CINEMA: L’ora del lupo

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
L’ora del lupo
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO  

L’ora del lupo

 

 Titolo Originale: VARGTIMMEN

Regia: Ingmar Bergman

Interpreti: Georg Rydeberg, Gertrud Fridh, Ingrid Thulin, Liv Ullmann, Max von Sydow, Erland Josephson

Durata: h 1.30

Nazionalità: Svezia 1966

Genere: drammatico

Recensore Biagio Giordano

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 L’ora del lupo” è una pellicola in bianco e nero uscita nel 1968,  diretta magistralmente da Ingmar Bergman, basata per lo più su un copione dello stesso regista scritto qualche anno prima, il cui titolo era I mangiatori di uomini (“Gli Antropofagi“), un’opera che a quanto pare non riuscì mai a finire. Quel copione era particolarmente critico, tracciava profili negativi di figure umane incontrate  lungo l’esperienza di vita dell’autore. Un testo  attraversato da interessanti riflessioni autobiografiche, nonché da una idea di fondo originale per il cinema di allora che metteva in gioco l’ovvietà del rapporto attore-personaggio sottolineando la sottile e sadica corrosione di vero che avviene tra chi interpreta e il personaggio interpretato.


  Trama e commento del film L’ora del lupo. Il famoso pittore Johan Borg (Max Von Sydow) è angosciato da ricordi e fantasmi psichici che diventano ogni giorno più ossessivi; sua moglie, Alma (Liv Ullman), anche se non ne è pienamente consapevole, è ancora fortemente innamorata di lui tanto da assecondarlo in ogni cosa e aiutarlo, con l’amore e il pensiero critico, a ritrovare la serenità.

Un giorno la coppia decide di cambiare vita recandosi a vivere su un’isola apparentemente deserta, una location  filmica corrispondente a Hovs Hallar, nella riserva naturale di Skåneleden, in Svezia, le cui caratteristiche geofisiche  ricordano molto l’isola di Fårö dove il regista viveva  lontano da un certo mondo assordante e molto distante dalla sua sensibilità artistica.

Sistematosi nell’isola, Johan Borg  disegna le figure dei suoi incubi più spaventosi, lo fa su un quaderno. Esse a volte assumono le sembianze di volti umani.

La coppia  approdata all’isola è particolarmente sensibile al bene, sembra ripudiare ogni forma di male, anche se in Johan alcuni flash back relativi al suo diario letto dalla moglie mostreranno di lui inconsueti lati oscuri. Johan e Alma amano anche il bello, soprattutto  quello più profondo legato ai sentimenti.

Invitati a cena nel castello del barone Von Merkens (Erland Josephson), che si proclama padrone dell’isola, la coppia troverà conferma, conversando con gli invitati, di quanto gli incubi del quaderno avessero un fondamento di verità. Ad Alma e Johan sembrerà infatti di avere a che fare con persone finte, ormai incapaci di controllare desideri maniacali, pulsioni varie violente e forme di astiosità verbale che appaiono del tutto ingiustificate; gli invitati risulteranno essere persone ciniche ed egoiste, prive  di ogni forma di empatia e capacità di provare pietà,  molto simili agli orripilanti soggetti ritratti dal pittore Johan.

La coppia, fuggita dall’angoscioso e perverso mondo delle metropoli,  non troverà  pertanto nell’isola la serenità e la felicità a lungo ricercata, ma soltanto una pesante e mortale umiliazione, causata loro proprio da personaggi tipici del mondo che hanno appena lasciato alle spalle e dal materializzarsi di  figure tipo legate ai sedimenti onirici del loro passato.

Un’umiliazione favorita dalla letale logica che sembra impadronirsi dei più deboli quando vengono percepiti da una certa aristocrazia borghese come persone del tutto fuori dal gioco mondano della perversione. Queste persone considerate deboli sono in realtà particolarmente contemplative,  ritirate in se stessi, e il fatto di essere artisticamente vive   e creative non fa in questo film che mettere sotto accusa il godimento ambiguo della corte del barone Von Merkens.


Quelle persone orripilanti dunque, che ossessionavano la mente di Johan, e che dapprima appartenevano solo a ricordi, ad una fervida immaginazione, ad una interpretazione esistenziale, ed erano rappresentate  da Johan con l’arte,  poi  sono state drammaticamente incontrate da Johan e Alma nell’isola. Esse,  accortesi della diversità della coppia hanno scatenato  poi tutta la loro malvagità per distruggere il  rapporto tra Johan e Alma.

Nessuna via di scampo quindi, sembra affermare Bergman, è possibile per chi non accetta un compromesso col male umano che lo accerchia, anzi, la fuga spesso porta alla solitudine  indebolendo ancor di più l’Io, in particolare quello degli artisti, con il risultato di renderli molto più vulnerabili, quindi facile preda di quella mostruosità,  non consapevole perciò banale, che caratterizza a rotazione, a un certo punto dell’esistenza, gran parte dell’umanità.


L’ora del lupo, come spiega in una scena del film lo stesso pittore Johan, è quell’ora tra la notte e l’alba in cui la sofferenza di tanta gente malata finisce squagliandosi con la morte, e i bambini  nascono con maggior frequenza. E’ l’ora in cui il sonno è più profondo, tale da conferire ai sogni, cioè agli effetti visivi del  lavoro onirico dell’inconscio, una intensità potente in grado di fondere  realtà e fantasia in un vero superiore, più autentico. E’ anche l’ora in cui il lupo esce per colpire, grazie alla sua vista idonea a scrutare il buio, le vittime dormienti.

Il principale motivo conduttore del film riguarda dunque l’arte come espressione della drammaticità della vita: via  destrutturante della coscienza nei suoi diversi aspetti costitutivi, raffigurazione analitica del mondo impregnata di emozioni,  arte sospinta al dire dalla potenza del  negativo che si percepisce lungo l’esperienza delle necessarie, ma destinate alla rovina, relazioni umane.

L’atmosfera visiva che fa da sfondo al film rafforza questo principale motivo narrativo, definibile in altre parole come contrasto tra artista e uomo mondano, essa suggestiona in misura straordinaria lo spettatore utilizzando inquadrature  sfrondate da orpelli che mettono in risalto solo le immagini dai contenuti essenziali   potenziandone l’espressività simbolica, avvalendosi di  un bianco e nero povero di luce e di mezzi toni, saturo, che dà l’impressione di voler moltiplicare gli effetti visivi  degli incubi presentando un’atmosfera spettrale, tenebrosa, compatta, bruciata di diversi  dettagli  visivi.

Da sottolineare anche come nel film Bergman ami citare il famoso Flauto magico di Amadeus Mozart, un’opera molto ammirata dal regista svedese, suo è infatti Il flauto magico, film del 1975 tra i più apprezzati dalla critica. Un’opera filmica girata con grande sobrietà ed eleganza. Il flauto magico era nato per la televisione ma poi fu adattato pure per il cinema.

L’ora del lupo, uscito il 19 febbraio 1968  in Svezia due anni dopo essere stato girato, in America vince il National Board of Review per la migliore attrice, e il National Society of Film Critcs Award per il miglior regista.

 Biagio Giordano 

 

 

   

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