Comizi agrari e chinotto di Savona

Comizi agrari e chinotto di Savona
Fin dall’Ottocento ci si chiedeva come migliorare
le produzioni della terra

Comizi agrari e chinotto di Savona

 Ho trovato su una bancarella il fascicolo di cui qui riporto la copertina. L’oggetto è assai interessante, e testimonia un tempo non troppo remoto in cui si cercava di educare i contadini e in genere tutti quelli che avevano a che fare con l’agricoltura.


Ho letto (molto distrattamente) qualcosa sull’argomento, scoprendo che già fin dall’Ottocento ci si chiedeva come migliorare le produzioni della terra.

Si davano, allora, molte risposte. Soprattutto si percepiva la necessità di introdurre, innovare, mettere anche in dubbio quelle che erano le granitiche convinzioni (talvolta scaramantiche) portate avanti dal susseguirsi di generazioni. La fine del XIX secolo annunciava prepotente l’arrivo di un nuovo modo di vivere, di un nuovo mondo, tecnologico, industriale, scientifico. Anche nell’agricoltura si facevano avanti metodi, prodotti, sementi, studiate apposta per raggiungere buoni rendimenti, facilità di commercializzazione, di adattamento al clima, al suolo, al luogo.

Nei primi del Novecento, agronomi e genetisti illuminati (evidentemente non solo italiani) comprendevano quanto dal modello di agricoltura discendesse un certo tipo di società, e che solo in certe società si potevano sviluppare alcuni tipi di agricoltura. Spiego meglio: il lavoro necessario per la coltura degli ortaggi è molto diverso dalla raccolta della frutta o dalla coltivazione dei cereali. Si possono incrociare, queste colture. Ma in certe zone non è possibile. E il tipo di lavoro da svolgere modifica la forma della società.

Quasi l’agronomia, come tutte le scienze complete, si rende conto che importa essere interdisciplinari per comprendere i problemi, e raggiungere lo scopo: migliorare la produttività, la qualità e le condizioni di vita dei contadini.


In questo contesto è sempre da ricordare la celeberrima: “Inchiesta Iacini”, le cui conclusioni arrivarono nel 1884. Avrebbe dovuto essere una relazione generale sull’agricoltura, finì per mettere, per la prima volta, l’attenzione sul mondo dei contadini, fino ad allora (e ancora per un po’) povero, misero, analfabeta, denutrito, ammalato. Però, per la prima volta, qualcuno si occupa scientificamente o sociologicamente di loro, ponendo un punto di partenza. E soprattutto una prima legge: la qualità dell’agricoltura (produzione, valore) è legata alla qualità della vita di chi la conduce.

Dai primi anni del nuovo secolo, insieme alle innovazioni tecnologiche, ai concimi chimici, arrivano anche i comizi agrari, prima e le cattedre ambulanti di agricoltura, poi. I Comizi Agrari avrebbero dovuto essere uffici stabili, a cui il contadino avrebbe potuto ricorrere. Ma si capisce presto che non sono abbastanza efficaci. Il lavoratore della terra deve essere inseguito sul campo. Non ha tempo e voglia di mettersi per strada e perdere tempo, per arrivare fino al paese dove ascolta parole che non sempre capisce. La Cattedra Ambulante risolve la questione: sarà il direttore con i suoi docenti a raggiungere i contadini sul posto, a guadagnarsi la loro fiducia, a mostrare come, cosa, quando, perché.

  
Stefano Iacini

A Savona il direttore della Cattedra riesce a fondare una rivista (“Sabazia e Ingauna Agricola”, conservata in numerose copie presso la biblioteca civica savonese) e una serie di piccole monografie. Le pubblicazioni, sia chiaro, non sono destinate al contado, ma piuttosto alla piccola borghesia che sui contadini vive, ai commercianti, ai trasformatori.

L’idea della Cattedra è che ogni luogo può avere prodotti peculiari interessanti, validi, redditizi. Che non si può seminare dappertutto la stessa cosa, ma occorre ricercare, in base alla variabilità del clima, della terra e delle consuetudini locali, cosa coltivare e commercializzare, cosa potrebbe essere utile introdurre e cosa eliminare.

Mentre racconto questo, ricordiamo che passa una guerra mondiale, e proprio i contadini pagano il conto più alto. Ma si rialzano, come sempre.

Arriva, quindi, il fascismo, il quale costruisce una enorme retorica sul mondo rurale, mettendolo in luce come mai nessuno prima aveva fatto. Questo fa ben sperare i contadini. Nella realtà l’impulso produttivo del fascismo è tutto concentrato sulla carbochimica, sull’industria pesante, sulla ricerca di manodopera dalle campagne verso le città. Anziché valorizzare le qualità locali, il fascismo realizza questo famoso piano ottuso e rischioso, che va sotto il nome di “Battaglia del grano”. Cioè seminare dappertutto la stessa cosa. In perfetto contrasto con quel che le cattedre ambulanti andavano insegnando.


È la fine di questa istituzione, tanto valida. Tutto rifluisce nelle corporazioni, nel controllo di funzionari politici, di prefetti, di burocrati. Contano i sacchi di grano, contano le famiglie numerose, le scritte tracotanti sui muri. Conta più la retorica che la realtà.

Dell’esperienza delle Cattedre Ambulanti restano numerosi documenti, come questo librettino, che dimostra una sensibilità in anticipo sui tempi, se è vero che ancora oggi il chinotto di Savona è un prodotto degno di nomina e di lode, adatto a essere coltivato e trasformato sul posto e commercializzato nel mondo.

Ecco, insomma, una delle tante cose (minori) che il fascismo ha fatto male.

Alessandro Marenco

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