CINEMA: LA CORAZZATA POTEMKIN

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
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LA CORAZZATA POTEMKIN

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 LA CORAZZATA POTEMKIN

 

Regia di  S. Ejzenstejn
URSS 1925
Interpreti: A. Antonov, G. Aleksandrov, A. Levshin
B/N
Durata 67’
Drammatico
Film muto con accompagnamento musicale e sottotitoli in cirillico tradotti in italiano
Recensione, versione per Trucioli savonesi a cura di Biagio Giordano
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 Il racconto del film è suddiviso in cinque parti:

1.  Uomini e vermi

2.  Dramma sul ponte

3.  Il morto chiama

4.  La scalinata di Odessa

5.  Una contro tutte

La corazzata Potemkin  è un film appartenente a un genere di difficilissima  classificazione, si può però intravedere, compiendo una analisi un po’ più particolareggiata,  come il film sia animato da due modalità espressive armoniosamente operanti, cioè da una parte una estesa forma a documentario con punti di riferimento storici molto precisi, dall’altra una modalità  letteraria nel rappresentare le cose che si avvale di meccanismi narrativi  di chiaro valore estetico, in grado cioè di  rilasciare una gamma di emozioni molto più forti del documentario perché idonei a favorire nello spettatore il sorgere accanto all’Io vero,  di un altro Io, provvisorio, fantasmagorico, frutto di un processo identificativo e proiettivo verso i personaggi.

L’opera, grandiosa e unica per lo stile originale, che diventerà materia di insegnamento, è stata commissionata dal governo comunista sovietico per festeggiare il giugno 1905.


Il progetto prevedeva in un primo momento un maggior numero di argomenti storici, con 9 capitoli narrativi anziché 5, da realizzare nell’ arco di tempo di un anno, Ejzensteijn per stare dentro a tempi così stretti  ha dovuto ridurre i capitoli del film a 5.

Il geniale regista russo finisce per concentrarsi solo su alcuni avvenimenti chiave di Odessa del 1905. Questa scelta gli consente di sviluppare meglio, con immagini-pensiero ben costruite lungo la sua nuova sintassi supportata da una tecnica innovativa molto efficace, tutto il simbolismo necessario al pathos. Un pathos che  il regista e il regime auspicavano si riuscisse a creare nella forma migliore, sia per impressionare maggiormente nelle menti gli importanti avvenimenti sociali dell’epoca che sarebbero stati così per più tempo nella memoria degli spettatori, che per dimostrare al mondo la crescita artistica del cinema sovietico sotto la dittatura del proletariato.

Il film è uscito nel 1925, in anteprima al teatro Bolshoi di Mosca, alla presenza delle maggiori autorità russe; per un certo periodo, a causa di ovvii motivi di natura politica, legati alla riservatezza canonica che ogni ideologia richiede per forza di cose essendo chiusa ad eventuali critiche internazionali, la pellicola ha circolato solo in Unione Sovietica.

Giugno 1905 è il mese della vigorosa protesta dei cittadini di Odessa contro gli ufficiali della corazzata Potemkin, responsabili di  gravi negligenze organizzative e ripetute violenze sui marinai della nave:  fatti talmente gravi da costringere i marinai ad una rivolta drammatica che sfocerà in un  ammutinamento.


 

L’episodio della ribellione  segnerà l’inizio di un processo rivoluzionario che avrà  al centro la lotta di classe. Gli scontri assumeranno via via una enorme portata di forza ideologica  in grado di modificare tutta una struttura politica, rilasciando notevoli echi internazionali; un processo che  durerà più di un decennio. Le lotte proletarie porteranno all’abbattimento del potere zarista e alla sua sostituzione con quello bolscevico comunista.

I protagonisti di questo film capolavoro di Ejzenstejn,  sono i membri dell’equipaggio della corazzata russa Potemkin e le folle in movimento dei cittadini di Odessa. Non si è sicuri che i fatti narrati dal film siano del tutto veri, forse è stata compiuta  sulle lacune conoscitive più estese di quel tempo una  ricomposizione  del tessuto storico smagliato basata su dettagli dedotti o solo ipotizzati, costruendo poi intorno ad essi  un’atmosfera ideologica forte, con evidenti finalità propagandistiche.

Secondo alcuni storici sembra che il massacro di Odessa per mano dei Cosacchi non sia avvenuto lungo la nota scalinata, ma in vicoli stretti durante la notte.

  

 All’inizio del film  la corazzata Potemkin risulta ancorata nei pressi marini dell’isola di Tendra. I marinai sono molto irrequieti, perché si sono accorti che la carne loro riservata  per il rancio era avariata, un deterioramento provato anche visivamente  dalla presenza di numerosi vermi  brulicanti un po’ dappertutto.  

Il medico di bordo aveva in precedenza giudicato commestibili le costate di carne in putrefazione appese ai ganci e destinate all’equipaggio, perché secondo lui i vermi non erano segno di una alterazione della carne ma semplicemente larve di mosche,  facili da eliminare lavando le costate di carne con acqua di mare.

I marinai,  costretti a ripiegare su pezzi di  pane, insaporiti solo con un po’ di sale, protestano energicamente,  e sotto la guida del valoroso marinaio Grigorij Vakulinčuk (interpretato da Aleksandr Antonov), chiedono al comando di poter usufruire di cibo non avariato, minacciando in caso contrario serie ritorsioni.

 Il comandante si attiene alle valutazioni fatte dal medico di bordo che ha giudicato commestibile la carne e respinge senza mezzi termini la richiesta dei marinai. Lo scontro si fa molto duro, l’inquietudine tra l’equipaggio si accresce, al che il comandante ordina di far fucilare chiunque rifiuti di nutrirsi con la carne di bordo.


 

Alcuni membri dell’equipaggio (qualche ufficiale,  sottufficiale e diversi marinai), impauriti dalla minaccia di morte  decidono di mangiare la porzione di carne avariata, gli altri  vengono raggruppati sul ponte della corazzata e isolati dal resto dell’equipaggio, sopra le teste del gruppo viene messo un telone bianco per proteggere i loro sguardi dalla vista dei fucilieri prossimi a sparargli addosso. Nel frattempo un prete ortodosso prega per loro.

All’ordine di aprire il fuoco i soldati del plotone di esecuzione,  anziché sparare sui loro compagni abbassano le bocche dei fucili, rompendo poi le righe e iniziando la rivolta generale. I marinai  in rivolta, dopo un sanguinoso scontro, puntano a prendere il comando della nave, riuscendovi nonostante un caotico movimento rimasto imbrigliato tra le parti più oscure della nave. Il medico che aveva mal giudicato la carne sarà buttato in acqua.

 Negli scontri viene ucciso anche Vakulincuk, capo carismatico dei rivoltosi, freddato da un ufficiale in seconda  con la  pistola. Il cadavere del marinaio Vakulincuk  viene trasportato ad Odessa e messo in una tenda aperta esposta al pubblico, con un  cartello sul petto: “Morto per un cucchiaio di minestra”.

Gran parte della popolazione   rende omaggio alla salma,  e inneggia al marinaio caduto come ad un martire; rappresentanti della popolazione dichiareranno  pubblicamente il proprio appoggio alla rivolta della Potemkin  facendosi sentire in comizi e in cortei. Le istituzioni zariste del posto non restano indifferenti a questi preoccupanti eventi di piazza e pensano seriamente a cosa fare.


Come reazione al preoccupante scenario pubblico in atto a Odessa, caratterizzato da una  straordinaria indignazione popolare, i cosacchi dello Zar vengono mandati presso la grande scalinata della città, molto frequentata a una certa ora, dove dall’alto con i fucili puntati in basso interromperanno il flusso  della folla che, ignara delle intenzioni onicide del plotone, tarderà a reagire.

Il popolo quando ai primi spari intuisce il pericolo scappa, dimostrando di non avere intenzioni aggressive nei confronti dei soldati. Quest’ultimi hanno  l’ordine di sparare su chiunque venga a trovarsi a tiro di fucile sulla scalinata.

Il plotone  travolge e uccide le persone scendendo le scale in riga orizzontale. La potenza della raffica di fuoco dei fucili è devastante, tutto ciò che di umano si presenterà  loro davanti, come uomini, donne e bambini indifesi, verrà straziato.

La scena è diventata un’icona del cinema sulle rivoluzioni: i soldati vengono mostrati solo attraverso dettagli che nascondono l’umanità assente di ciascuno di loro (gli stivali che scendono la scalinata  passando sopra i morti, i fucili che sparano).

 La gente di Odessa trova la morte sulle scalinate in sequenze drammatiche memorabili, vengono messi in primo piano gli sguardi di orrore di persone colpite dai proiettili e dalle spade, quali madri, bambini,  donne eleganti dedite a una semplice passeggiata, invalidi,  anziani, mutilati. Una madre con il figlio morto in braccio va verso i cosacchi e dopo un attimo di esitazione i soldati la uccidono, gli occhiali di una donna anziana vengono rotti da una sciabolata,  una carrozzina con un bambino piccolo sopra la cui madre è stata uccisa  rotola giù dalla scalinata piena di morti per un lungo tratto senza mai capovolgersi per poi a un certo punto sparire dal campo di ripresa.

I soldati danno l’impressione di dover compier un massacro dalle proporzioni catastrofiche; è una dura lezione voluta dallo Zar, ma il popolo non è solo, ad un certo punto dalla Potemkin si sentono infatti sparare alcuni colpi di cannone diretti verso i capisaldi territoriali dei cosacchi.


 

Una flotta di navi volute dallo Zar giunge poi ad Odessa per soffocare la rivolta della Potemkin e riportare l’ordine nella città. Ma i marinai della Potemkin non si arrendono e, decisi se è il caso a cannoneggiare, tentano di attraversare a tutta velocità il gruppo di navi della flotta russa e guadagnare il largo, a sorpresa  i marinai delle navi volute lì dallo Zar  si rifiutano  di aprire il fuoco contro i loro compagni, ed esprimono con  canti l’appoggio  agli ammutinati che esultanti faranno sventolare  la bandiera rossa sulla  nave.

 Quest’opera di Ejzenstejn  è stata considerata nel 1949, da una giuria di critici in Svizzera, come il miglior film del secolo. Il film  inaugura nella storia del cinema due capisaldi della lingua filmica. Una tecnica nuova di montaggio e la nascita di un’emozione d’insieme molto importante denominata pathos che il teatro aveva sempre avuto nella tragedia e il cinema no se non a tratti perché privo del necessario specifico linguaggio.

La tecnica filmica nuova riesce anche  a  dare maggiore velocità alle scene e una migliore profondità visiva agli spazi dell’azione, al prezzo di un estenuante  lavoro di fotografia, compiuto collocando gli operatori in molti più punti di ripresa dell’oggetto.

 Ejzenstejn filma 1.320 inquadrature della durata minima di tre secondi. Il regista mette in atto un lavoro di sovrimpressioni e di accelerazione e decelerazione delle inquadrature montate tale da conferire alle immagini in movimento una composizione sempre molto ricca di significazione ed effetti stupefacenti, aspetti che nulla toglieranno all’ecezzionale scorrimento del racconto.

 La variazione dei tempi delle inquadrature avviene a seconda delle situazioni narrative da costruire. Ad esempio nella scena della scalinata di Odessa la progressiva velocità delle inquadrature dà una forma di realismo al film straordinaria: riproduce fedelmente il vorticoso ritmo  delle persone in fuga dalla morte.

E’ un realismo quello di Ejzenstejn dominato dal  pathos. Una scrittura il cui lessico attinge di più, rispetto a prima, dalle arti visive altre con le quali il cinema ambisce ad entrare in relazione per migliorare la sua capacità espressiva artistica. Una tecnica che porta all’innovazione figurativa della trama cinematografica; a un dramma che finalmente ha trovato il suo linguaggio  cinematografico, capace quest’ultimo di far commuovere come al teatro.

Un film quindi che riesce finalmente a pensare e a dire con una certa profondità. A dire di più grazie ad uno sviluppo di risultati nello studio delle possibilità linguistiche dell’immagine in movimento. Immagini la cui sintassi trova, con un montaggio lunghissimo, paziente, dove le metafore e le metonimie numerosissime arricchiscono le scene di uno spessore visivo mai visto prima, un modo di narrare che procede finalmente parallelo con quello del romanzo scritto, di egual consistenza, solamente diverso nei codici estetici perché appartenenti a ordinamenti percettivi-sensoriali differenti.

Un’alta fedeltà al reale ottenuto, un po’ paradossalmente, con simbolismi, metafore, e metonimie che trovano lo spazio-tempo giusto per combinarsi in una sintassi visiva comunicativa a tutto campo. Qualcosa di mai visto prima. Tale da trasmettere il senso più profondo degli eventi storici, la loro radice più coinvolgente e mitica. Basti pensare alla statua del leone scolpita nella tragica scalinata di Odessa. Il leone passa da una posizione di riposo a una semirialzata, pronto all’assalto. Un movimento creato dal montaggio che allude alla reazione insurrezionale del popolo dopo le vessazioni del regime zarista. Un vero e proprio pensiero per immagini.

  Eccezionali anche le riprese delle masse in movimento e della gestualità dell’indignazione che scaturisce dalla solidarietà degli abitanti di Odessa verso i marinai insorti. La ripresa della fiumana di folla che tributa un glorioso e ultimo saluto al cadavere del coraggioso marinaio ucciso  non ha uguali per drammaticità nella storia del cinema.

Da sottolineare infine il gioco dei contrasti psicologici tra i marinai e le figure interclassiste della nave e quelle tra i rivoltosi e il prete ortodosso della corazzata. Contrasti che ravvivano il film. Il regista non dà tregua allo spettatore. La tenuta psicologica per tutto il film è buona.

Sia l’apprensione che lo stupore si mantengono alti per tutta la durata della pellicola. 

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