Comunque sia finita…

 Comunque sia finita la democrazia italiana
è ormai un’anatra zoppa.
E i salotti sono usciti allo scoperto

Comunque sia finita la democrazia italiana
è ormai un’anatra zoppa.
E i salotti sono usciti allo scoperto

 Impressionante sentire insieme Sallusti, Mieli e Cacciari, il portavoce della rivoluzione liberaldemocratica promessa nel 1994, la coscienza critica della sinistra perbene e benestante e l’ideologo della sinistra rigenerata e ripulita dalle scorie del marxismo, tre teste della stessa idra, maestri della nuova sofistica capaci di sostenere due tesi opposte e contraddittorie nella stessa frase e di accusare Di Maio e i Cinquestelle di incoerenza. Sorridono degli sprovveduti saltimbanchi pentastellati mentre blandiscono Salvini, convinti che il governo gialloverde sia ormai scongiurato, Salvini diventato improvvisamente un accorto e coerente politico dopo essere stato ventiquattro ore prima un pericoloso cialtrone; rinnovano il canto delle sirene e attaccano il Contratto che ora è un cumulo di sciocchezze ora una mina capace di far saltare per aria l’Italia. 

 
Paolo Savona e il contratto di Governo

Ma allora il problema era Savona o il contratto? E se era il contratto Savona, per il quale ci si spende ora in lodi sperticate, convinti che si sia deciso a godersi la pensione, è stato solo un pretesto. Ma la cosa più nauseante è l’insistenza sull’infantilismo pernicioso del Contratto glissando sul fatto che Savona, riconosciuto ora come economista di caratura mondiale, persona seria, ecc, l’aveva preso per buono e l’aveva tranquillamente avallato. Puerile e disastroso per le finanze pubbliche quel Contratto: 100 miliardi di spese contro 500 milioni di entrate. Detto da gente che, in modo o in un altro, è stata contigua con chi in pochi decenni è riuscito a creare un debito di 2280 miliardi di euro e contemporaneamente il maggior tasso di povertà assoluta e relativa fra i paesi dell’OCSE fa venire il voltastomaco. Fatto si è che quelle tre facce allineate sono la rappresentazione icastica di come procedendo dalla base verso il vertice la distanza fra le diverse posizioni politiche si riduca fino ad annullarsi, di come lo scontro diventi dialettica, la dialettica chiacchiera da salotto e la chiacchiera da salotto mistificazione e autocompiacimento.

Ma è stata anche la sintesi di una giravolta dell’intellighenzia di regime, che dopo averne lodato, come ha fatto Macron, il coraggio e il senso di responsabilità, ha lasciato che Mattarella fosse ricoperto, come hanno detto i tre “da tonnellate di fango”, al quale con qualche palata hanno contribuito anche loro.


Conte, Di Maio e Salvini

Infatti l’unica cosa seria uscita dal terzetto è il riconoscimento, sia pure con motivazioni speciose e fuorvianti, che il Quirinale è uscito a pezzi da tutta questa storia. Ma non ne è uscito a pezzi solo il Quirinale. Ne è uscito distrutto il Pd, scopertamente ridotto al ruolo di defensor argentariie ne è uscita distrutta e screditata l’informazione. E se c’è una lodevole eccezione dobbiamo ringraziare il Manifesto, che a firma di Sivia Niccolai titola seccamente “Il presidente non può sfidare la maggioranza”. Ci voleva un quotidiano veterocomunista per dirlo.

Che la stampa, una parte, seppure minoritaria, dell’opinione pubblica e i soggetti direttamente interessati possano aver pensato anche solo per un momento che ci potesse essere in un Paese moderno un governo non solo privo dell’atto formale del voto di fiducia ma aprioristicamente ostile e osteggiato dal parlamento e che potesse rimanere in carica anche un solo giorno è una follia e la prova del degrado culturale, etico e politico nel quale versa l’Italia. Neppure in Africa, per non dire dell’America latina si sarebbe potuta non dico realizzare ma neppure immaginare qualcosa di simile. 

Semmai, con un atto di imperio, traumatico e rischioso senza dubbio ma in qualche modo giustificabile, si sarebbero dovute sciogliere le Camere sperando di poterle sostituire con un parlamento più accomodante, come ha fatto Maduro, che, con sistemi autoritari, antidemocratici, tutto quello che si vuole, ha però formalmente salvano il principio della sovranità popolare. Così invece si è preteso tornare alla charte octroyée, una sorta di fase di passaggio dall’assolutismo monarchico alla monarchia parlamentare, quando la sovranità popolare rimane in buona sostanza una finzione o una foglia di fico. Quando però il rapporto si rovescia e non è la carta espressione del sovrano ma è il sovrano espressione della carta, questa non è più semplicemente la foglia di fico che copre la variabile indipendente del potere ma il segnale che l’investitura viene dal basso, non dall’alto. In sintesi: il suffragio è storicamente determinato: può essere riservato a una minoranza di possidenti, può escludere gli incapienti o gli analfabeti, può escludere le donne, nel nostro ordinamento esclude i minori, ma senza di esso il potere è illegittimo; perfino i regimi militari ne hanno bisogno: si possono intimidire, blandire, corrompere gli elettori ma non esiste che se ne possa fare a meno.

 
Monti – Napolitano   Mattarella – Cottarelli

E invece si è pensato, anzi si è spudoratamente confessato, che se ne potesse fare a meno. Dimostrando un livello imbarazzante di ipocrisia o di crassa ignoranza si sono accostate le vicende di Napolitano-Monti a quella di Mattarella-Cottarelli. Con lo stesso Berlusconi che nel primo caso parlava non velatamente di colpo di Stato mentre apprezzava nel secondo l’assunzione di responsabilità del garante della costituzione. Monti si presentò davanti a un parlamento di cui godeva il pieno sostegno, Cottarelli si accingeva a entrarvi con la sua squadra come un intruso, accolto da un ululato di derisione o da un silenzio raggelante. Immaginiamo un parlamento che si sarebbe messo al lavoro autonomamente ignorando la presenza dell’esecutivo e varando da sé le leggi elaborate in aula e nelle commissioni, con i ministri che non muovono foglia: non è fantasia ma lo scenario che Mattarella, la Merkel, l’Europa e i salotti nostrani ritenevano praticabile. 

Gli stessi che si indignano se ci si azzarda a criticare l’operato di Mattarella o a mettere in discussione le sue qualità personali non si sono peritati a mettere in dubbio la sacralità del voto, che è un valore metagiuridico, il fondamento, prima che dello Stato e della società civile, della stessa convivenza fra gli uomini. Perché l’alternativa al voto è l’esercizio della forza, la sopraffazione, la guerra di tutti contro tutti. In democrazia non c’è spazio per il reato di lesa maestà, perché l’unica maestà è quella impersonale della legge e le norme che sanzionano il vilipendio sono una macchia nel nostro ordinamento. Sembra di essere tornati indietro di secoli, quando Luigi XIV poteva dichiarare “l’état c’est moi”. Ma lui lo faceva contro i poteri forti e per il bene dei francesi, non per asservirli all’impero germanico.


Merkel e Macron

Era ovvio che Mattarella aveva imboccato una strada senza uscita. Non so e non mi interessa perché l’abbia fatto: può darsi che, come i suoi predecessori abbia tentato di esercitare una legittima moral suasion e che abbia sottovalutato la forza e la compattezza politica gialloverde. Non è questo il punto. Il punto è l’incredibile disinvoltura con la quale prima durante e dopo uno strappo istituzionale e costituzionale gravissimo abbia goduto dell’approvazione, dell’incoraggiamento, del plauso della stampa e dalle televisioni, per non dire dei lacchè di Berlusconi e dell’inqualificabile Martina.  Per i politici italiani, per gli opinionisti italiani, per i conduttori televisivi italiani è normale che il Capo dello Stato (uso la maiuscola per rispetto della carica) consideri irrilevante che esiste una maggioranza in parlamento, che entri nel merito della storia delle due formazioni politiche che si sono alleate eccependo che in campagna elettorale si erano combattute, una circostanza che non gli doveva interessare, che si sia piccato  a rifiutare – e non poteva legittimamente farlo – il nome di Savona perché sgradito ai tedeschi, aggravando il rifiuto con una motivazione puerile, quella dell’aver scritto o detto qualcosa di negativo sull’euro, oltretutto non da politico ma come studioso e docente. Insomma, al conflitto di interessi, all’indegnità morale, alla fedina penale sporca, per giustificare il dissenso su un nome – che, comunque, non può essere un rifiuto, che la Costituzione non prevede –   si aggiunge ora il conflitto di opinioni.  De Nicola, se in coscienza non riteneva di poter avallare un provvedimento governativo, sapeva come fare. 

 
Martina e Berlusconi al Quirinale

Ma resto convinto che se non ci fossero stati l’approvazione, l’incoraggiamento, il plauso dei pennivendoli nostrani e delle quinte colonne tedesche, Mattarella non si sarebbe spinto a tanto. Invece ha aggiunto errore a errore pensando di poter nominare un governo destinato ad andare incontro non solo alla non-sfiducia o a una benevola astensione ma alla netta opposizione delle Camere. Altro che Messico, come avrebbe gridato Matteotti (ma oggi dovremmo dire Venezuela)!

 Ora questa brutta pagina della storia repubblicana si è chiusa ma sarebbe da ipocriti negare che il vulnusnon si rimarginerà facilmente. Mi auguro che sia comunque un incentivo per la riscrittura della carta costituzionale.

Per concludere. Non sono per niente sicuro che il problema fossero le idee di Savona sull’euro o, come dicono i Signori dei Salotti, le incongruenze e i costi del Contratto. Né sono sicuro che il manovratore esterno sia stata principalmente la Merkel. Chi ha assoluta necessità che in Italia ci sia un vuoto di potere è anche, se non soprattutto la Francia di Macron e la materia del contendere è quella di cui nessuno in questi mesi ha parlato: la Libia, i flussi migratori, il caos che i francesi stanno provocando nel Niger e nell’Africa sub sahariana. Bisognava impedire che la presenza di Savona desse peso a un esecutivo che, non potendolo bloccare, si è cercato di depotenziare facendolo passare per una banda di dilettanti allo sbaraglio.

  Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.