro pretesto per radunare genti e bandiere nelle piazze, svolgono la funzione di condannare passati errori per sottolineare, di contro, la validità sociale dell’attuale sistema, dichiaratamente democratico, ossia scelto per volontà popolare. [Vedi]

Dunque, individui e società, quasi fossero enti separati. Mentre i primi sono il risultato della mala gestione della seconda, ossia della cattiva politica.

 


Farmaci e commemorazioni: gli antidoti alla frustrazione individuale e popolare

 

Ma c’è da chiedersi se, nei postumi della visione illuministica in cui ci siamo condannati a vivere, sarebbe in effetti possibile una “buona politica”. In sostanza, la politica, entro i ristretti margini di manovra in cui è costretta a muoversi, non può che essere così matrigna come siamo ormai adusi a vederla? Potrebbero davvero i nostri governanti, o presunti tali, agire nel sociale in maniera tanto diversa da quella in cui ormai da decenni agiscono? È vero, come ci hanno inculcato, che la democrazia è la migliore forma di governo possibile, che l’attuale è davvero democrazia e che i governanti agiscono in autonomia?

Queste domande sono cruciali, perché conducono ad un profondo riesame sull’attuale sistema di governo, se sia davvero il migliore e, in caso negativo, se esistono alternative percorribili. Il pensiero unico ci ha convinti che questa democrazia e questo sistema economico non abbiano alternative plausibili. 

Dopo 70 anni di democrazia, questa ha rivelato i suoi difetti di fondo, che si riducono sostanzialmente: ai suoi metodi elettivi, esposti ad ogni genere di clientelismo, favoritismo, corruttela; alla breve durata di ogni legislatura, che spinge a delineare programmi di miope visione, per raccogliere facili consensi a breve termine e a mietere alla svelta i frutti, anche personali, di quanti godono del nuovo o rinnovato “stato di grazia”; a concentrare nelle mani di pochi la rosa dei candidati e, se eletti, al loro condizionamento se si discostano dalle indicazioni di quei pochi; alla disciplina di partito, che toglie peso alle decisioni dei singoli secondo coscienza nei dibattiti e votazioni parlamentari.

Quanto al sistema economico, l’implosione del sistema pseudo-comunista ha portato alla conclusione che sissignori, il capitalismo è senza alternative. Eppure, è un sistema che privilegia proprio il contrario della tanto decantata democrazia; è il motivo principe per cui la democrazia, ossia la solidarietà, l’eguaglianza, le pari opportunità sono inattuabili, in quanto capitalismo significa proprio il loro contrario: egoismo, diseguaglianze, perdita della dignità in ambito sociale e lavorativo. In sostanza, democrazia e capitalismo sono inconciliabili.

Se a tanto aggiungiamo l’insostenibilità ambientale del capitalismo, che si attua mediante la rapina, oltre che dei lavoratori, dell’ambiente a livello globale, c’è da chiedersi su quali basi si fondi questo conculcato amore per tale sistema, che sta portando il mondo verso la catastrofe.

 

Il mitico luogo-simbolo della democrazia: l’Agorà di Atene. Quanto ne siamo lontani?

 

 Quindi, stiamo vivendo in una realtà in cui: a) il sistema democratico è ravvisabile soltanto nei discorsi di circostanza che le autorità ci ammanniscono nelle varie celebrazioni -ultima quella del 1° maggio- che costellano il calendario civile, in aggiunta alle celebrazioni religiose, ormai altrettanto svuotate di significato per le masse secolarizzate; b) il sistema economico, oltre a mettere ciascuno di noi in competizione con tutti gli altri, in una stracciona lotta tra poveri, vede divari retributivi tra vertice e base impensabili solo una generazione addietro; mentre l’imperativo della crescita fine a se stessa nel vano tentativo di compensare i guasti sociali della moneta a debito e interessi porta all’iper-consumismo e al saccheggio ambientale.

C’è da stupirsi, vista la crescente consapevolezza di questi controsensi, se depressione ed ansia crescono in maniera esponenziale, come la vendita di farmaci dedicati non fa che documentare? [Vedi e Vedi ]

In sostanza, l’attuale sistema di vita è incompatibile con la nostra psiche: come puoi essere sereno sapendo che ogni tuo passo, pur obbligato, nonché migliorare la vita tua e degli altri, non fa che peggiorarla? 

Oltre all’impatto del sistema sociale ed economico, c’è da aggiungere, last but not least, quello tecnologico. Per subito  accorgersi che la finalità della tecnologia, alla pari di democrazia e capitalismo, non è indirizzata al benessere della gente, bensì al profitto di chi ne detiene le chiavi, generando così il sistema, o meglio il regime tecnocratico, in tumultuosa espansione sotto i nostri occhi. 

 


Dove finisce l’io e comincia l’esso?

 

 Ogni nuova irruzione tecnologica nella nostra esistenza ci viene magnificata come apportatrice di progresso e benessere -e in campo medico ciò è in parte vero- mentre in generale finisce col creare grandi corporation tecnocratiche il cui potere sopravanza e condiziona quello dei governi, alla pari delle grandi banche d’affari: grattacieli dalle basi d’argilla e ormai indistinguibili dalle corporation tosto menzionate.

Le invasioni di campo della tecnologia (specularmente paragonabili a quelle etniche con gli ingressi via mare e terra di immigrati clandestini) sono ormai ben radicate e apparentemente inestirpabili. Tali sono in quanto ci hanno resi dipendenti dai loro prodotti: le persone non si avversano più, come nei sistemi dispotici; si cooptano, attraverso le merci, sempre più sofisticate e invasive, come le ultime generazioni di telefonia mobile non fanno che confermare; ultima quella del 5G, di ormai comprovata pericolosità psico-fisica, mentre ogni residua privacy individuale resterà un pallido ricordo. [VediMa la penetrazione dell’ultima tecnologia si insinua sempre più nel nostro corpo, nel nostro cervello, con gli avanzamenti dell’intelligenza artificiale, delle nanotecnologie, in particolare della nano robotica. L’umanità è fusa già oggi con la tecnologia: basta guardare la folla di individui costantemente incollati allo smartphone.

 

  

“Tutti saranno connessi nel medesimo sistema nervoso globale”. A quale prezzo?

 

Ma il passo successivo, di prossima realizzazione, è l’”Internet dei pensieri”, ossia l’interfaccia diretta, wireless, cervello/internet (B/Cl, cioè brain/cloud). “I nanorobots neurali fornirebbero un monitoraggio e un controllo diretto e in tempo reale dei segnali da e verso le cellule cerebrali.”[Vedi e VediIl che significa poter penetrare il cervello umano dall’esterno, conoscerne e influenzare il pensiero, in pratica poter teleguidare la psiche, collegando neuroni e cloud computing in tempo reale. E significa anche svaporare la personalità di ciascuno di noi, cancellarne progressivamente l’identità, secondo ordini esterni, senza neppure la tua consapevolezza. “Neuroschiavi” e “Tecnoschiavi” di Marco Della Luna trattano il tema senza pietosi eufemismi.

 

 

 

Ormai non vede soltanto chi non vuol vedere, come quanti ballavano sul Titanic mentre affondava. L’ignoranza ha il pregio di rimuovere il dolore. A molti di quanti invece son desti e vedono lo squallore di una società in cui un’élite ha rubato il futuro alla moltitudine, si spalancano le porte della depressione, che non è una malattia, ma una reazione fisiologica ad una situazione di estremo disagio e mancanza di prospettive; esaltata dalla crescente indigenza economica e dissoluzione famigliare.

Il già citato libro “La fine del buio”[Vedidocumenta, attraverso ricerche mediche su ampi campioni di intervistati, che la principale fonte di depressione è proprio l’assenza di futuro. Un’assenza che la precarizzazione del lavoro ha diffuso a piene mani, sia tra i giovani, impossibilitati a pianificare una famiglia, sia tra gli over 50 che il lavoro l’hanno perso e non se ne prospetta uno nuovo. Fenomeno enfatizzato dall’avanzata della macro robotica, che toglie all’uomo per dare alla macchina, secondo regole di risparmio e quindi competitività, consone al sistema capitalistico, che privilegia il profitto immediato: le Borse festeggiano quando si tagliano posti di lavoro. 

Insomma, la democrazia è piena di falli, il capitalismo ignora il benessere sociale, la tecnologia rende l’uomo un mero accidente, superfluo ed eliminabile, per privilegiare computer e robot. In questo contesto di dispensabilità della figura umana, l’estrema prolificità delle nazioni “emergenti” minaccia la placida senilità di quelle “avanzate”. Ergo, la soluzione finale, di sapore hitleriano, non potrà essere che una, secondo gli aridi schemi tecnologico-capitalistici: ridurre il numero di umani. Altro che Save the children. Non sappiamo in qual modo, perché se ne parla nei think tank, non certo nei comizi elettorali; ma non ci sono soluzioni morbide: l’istinto animale di disseminare la propria razza è insopprimibile nelle popolazioni ancora in bilico tra l’atavica vita tribale/rurale e quella “occidentale”. Paradossalmente, però, è più probabile che una drastica riduzione della popolazione avverrà, non già nelle nazioni emergenti, bensì proprio in quelle avanzate, grazie al nostro più intenso uso di cellulari, che deprimono la fertilità maschile. L’avvento del 5G potrebbe portare alla nostra totale sterilità, senza ritorno. E in tempi molto rapidi.[Vedi] 

 

 

 Se gli umani sono diventati superflui e solo fonte di disturbo, il passo verso la loro riduzione sarà breve. Ma sembra che comincerà nell’Occidente “evoluto”, per un’eterogenesi dei fini

 

Il non vedere -allo stato attuale di invasiva dominazione, fisica, culturale e psicologica, delle pseudo-democrazie capitalistiche- percorribili vie d’uscita, non fa che alimentare il senso di profonda frustrazione e angoscia che, in forma patente o latente, intristisce gran parte dei contemporanei occidentali. Quando intravvediamo, dietro le sbarre dei camion che trasportano impauriti animali al macello, i loro musi consapevoli, stiamo anche guardando noi stessi.

Il risveglio, la riscossa, insomma la rivoluzione, contro un potere asserragliato dietro possenti valli e mura tecnologiche, che a cadenze prefissate ci impartisce pillole di saggezza, come altrettante omelie pastorali -in realtà fumo negli occhi- richiederebbe altrettanti mezzi, soprattutto di coesione e consapevolezza, oggi assenti o in troppo lenta diffusione. L’unica forma praticabile di dissenso, che arrechi reale disturbo al sistema vigente, è rimasta quella, ignominiosa, del terrorismo. Ignominiosa in quanto a farne le spese sono proprio le popolazioni che si pretenderebbe salvare. Del terrorismo non sono condivisibili né i metodi, che mietono vittime innocenti, né i fini, visto il genere di vita imposto da organizzazioni criminali come l’Isis o Boko Haram alle popolazioni sottomesse con la forza.  

 

Indiani americani: un popolo fatto di tante tribù in pace col proprio territorio.

Decimati dai “bianchi”

 

Tuttavia, come ho più sopra descritto, i metodi attuati dai sistemi detti democratici di dominazione, fisica e psicologica delle genti (guerre a parte, che pur rientrano nei metodi praticati, sotto giustificazioni “nobili”) sono certamente meno cruenti di quelli terroristici, se con tale aggettivo ci riferiamo al mero spargimento di sangue; ma lo stress e, in numerosi casi, la disperazione e l’angoscia che questo sistema dissemina non sono di gravità molto inferiore: togliere il futuro ad una persona non è così lontano dall’ucciderla. 

Gli indiani d’America, confinati in riserve come animali negli zoo, sono esempi molto eloquenti di uomini ridotti a morti viventi per il furto del loro passato e, conseguentemente, del loro futuro, in un mondo che non è più fatto per loro. Del resto, gli indiani d’America si resero subito conto dove sarebbe andato a parare un sistema di vita così disconnesso dall’ambiente naturale e dalle sue rigide regole. Il titolo del libro “Uomo bianco scomparirai” dipinge impeccabilmente dove la nostra protervia ci porterà. 

 

Marco Giacinto Pellifroni                 5 maggio 2019

 Visita il blog  https://www.marcogiacinto. com

 

 

 

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