Cinema: The Lady

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

The Lady – L’amore per libertà

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

The Lady – L’amore per libertà

 

Titolo Originale: THE LADY

Regia: Luc Besson

Interpreti: Michelle Yeoh, David Thewlis, William Hope, Martin John King, Susan Wooldridge

Durata: h 2.25

Nazionalità:  Francia, Gran Bretagna 2011

Genere: drammatico

Al cinema nel Marzo 2012

Recensione di Biagio Giordano

 Note informative storiche: The Lady (Michelle Yeoh), la protagonista del film, veste i panni di Aung San Suu Kyi (nata a Yangon, 19 giugno 1945) che è stata ed è tuttora una leader politica birmana, impegnata nella difesa dei diritti umani e della democrazia nello scenario politico del suo Paese; premiata col Nobel per la pace nel 1991.

La Birmania, fino a poco tempo fa, era una nazione oppressa da una dittatura militare sanguinosa. Un totalitarismo che, proprio perché non prendeva in considerazione per il futuro la creazione di una democrazia, risultava del tutto incapace nel dare sviluppo e sicurezza al paese.


 Aung San Suu Kyi, dopo varie vicissitudini drammatiche legate alla famiglia si impone come leader di un grandioso movimento non-violento, sule orme, per certi aspetti, del pensiero e della pratica di Gandhi, tanto da meritare i premi Rafto e Sakharov. Nel 2007 l’ex Premier inglese Gordon Brown ne ha dipinto il profilo in un suo libro, descrivendola come modello di coraggio e sensibilità civica nel campo dell’ impegno per la libertà del popolo birmano e di quello mondiale.

Aung San Suu Kyi è attualmente Consigliere di Stato della Birmania, Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell’Ufficio del Presidente. Ed è sempre Presidente (da diversi decenni) della Lega nazionale per la democrazia.

  Il film. Nel 1947  viene trucidato in Birmania dagli oppositori, il generale comunista Aung San. Responsabili del delitto risulteranno i suoi involuti e volgari nemici politici, uomini del tutto privi di un reale pensiero etico, dediti  solo a coltivare cinicamente interessi economici  di mercato a vantaggio di sé e pochi altri.

Aung San era un generale sensibile e progressista, con una visione politica che abbracciava tutti i problemi del paese, incline a dare voce e partecipazione al popolo. Significativo il fatto che sul punto di morte pronunci la parola: democrazia.

Sua figlia, la 43enne Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh, “La tigre e il dragone” e “Memorie di una Geisha“), sposatasi con un intellettuale inglese e residente in Inghilterra col marito e due figli, torna dopo decenni a Rangoon, l’allora capitale della Birmania, per assistere la madre sul punto di morte.

La donna, assente da molto tempo dalla Birmania, nota che sono avvenuti durante la sua assenza dei forti cambiamenti, soprattutto nel tessuto sociale e amministrativo delle più importanti città. In esse ora accade di tutto, la polizia massacra gli studenti che fanno giuste manifestazioni per i propri problemi e di tutti i più deboli, negli ospedali affollati e inefficienti non c’é rispetto da parte delle istituzioni per i malati  tanto che essi assomigliano a dei veri e propri lager, nessuna certezza del diritto viene offerta al comune cittadino che proprio per questo viene spesso umiliato, il welfare di Stato praticamente non esiste, la nazione  è nel caos, essa risulta in mano a pochi avventurieri detentori di un potere armato molto solido.


  La venuta in Birmania di Aung San Suu Kyi, non è gradita al dittatore al governo, il generale Ne Win. Egli ordina ai servizi segreti, che sono alle sue dipendenze, di tenerla costantemente sotto controllo.

Dopo la morte della madre, e su sollecitazione di alcuni suoi connazionali che vedevano in lei una possibile autorevole oppositrice al regime, in quanto in grado di creare un movimento pacifista di protesta, Aung San Suu Kyi  decide di rimanere in Birmania.

Nel settembre del 1988, la donna fonda la “Lega Nazionale per la Democrazia”. Un’organizzazione civile basata su un’etica e una pratica dell’operare politico influenzata dal pensiero di Ghandi. Indignata e umiliata per l’omicidio del padre, cosa che ha lasciato in lei una ferita non rimarginabile, e insensibile ad ogni tentativo di corruzione da parte del regime, la donna  darà ripetutamente prova di possedere un forte carattere e un senso etico ferreo che contribuiranno a portare sempre più avanti la sua causa, dandole coerenza, costanza, forza.


Aung San Suu Kyi  sarà, per queste sue imbarazzanti virtù politiche, messa agli arresti domiciliari. Le verrà offerto, in alternativa alla dura detenzione, la possibilità di espatriare in Inghilterra senza fare più ritorno in Birmania. Ma la donna rifiuterà di andarsene dal suo paese. Seppur a malincuore sceglierà di non fare la moglie e la madre lontana dal suo luogo natio, e si sottoporrà  a un pericoloso  sciopero della fame al fine di far da eco mediatico per quella parte del paese più sensibile alle  idee da lei messe in campo. La donna verrà liberata dagli arresti domiciliare solo nel 1995.

 La sua coerenza e i sacrifici messi in atto per sostenerla, verranno col tempo ricompensati ampiamente dai buoni risultati politici raggiunti, sua sarà la vittoria nelle elezioni del 1990, che risulteranno un primo timido passo verso la democrazia, e che apriranno un processo storico nuovo nel paese così insanguinato dalla dittatura, un processo lento ma che risulterà inarrestabile fino e oltre i giorni nostri.

 Il regime, sempre ostile verso di lei, impedirà al marito (malato terminale) e ai due figli di venirla a trovare in Birmania, le ripeteranno che lei sarebbe stata  libera di  andare in Inghilterra dalla sua famiglia, ma sempre con la clausola  di non poter più ritornare in Birmania. La donna, piangente, rifiuta di nuovo di espatriare, e lo farà esclusivamente per il bene del suo Paese.

 Aung San Suu Kyi dal 2016 è alla guida di importanti cariche ministeriali di governo.  


Commento critico.

E’ indubbiamente di grande importanza pedagogica questo film storico-politico di Luc Besson, una pellicola fatta in tempi recenti, girato quando il movimento democratico popolare in atto in Birmania giungeva ad affermazioni sempre più importanti e significative, con a capo proprio Aung San Suu Kyi (nel film una convincente interpretazione di Aung San Suu Kyi molto sicura di se, ben calata nel personaggio) la protagonista del film.

Un film che nel mostrarci realtà socio-politiche estremamente negative ci fa capire quanto sia importante avere dei protagonisti nel sociale che siano portatori, (al rischio anche di sconfinare in una ideologia), di un’etica politica condivisibile con altri, qualcosa in grado di suscitare lotte popolari contro quei mali che portano la firma di solito di dittatori spietati e sanguinari, satrapi immersi nei propri  interessi personali e di gruppo legati per lo più ai mercati.

Le lotte capeggiate da Aung Suu Kyi sono durate decenni con immani costi di sacrifici di ogni genere, ma la perseveranza alla fine ha dato i suoi frutti facendo compiere alla politica progressista birmana, rappresentata dal popolo, passi in avanti notevoli.


Un film ben costruito, che Luc Besson è riuscito a drammatizzare nella maniera massima, pur limitandosi, dal punto di vista delle tecniche letterarie, all’essenziale e privilegiando quindi modi di raccontare gli eventi storico-politici nei loro effetti più diretti, separati da ogni cornice di abbellimento, mettendo a fuoco alcuni particolari e tralasciando gli altri per non disturbare la composizione narrativa con un eccesso di cose.

L’unica scena dal sapore letterario, cioè molto elaborata, rimane quella in cui Aung San Suu Kyi,   in una delle numerose proteste collettive svoltesi sotto il controllo dell’esercito armato,   avanza sotto la minaccia delle armi verso il punto del comizio  nonostante gli fosse stato detto che se continuava ad avanzare l’avrebbero uccisa. E’ una scena girata magistralmente, di grande suspense, con riprese di primo piano dalla durata dei tempi calcolati meticolosamente e spostamenti angolari della telecamera molto ricercati, di grande professionalità cinematografica che ricordano, per il tipo di suggestione, così impregnata di tensione veicolata dalla fotografia, alcune scene dei film del grande Stanley Kubrick maestro assoluto della fotografia drammatica che riusciva a colpire lo spettatore con l’immagine senza sconvolgerlo.

Veramente un gran bel film

   Biagio Giordano

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