Considerazioni sulla povertà

IL VOLTO DELLA MEMORIA
(Quarantaduesima parte)
CONSIDERAZIONI SULLA POVERTA’

IL VOLTO DELLA MEMORIA
(Quarantaduesima parte)
CONSIDERAZIONI SULLA POVERTA’

Proponiamo, all’attenzione dei nostri Carissimi Amici Lettori, un breve tratto della lettera scritta da PAPA FRANCESCO PER IL VERTICE DI PANAMA E LETTA DAL SEGRETARIO DI STATO VATICANO, PIETRO PAROLIN ALLA PRESENZA DI BARACK OBAMA E RAUL CASTRO:

“NON POSSIAMO NEGARE CHE MOLTI PAESI HANNO SPERIMENTATO UN FORTE SVILUPPO ECONOMICO NEGLI ULTIMI ANNI, PERÒ È ALTRETTANTO VERO CHE ALTRI CONTINUANO PROSTRATI NELLA POVERTÀ.

PER DI PIÙ, NELLE ECONOMIE EMERGENTI, GRAN PARTE DELLA POPOLAZIONE NON HA BENEFICIATO DEL PROGRESSO ECONOMICO GENERALE, AL PUNTO CHE FREQUENTEMENTE SI È APERTO UN DIVARIO MAGGIORE TRA RICCHI E POVERI. LA TEORIA DEL “GOCCIOLAMENTO” E DELLA «RICADUTA FAVOREVOLE» SI È RIVELATA SBAGLIATA: NON È SUFFICIENTE SPERARE CHE I POVERI RACCOLGANO LE BRICIOLE CHE CADONO DALLA TAVOLA DEI RICCHI.

SONO NECESSARIE AZIONI DIRETTE A FAVORE DEI PIÙ SVANTAGGIATI, L’ATTENZIONE PER I QUALI, COME QUELLA DEI PIÙ PICCOLI ALL’INTERNO DI UNA FAMIGLIA, DOVREBBE ESSERE PRIORITARIA PER I GOVERNANTI.”


Paolo Parolin e Papa Francesco

 Di fronte a queste ALTE E NOBILISSIME PAROLE, sono istintivamente tornati alla nostra attenzione, con il VOLTO DALLA MEMORIA, due articoli di ALDO PASTORE, inseriti nella pubblicazione “L’ALTRA CITTÀ”, così intitolati e datati:

– CONSIDERAZIONI SULLA POVERTÀ (15 maggio 1995)

 – AUMENTA IL RISCHIO POVERTÀ (22 febbraio 1996)

Riproponiamo gli articoli (in due successivi parti) all’esame dei nostri Amici Lettori

 CONSIDERAZIONI SULLA POVERTÀ

Le cronache locali hanno riportato, con un certo rilievo, la notizia del decesso, nella nostra città, di Rodo Stomak, cittadino croato, di 53 anni; il suo cadavere, in avanzato stato di decomposizione, è stato rinvenuto in uno stabile fatiscente, ubicato nell’area dove sarà realizzato il complesso residenziale della Torre di San Michele.

L’evento è stato commentato, con interpretazioni molto simili, sia pure con accenti diversi, da sociologi, da sindacalisti, dai volontari della Parrocchia San Paolo; i commenti (molto seri ed, in larga misura, condivisibili) hanno richiamato l’attenzione di tutti noi su quella vasta area di povertà e di emarginazione che fa parte integrante della nostra società e che tocchiamo con mano, ad ogni angolo delle città, durante il trascorrere delle nostre ore quotidiane.

Il ritmo frenetico della vita ci porta, tuttavia, ad interessarci, fatalmente, di altri problemi ed a dimenticare, con una velocità. incredibile, fatti spiacevoli, come quello sopra evidenziato.


 Ritengo, invece, che qualche ulteriore riflessione, su questo argomento, vada fatta, per la semplice ragione che la povertà, in questi ultimi dieci anni, è diventata un fenomeno a dimensioni universali e talmente macroscopico e diffuso da preoccupare seriamente le principali organizzazioni umanitarie e sanitarie, nazionali ed internazionali.

Ho sotto gli occhi il recentissimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: in esso si afferma esplicitamente che “la prima malattia del nostro pianeta è la povertà”.

L’OMS sostiene che il problema della “salute per tutti” non è un problema di conoscenze, ma di sviluppo sociale e civile, non di tecnologie ma di eguaglianza, non di scoperte scientifiche ma di accesso ai servizi sociosanitari, e, di conseguenza, di accesso a tali scoperte.

In un’altra parte del rapporto, viene testualmente affermato “Per la maggioranza della popolazione mondiale, ogni momento della vita, dall’infanzia alla vecchiaia, si svolge sotto l’ombra gemella della povertà e dell’ ineguaglianza e sotto il fardello della sofferenza e della malattia”.

Le nubi ed i regressi non riguardano soltanto i Paesi del Terzo del Quarto Mondo (in Uganda, nel Congo, nello Zambia la durata media della vita, a causa delle malattie indotte dalla povertà e dalla fame, è ridotta a 42-43 anni, quasi la metà di quella riservata ai cittadini del Nord del Mondo). Ma anche in gran parte delle Nazioni più evolute si evidenziano sacche crescenti di emarginazione, di povertà e di ingiustizia che generano malattie; nelle megalopoli di New York, la durata media della vita, tende ora, a diminuire, dopo cent’ anni di costante progresso; sempre a proposito di questa città meritano di essere segnalate le recenti osservazioni del New York City Hearth Department secondo le  quali “l’aspettativa di vita per gli uomini della città sta diminuendo, per la prima volta, dalla seconda guerra mondiale”.


 Analoghe considerazioni si possono fare per la Gran Bretagna: la città di Glasgow ha due quartieri (Easterhouse e Possil) dove sono concentrati i nuovi poveri; l’aspettativa di vita in questi due quartieri, (a causa della disoccupazione, dell’antigienicità delle abitazioni, della fame) è di dieci anni inferiore  a quella delle “zone ricche” della città. Per quanto concerne la Francia, il rapporto dell’OMS evidenzia che “infezioni, parassitosi e malattie respiratorie hanno causato 24.000 morti nel 1990. il doppio di quanto fosse stato registrato nel 1980;” la mortalità dovuta a broncopolmonite è triplicata nel giro di dieci anni”.

Ben più gravi indicazioni ci arrivano da alcune aree dell’Est Europeo (Russia e Romania in particolare); in altre zone geografiche molto vicine a noi (Bosnia, Croazia, Montenegro, Albania) la povertà e l’incidenza di malattie ad essa collegate hanno assunto aspetti tragici ed hanno condotto ad emigrazioni e fughe di massa, di dimensioni apocalittiche e bibliche.

L’Italia si trova, quindi, in “buona compagnia” e l’esito tragico di Rodo Stomak non è certamente un caso isolato, interessante soltanto la nostra città o riguardante, unicamente, la popolazione immigrata.

Alla luce di questi fatti e di questi dati statistici, possiamo considerare spropositata o enfatica la domanda che, per tutti noi, ha posto, recentemente, Giovanni Berlinguer su di un quotidiano nazionale: “Dopo due secoli, il mondo torna indietro?”.

Desidero semplicemente ricordare, a tal proposito, che proprio duecento anni fa, Johann Peter Frank (il grande igienista che riorganizzò, per incarico dell’Impero austro-ungarico, i servizi sanitari della Lombardia) aprì, a Pavia, il suo corso di lezioni universitarie con una prolusione intitolata: “De populorum miseria morborum genitrice”.


Johann Peter Frank

La storia di questi ultimi due secoli ci dimostra che, proprio sulla base di quegli insegnamenti e sulla spinta dei grandi movimenti sindacali e politici, è stato possibile socializzare a vantaggio di molti (se non di tutti) gli straordinari progressi delle scienze biomediche ed è stato consentito di migliorare, in misura consistente, la condizione sociale e la salute dei popoli.

Non ho certo la pretesa o la presunzione di indicare le cause dell’attuale regresso; ho l’impressione, tuttavia, che le grandi ideologie che hanno animato culturalmente questi ultimi due secoli abbiano esaurito la loro “spinta propulsiva”; del pari mi pare che il colonialismo, il capitalismo selvaggio, il reaganismo ed il thatcerismo (da un lato) ed il collettivismo autoritario e burocratico dei Paesi dell’Est (dall’altro lato) abbiano dimostrato i loro limiti invalicabili; anzi v’è da chiedersi se, per caso, un certo modo di concepire e di esercitare il potere abbia contribuito, o meno, a generare l’attuale collettivo regresso.

Tutti sentiamo l’esigenza di un nuovo ordine mondiale (politico ed economico); secondo le indicazioni della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità è necessario un forte impegno politico per porre il benessere e la salute al centro dello sviluppo e poiché. negli ultimi quindici anni, al centro di ogni attenzione vi sono stati soltanto i valori economici e monetari (che possono essere uno strumento, ma non uno scopo), procedere nella direzione indicata dall’OMS vorrebbe significare capovolgere i termini del problema e compiere una vera ed autentica rivoluzione


Ma una rivoluzione pacifica di questo tipo presuppone l’accettazione, da parte dell’intera collettività mondiale, di alcuni principi di importanza fondamentale per tutti; mi riferisco al rispetto della dignità e della libertà di ogni essere umano, all’osservanza dei valori della giustizia, della solidarietà, del lavoro, della sicurezza e, soprattutto, al riconoscimento del diritto ogni popolo di perseguire la strada dello sviluppo economico è sociale che, maggiormente, si addice alla sua cultura ed alla sua tradizione; in tal senso fondamentale e decisivo mi sembra l’apporto, sul piano politico e culturale, del pensiero di uomini come Raoul Follereau e come Albert Tevoedjrè; d’altra parte guai a noi, se pretendessimo di esportare il modello di sviluppo del mondo occidentale industrializzato ai Paesi dell’ Africa e dell’Asia: arriveremmo, molto presto, alla fine della vita su questo nostro povero Pianeta.

Mi rendo conto di essere andato molto lontano, con queste mie riflessioni e considerazioni e di aver toccato i confini dell’utopia e dell’irreale; penso, peraltro, che nessuno di noi possa attendere, passivamente, promesse messianiche, perché è finito il tempo dei profeti.

Ognuno di noi deve portare il proprio mattone alla costruzione della casa del nuovo ordine mondiale, partendo dai suoi ideali e dalla propria condizione e facendo tesoro delle proprie esperienze vissute, e, soprattutto, cercando la solidarietà ed il consenso dei suoi simili.

Ora più che mai risultano estremamente attuali e ricche di un grande significato etico le parole di Ernesto Balducci:

“lo devo preoccuparmi di non tagliare i rapporti con il grosso della carovana, perché l’importante non è andare avanti; è andarci tutti insieme. Ecco il nostro dovere: andare tutti insieme.

Dobbiamo fare di tutto per persuadere i nostri compagni di accampamento che è l’ora di camminare. Senza questa convinzione diffusa, l’andare avanti significa spezzare l’unità profonda del popolo.

L’obiettivo del nostro impegno, dunque, non è tanto di perorare la causa del camminare in sé, che può significare perdere contatto con il popolo, cioè con la società di cui si fa parte, ma di far penetrare le ragioni del cammino nella coscienza di tutti.

Questo è l’obiettivo che dobbiamo perseguire.”

ALDO PASTORE

 Savona, 15 maggio 1995

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.