Cinema: Invasion

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Invasion

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Invasion

 Invasiondi Oliver Hirschbiegel, con Nicole Kidman, Daniel Craig, Usa, anno 2007, genere fantascienza, durata 96 minuti.

 Non è un remake dell’ Invasione degli ultra corpi, bensì un film culturale con messaggi del tutto diversi, leggibili tra le righe visive della scrittura metaforica del film. Il messaggio principale riguarda l’effetto di senso che scaturisce da una infezione virale proveniente dallo spazio, in grado di trasformare le persone colpite in esseri particolari, caratterizzati da  una vita più vegetale che pulsionale, simile a un albero, una vita che appare come lunga e priva di ansie, capace di suscitare nello spettatore nuove immagini di felicità, dopo essere passato dal disgusto che in un primo momento provoca la estrema diversità dell’altro quando spodesta improvvisamente la normalità. 

I colpiti dal virus accettano volentieri il loro nuovo stato, pur andando incontro a un vivere socialmente disorganizzato, muovendosi come zombi tra le rovine del mondo che essi stessi hanno provocato.

Da sottolineare una Nicole Kidman in gran forma che incarna efficacemente il personaggio di una psichiatra, una donna che dimostra indipendenza, e che risulta professionalmente soddisfatta, grintosa. Anch’essa verrà colpita dal virus, ma rifiuterà di cadere nel torpore che rilascia una vita vegetale e lotterà insieme agli scienziati contro quello che considera un male spaventoso: il cambiamento di un ordine sociale in cui lei è felicemente inserita.  

Ma nel film il virus è veramente il male, oppure i suoi effetti pongono fortemente un interrogativo di carattere etico – sociale, qualcosa  che non si osa formulare per non andare contro tutto ciò che di naturale ci risulta (erroneamente) assodato: donandoci sicurezza? 

Il film sembra dire: è meglio una vita priva di ansie, contemplativa, uguale per tutti, felice per diversi aspetti, almeno come può esserlo un albero sano, oppure è meglio la vita sociale che viviamo ora, divisa in classi in lotta tra di loro, con miseria e povertà estese, con ansie,  paure, umiliazioni di ogni genere, dove tra l’altro i privilegiati temono sempre, da un momento all’altro, di perdere ciò che hanno, finendo per vivere infelicemente, tormentati dal dubbio sull’efficacia delle sicurezze da loro stessi attivate a protezione dei propri beni?

Il film dà una risposta intelligente a questo interrogativo, da una parte dice che è necessario ritornare alla normalità, seppur ansiosa perché  è fatta anche di responsabilità, dall’altra che occorre  tener conto dell’esperienza  significante vissuta nel film dai contagiati dal virus, perché essa indica un modo di vivere nel sociale, più pacifico e buono, privo quindi di odio, diffidenze e paure, qualcosa che non si può non condividere anche ai giorni nostri perché effettivamente tutto ciò manca.

Un film filosofico, che suggerisce nuove dimensioni dettate dall’etica, in grado di mettere al centro  un modo di socializzare diverso, dove uguaglianza sociale e felice contemplazione della natura non siano opzioni occasionali ma possibilità di vita di lungo periodo.

 Biagio Giordano  

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