Cinema: La rosa purpurea del Cairo

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

La rosa purpurea del Cairo

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
 La rosa purpurea del Cairo
 

Titolo Originale: THE PURPLE ROSE OF CAIRO

Regia: Woody Allen

Interpreti: Van Johnson, Dianne Wiest, Danny Aiello, Jeff Daniels, Mia Farrow

Durata: h 1.22

Nazionalità:  USA 1985

Genere: commedia

Al cinema nell’Aprile 1985

Recensione di Biagio Giordano

 In un piccolo paese degli Stati Uniti, nei famosi anni ’30 caratterizzati economicamente dalla grande depressione, la bella e inquieta Cecilia (Mia Farrow), impiegata in una lavanderia,  trova consolazione dal suo difficile rapporto matrimoniale, che la vede vittima di un marito violento e sfaccendato, passando pomeriggi interi al cinema Gioiello.


In quel locale proiettano non stop il feuilleton La rosa purpurea del Cairo: un film appartenente a una serie di successo che narra delle avventure esplorative di alcuni appassionati estimatori della cultura egiziana all’epoca dei faraoni.

In questo film, che a Cecilia piace molto, il gruppo di esploratori insegue un luogo descritto in una leggenda, cui è legato un fatto sorprendente che li ha coinvolti molto, l’episodio curioso si è verificato nella stanza funebre di un Faraone.

In quel luogo sacro, su una parete, era stata disegnata, come segno di devota riconoscenza all’illuminato potere di quel faraone, una rosa rosso sangue. In seguito, intorno al sepolcro erano fiorite una moltitudine di rose simili.


 Un giorno, durante l’ennesima proiezione del film La rosa purpurea del Cairo, al Cinema Gioiello accade qualcosa che potrebbe sembrare incredibile, ma che in realtà rispecchia tutta una situazione ben comprensibile che si è andata creando via via a causa degli effetti del film sulla materia umana nel reale.

A un certo punto, in una scena del film, lo sguardo del bel personaggio protagonista, Daniels, cambia stranamente direzione, ossia dallo schermo si volge vero Cecilia che è seduta in sala. Il personaggio è colpito dalla quotidiana presenza della estasiata Cecilia allo stesso film.

Insoddisfatto del suo personaggio filmico che è condannato a vivere eternamente  nel fantastico, Daniels a un certo punto scende dallo schermo-prigione ed entra in sala, contando di lì a poco di poter  vivere  libero nella realtà, una dimensione che per forza di cose nel film gli manca.

Nasce tra Daniels e Cecilia una complessa e difficile storia d’amore che a un certo punto coinvolge anche una terza persona.


 Accade che il personaggio immaginario Daniel e l’attore reale che lo impersona si contendano Cecilia, a tal punto da sollecitare in lei delle scelte. Dopo lunghe meditazioni e continue indecisioni, Cecilia a un certo punto sceglie il Daniel attore, in quanto lui è reale, la cosa porta la coppia a fare per il futuro progetti audaci, ma il giorno dopo, al cinema Gioiello, nell’incontro preparatorio per fuggire insieme a New York l’uomo non si presenta, e Cecilia rimane esterrefatta.

L’attore che impersonava Daniels e che ha lasciato di stucco Cecilia fuggendo, forse aveva capito che il rapporto sentimentale con Cecilia, privo della presenza dell’altro Daniels, cioè del personaggio idealizzato dalla donna nel film, non avrebbe funzionato.

Il loro era dunque un rapporto impossibile, probabilmente composto da due fattori spesso in antitesi tra di loro, da una parte la pulsione desiderante prospettante a ogni costo un futuro gioioso e dall’altra la verità ossia la resistenza opposta dai limiti oggettivi presenti nelle cose e che imprigiona nel mondo reale.


Quel rapporto stava in piedi per l’ardore dei desideri senza alcuna possibilità di andare verso una risoluzione unitaria con il reale, o verso una scelta di intelligenti compromessi.  

Immaginario e realtà, sogno e reale, nei loro intrecci inestricabili avevano infatti trasfigurato con metafore e simbologie oniriche le cose, come in un sogno ad occhi aperti, rendendo vano ogni pensiero distintivo.

Illusorio risulterà il cercare di mettere ordine in un materiale psichico così contaminato da desideri inconsci, in quanto quel materiale era giunto prossimo a una inondazione di passioni laceranti.


Al di là dell’effetto spettacolo più immediato, indubbiamente pregevole in questo film di Woody Allen, La rosa purpurea del Cairo pone diverse questioni psicanalitiche e semiologiche cinematografiche di rilievo. Problematiche difficili ma che si può provare ad analizzare, almeno  in parte, con la cautela e la modestia garantite da una forma espressiva fatta di  semplici interrogativi.

 La rosa purpurea del Cairo mette al centro il tema del rapporto cinema e vita dello spettatore, ciò in termini di proposta di ricerca teorica su alcune logiche pulsionali trasversali tra Io, Es, Super Io, cioè di quelle forze psichiche in gioco nel film riguardanti il desiderio proiettivo e l’identificazione sui personaggi, aspetti che non sono poi separabili da quella che è l’influenza del  senso più profondo della sceneggiatura e del linguaggio fotografico sull’Io dello spettatore.


Ha la forza il cinema, come via di fuga immaginifica, di ambire a risolvere una crisi acuta di depressione in uno spettatore, come quella che affligge Cecilia, senza rilasciare poi nuove delusioni? Ossia può illudere senza ingannare, dando al concetto di illusione un nuovo statuto etico, qualcosa che richiami il principio di libertà, il diritto alla liberazione da pensieri inconsci divenuti da tempo veri e propri parassiti invalidanti?

 Può il cinema con l’offerta dei suoi poteri identificativi e proiettivi attivare nello spettatore, per associazioni rappresentative, vie nuove inconsce provenienti dalla rimozione e suscettibili perciò di mettere in moto trasformazioni psichiche in sé capaci di relazionarsi senza nevrotici infingimenti con il reale?

 E’ in grado il cinema favorire nello spettatore identità nuove capaci di entrare in relazioni vive con le persone che egli incontra, ossia può suscitare forme reattive rispetto alla storia-destino dello spettatore, cioè rispetto alla sua complessa personalità d’insieme sviluppata nel tempo. Aspetti che tenderebbero a liberarlo da alcune vecchie incrostazioni del passato?  E questo è possibile anche quando il film non è per lui più visibile? Se si, ciò metterebbe in scacco certi tipi di  depressione.


Tante sono ancora le ricerche da fare e le difficoltà da superare per giungere a capire al meglio il rapporto cinema-spettatore depresso, ciò è dovuto soprattutto al ritardo accumulatosi nel tempo.

Per troppo tempo non si è preso in considerazione il cinema come potente struttura mediatica in grado anche di svolgere funzioni psicoterapeutiche a corto raggio, cioè di favorire qualcosa in grado di influire a più riprese positivamente sul decorso di un disagio psichico  di diversa natura: soprattutto quando quest’ultimo mostri una struttura narcisistica del soggetto spettatore divenuta chiaramente sintomatica.

 Biagio Giordano  

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