COME TRASFORMARE IL SANO IN MALATO
A volte succede che persone dotate di un naturale acume e un’eccezionale capacità di vedere oltre il contingente, producano delle opere destinate a diventare delle pietre miliari, anticipatrici, con decenni di anticipo, degli sviluppi di tendenze che sfuggono ai più al momento che esce la loro denuncia ad un pubblico che le snobba come mere esagerazioni.
Questo processo segue un percorso di questo genere: al momento della denuncia, il fenomeno è ai suoi albori e non viene percepito dai più. Allorquando la denuncia rivela tutta la sua originale preveggenza, e cioè decenni dopo, il mondo è popolato da nuove generazioni, alle quali tutto ciò che trovano, a partire dalla nascita, sembra far parte della normalità. È così che ciò che ai loro nonni o bisavoli sarebbe apparso come paradosso, viene introiettato ed accettato. È successo, ad es., con il traffico: sino alla metà del secolo scorso chi mai avrebbe pensato che le città sarebbero diventate invivibili a causa della preponderanza della macchina sull’uomo, che le avrebbe ceduto lo spazio urbano, l’aria inquinata, il rumore assordante di mille motori?

Fotogramma dal film del 1951 “Knock ovvero il trionfo della medicina”[VEDI]
Se questo è un processo che nessuno oserebbe negare, non è che uno dei tanti sintomi del prevalere della macchina sull’uomo, degli interni sugli esterni, del presunto rigore scientifico sull’opinare della persona.
Ciò è risultato tanto più deleterio quanto più la scienza ha preteso esondare dal mondo inorganico a quello del vivente, per scoprire, a latere, come i due mondi si siano rivelati comunicanti. Ma un conto sono i calcoli della matematica astratta, o della fisica operante su oggetti senza vita, un altro è invadere il complesso corpo e mente umana e pretendere di applicarvi gli stessi metodi, pensando di fare tuttora scienza.
Ecco, ciò è quanto ha fatto la medicina, che ha finito con lo smarrire il metodo tracciato dal suo fondatore, Ippocrate, dove il rapporto medico-paziente era quello vigente tra due persone, mentre se n’è verificato il graduale rovesciamento, che vede in ogni persona un malato, attuale o potenziale, lasciando spazio logico e incontrovertibile alla prevenzione. In nome della quale si pretende di anticipare ogni possibile morbo, estirpandolo in nuce. Ad ogni sintomo corrisponde una serie di esami e un relativo ventaglio di farmaci, preventivi o curativi.

La prevenzione ad ogni costo rispetto a possibili malattie, tra l’altro in rapida crescita, ricorda quel giocatore che, per esser certo di fare centro ad ogni colpo, giocava tutti i 36 numeri della roulette, col pericolo però, sempre incombente, che uscisse lo zero: nel nostro caso, la malattia per iatrogenesi. Ovvero, la diffusione dei condizionatori, che, più raffrescano gli interni, più riscaldano gli esterni, in una rincorsa senza fine
Tutto questo ci sembra oggi normale e lo subiamo come ineludibile, vero?
Se arretriamo di poco oltre un secolo, scopriamo una commedia, scritta nel 1923, che parla di un dottor Knock, perfettamente allineato coi tempi che avanzano.

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Uscita dalla penna di Jules Romains, viene tradotta in film nel 1951, cui seguiranno 3 successive versioni cinematografiche (qui [VEDI] la versione del 1966, in B&N con Alberto Lionello), con l’ultima, un remake del 2017, che ha perso completamente lo spirito originale del messaggio, imbastardito dal pensiero corrente in cui siamo ormai tutti immersi.
“I sani sono dei malati che non sanno di esserlo”. Questa la lezione del dottor Knock, che egli mette puntigliosamente in pratica, profetizzando una società dove i negozi che prosperano, a dispetto delle migliaia che chiudono, quelli sempre affollati di gente, sono le farmacie e gli studi medici. Ad essi si affiancano, a mo’ di “sussidiarie”, le eleganti boutique che vendono, a prezzi astronomici, derivati da frutti e piante, in sostituzione di quelli che non mangiamo più, o sempre meno, privilegiando quelli manipolati.
“La medicina è diventata semplice affarismo e non più riguardo per la salute; mentre la psicoanalisi freudiana inculca nelle menti delle persone che qualsiasi stato d’animo naturale, in passato considerato normale, è malessere: tristezza, stanchezza, inappetenza, vecchiaia, diventano nuove malattie che rendono indispensabili l’uso delle medicine, o il ricovero in ospedale.” Oggi non si contano quanti, in ispecie giovani, hanno visto la propria vita devastata da diagnosi psicologiche di questo tipo, che li ha traghettati da stati morbosi transitori e benigni nel vortice degli “strizzacervelli”, imbottiti di farmaci “del non ritorno”. E le statistiche affermano che il consumo di farmaci psichiatrici sono in vorticoso aumento, con gli USA che fungono, al solito, da battipista. È diventato problematico distinguere questi farmaci da quelle che si definiscono droghe, che non è chiaro se tentano di esserne la via d’uscita o, all’inverso, la via verso il loro consumo. Fatto sta che il numero di “sballati”, incapaci di vivere una vita che non sia una serie di ricadute, nonostante la volontà di uscirne, cresce di pari passo ad una società sempre più forzosamente medicalizzata.

Dopo un lungo “fidanzamento”, scienza e utilitarismo hanno alla fine celebrato un matrimonio d’interesse in numerosi campi, tra i quali la medicina e la farmacologia: Galileo stringe la mano a Machiavelli. L’unico perdente è lo Stato, con un carico crescente di malati, perlopiù generati dal “fuoco amico”
Il pensatore che più ha dedicato la sua attenzione critica al sistema sanitario odierno è stato Ivan Illich, con il suo “Nemesi medica – L’espropriazione della salute” del 1976. [VEDI] “Per Illich la medicina provoca non solo essa stessa la malattia (iatrogenesi) ma diventa una macchina per creare consumatori incapaci di avere consapevolezza e saper autogestire la propria salute.” Pende su tutti noi l’imperativo delle ricette mediche, sempre più profuse dai medici a prescindere dal malato, fino ad arrivare al famigerato TSO, che soverchia la volontà individuale in nome dell’infallibilità del giudizio medico.
Se il TSO ricorda metodi che credevamo abbattuti, che decretavano d’imperio il ricovero coatto in strutture angosciose di una singola persona, il recente esperimento del Covid ha sancito in maniera totalitaria l’insignificanza dell’individuo, anzi di masse di individui, trattati come si usa fare negli allevamenti zootecnici, già di per sé iatrogeni sia per gli animali che per chi se ne nutrirà. Sottrarsi ai diktat governativi era perseguito e comunque reso arduo con tutti i più perversi sistemi. L’obbligatorietà di vaccini sperimentali non teneva nel minimo conto i possibili effetti collaterali, che infatti si sono puntualmente verificati, spesso in forma cronica. Per combattere un’epidemia, che ha voluto comunque i suoi morti, si è creato uno strascico di nuovi malati, come dopo una guerra.

Il rapporto medico-paziente è basato sull’empatia e sulla fiducia. O almeno, così era. Oggi il paziente assume sempre più le vesti di un cliente, se le visite sono a pagamento. E, in ogni caso, si ha l’impressione che il medico, anche quello “della mutua” si senta come in obbligo di dare un senso concreto alla visita mediante prescrizioni di farmaci o controlli. Perché nessuno può più considerarsi sano
Io stesso, persona sana per l’intera mia vita, che non aveva mai lamentato malattie, se non quelle esantematiche (e che si stupiva quando, nei rari casi in cui mi avvalessi di una consulenza medica, mi sentivo chiedere “quanti farmaci stessi prendendo”), mi sono visto catapultare nel novero dei malati cronici. E non di una malattia sola. Un decorso che mi accomuna a tantissimi altri casi, che si tenta di insabbiare. Naturalmente, ciò s’è sovrapposto alla tarda età, a quella vecchiaia oggi considerata malattia di per sé stessa. Una in più, al termine della lunga lista. Ho resistito a lungo, ma alla fine ho ceduto ai 3 vaccini; e la mia vita è diventata l’ombra di quella trascorsa, passando da ecografie a raggi X, da analisi del sangue a risonanze magnetiche et al. Sono sempre stato anemico, eppure potevo permettermi di non darci troppo peso; ma oggi sono sottoposto a ripetute trasfusioni del sangue, con un pervadente senso di colpa nei confronti di quanti generosamente se ne privano per darlo a me e impedire che la morte faccia il suo corso, vista l’età. Ma quanti hanno il coraggio di affrontare la morte, se esistono dei modi per impedirlo, o almeno posporlo? Io non sono tra quelli; e credo di essere in buona compagnia. Ma non è sempre stato così: ricordo mio nonno, che a un certo punto chiese a tutti di non somministrargli più nessun farmaco e di lasciarlo morire in pace.
Negli articoli che cito in bibliografia questa tematica è affrontata a fondo, laddove in particolare afferma [VEDI] che la spersonalizzazione causata dalla scienza, anche medica, “favorisce la più radicale disumanità”, in quanto esime chi applica i protocolli dalla propria responsabilità. Ecco, in quanto non più soggetti, ma oggetti dell’agire altrui, siamo spossessati anche noi della facoltà di decidere, accomunati a quanti ci prescrivono farmaci o trattamenti, non per decisione propria, ma per osservanza delle norme sanitarie.
Marco Giacinto Pellifroni 6 luglio 2025