COME MUORE UN ANZIANO IN OSPEDALE OGGI
COME MUORE UN ANZIANO IN OSPEDALE OGGI
Muoiono in OSPEDALE la maggioranza di loro.
Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata secondo il 118 deve essere ricoverata.
Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto cinicamente tutte le sue armi di tortura umanitaria.
Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie, i clisteri e le somministrazioni dei più svariati farmaci.
Ed alla domanda durante le visite dei parenti:
“Come va la nonna, dottore?”.
la risposta sarà sempre quasi la stessa:
“E’ molto debole, è anemica!”.
Intanto lui penserà che già il giorno dopo, della nonna ai nipoti non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”.
“Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.

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Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo, ed al 90% dei casi la consuetudine sarà quella di fregarsene della persona anziana, perché che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia?
Che mi frega sapere se ha già l’ulcera o il cancro?
Perché una persona di oltre 90 anni dovrebbe morire con una diagnosi precisa?
Ed inevitabilmente la gastroscopia o qualsiasi altro controllo specifico, viene fatta solo perché i nipoti vogliono poter dire a sé stessi e a chiunque ne chieda notizie, di aver fatto tutto il possibile per la propria nonna.
Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti, ma talvolta no.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti,
“…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ospedale sta facendo la sua opera di devastazione.
La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre nuove e diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, degli operatori socio sanitari, dei medici, e lei non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere, o da chiunque la rigiri come un calzino.
Le notti in ospedale poi, diventano un incubo, si perde il ritmo del giorno e della notte, si hanno visioni e delirio allucinatori.
La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni è rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane.
Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, se riesce a scendere perché non completamente allettata e bisognosa di cure, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché sarebbe detenuta lì senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”.
Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
Dopo alcuni giorni, nuovamente la visita dei parenti:
“Come va la nonna, dottore?
Lui risponde aleatorio e approssimativo:
‘La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
Ed un OSS o un Infermiere chiama il medico di turno:
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”) scrive in cartella la consueta litania “Assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi.
L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita.
Che serve amore, vicinanza e dolcezza, che servono le cure parentali, come la nonna ha avuto cura di figli e nipoti, altrettanto loro dovrebbero ricambiare.
Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana.
“E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché?
Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, guerre, stupri, telegiornali che sembrano cronache nere, fiction e telefilm violenti, “carrambe” e Grandi Fratelli, litigi tra politici e non possono vedere morire, in pace e tranquilla a casa sua, la loro nonna?
Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo.
Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino, sono persone, ed un giorno anche noi saremo vecchi ed avremo bisogno di cure, come loro.
O forse per molti che aspettano solo lo stipendio lo sono.
Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno, sempre, anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
di @Carlo Cascone (Medico)
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