Cinema: Incubo sulla città contaminata
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Incubo sulla città contaminata
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Incubo sulla città contaminata |
Regia: Umberto Lenzi Produzione: Italia 1980 Interpreti: Laura Trotter, Maria Rosa Omaggio, Mel Ferrer, Sara Franchetti, Francisco Rabal, Maria Tedeschi, Sonia Viviani Pellicola: colori Durata: 92′ Recensione di Biagio Giordano |
Dean Miller (Hugo Stiglitz), giornalista televisivo, è incaricato di intervistare un famoso scienziato che si è occupato delle cause di un incidente avvenuto in una centrale nucleare della zona. L’impianto di produzione di energia elettrica è stato da lui progettato ed ha avuto grosse perdite di radioattività. Dean Miller arriva all’aeroporto di una città che per gli spettatori del film non è di facile identificazione, forse potrebbe essere Londra, e attende nervosamente lo sbarco dello scienziato dall’aereo. Nel frattempo però un velivolo non ben identificato decide di atterrare su una pista vuota situata nelle vicinanze, il pilota non comunica nulla delle sue intenzioni ai controllori di volo. I tecnici radar escludono che possano esserci nell’aereo problemi radio perché quando ciò accade i piloti hanno l’obbligo di accendere i lampeggiatori di emergenza. L’aereo fantasma atterra e dopo qualche interminabile minuto, inaspettatamente, insieme allo scienziato atteso scendono dal velivolo numerosi energumeni. Il loro volto è semi deformato, gli sguardi sono inferociti, uccidono senza pietà le persone più vicine morsicando e accoltellando tutti all’impazzata, dirigendosi anche verso gli agenti di polizia dell’aeroporto che stavano intervenendo a difesa degli aggrediti. Dopo uno scempio di sangue spaventoso gli aggressori assassini, che prima erano normali passeggeri dell’aereo, si dirigono verso la città. La causa dell’orribile mutazione del volto degli aggressori e dell’insorgere loro di pulsioni criminogene, era dovuta al contatto diretto avuto da alcuni di essi con le radiazioni provenienti dalla centrale atomica. Le radiazioni presenti nei corpi di alcuni passeggeri si sono poi propagate a tutti i componenti dell’aereo. Secondo la tesi del film le radiazioni avevano impoverito il sangue dei colpiti rendendo esigua in essi la presenza dei globuli rossi. Questa grave carenza nella costituzione funzionale del sangue li trasformava in una sorta di vampiri accidentali, dediti a una disperata ricerca di plasma fresco per sopravvivere. Le persone morsicate diventavano a loro volta malati assetati di sangue perché le radiazioni trasmesse con il morso riproducevano nel loro organismo gli stessi disturbi che affliggevano gli aggressori. Tutti questi esseri dall’aspetto mostruoso sembravano invincibili perché manifestavano straordinaria forza e determinazione, le forze dell’ordine cercavano di eliminarli colpendoli al cervello con un’arma da fuoco. Per evitare il panico, le autorità militari e governative, pur dichiarando lo stato di emergenza, decidevano di tenere allo scuro di ogni cosa la popolazione limitandosi ad allertarla al massimo grado: cioè ciascuno doveva rimanere chiuso in casa, sbarrando porte e finestre, ed essere pronto ad affrontare un pericolo ignoto. I così detti mostri invadono anche la sede televisiva in cui lavora il giornalista Miller uccidendo le ballerine di uno spettacolo in allestimento. Altri si dirigono verso ville isolate e gruppi di case sparse di periferia, dove con i loro morsi si rivitalizzano e moltiplicano a dismisura il numero dei contagiati. Se questa orda, capace di diffondersi a macchia d’olio con estrema facilità, continuasse a non trovare resistenza, porterebbe vasti strati del sociale allo stato brado, minacciando l’intera civiltà. Riusciranno queste persone-vampiro, vittime e carnefici della tecnologia atomica, ad espandersi oltre ogni limite immaginabile, minacciando addirittura il mondo? Umberto Lenzi con Incubo sulla città contaminata costruisce un film praticamente privo di trucchi ed effetti speciali. Il film farà discutere lasciando i critici divisi o incerti nella classificazione dell’opera. Per alcuni la pellicola era da considerare di serie A, per altri di serie B; per i rimanenti critici non era possibile dare sul film Lenzi un giudizio corretto. Le idee del regista, oggi ultraottantenne, sono buone, originali, ma il successo del film arriva quando diventa un’opera vintage cult. L’insuccesso iniziale si spiega con il suo distacco netto, nel modo di raccontare e di presentare i personaggi, da quanto espresso dalla fantascienza horror fino alla fine degli anni ’70 che già narrava avvalendosi del supporto visivo di trucchi ed effetti speciali molto elaborati. Seppur giunto in ritardo, l’effetto vintage cult ha fatto giustizia di quanto detto di troppo male sul film in precedenza, in particolare dai critici più legati all’estetica convenzionale dei film. Questi critici avevano un concetto di estetica del cinema di fantascienza povero, esso veniva inteso per lo più come suggestione tipo, ossia in un certo senso come un’estetica del buon senso visivo, che non necessitava di collaudi, e poteva sfuggire quindi a ogni classificazione. Un’estetica intesa come qualcosa di fatalmente statico in quanto non poteva allargarsi troppo perché magari rischiava decostruzioni stilistiche di deriva verso il genere popolaresco, vera e propria anticamera quest’ultima del cinema underground noto per essere antitetico al mercato filmico di successo. Umberto Lenzi è stato anche accusato dai critici di aver ottenuto con questo film risultati approssimativi, sia nella regia che nella sceneggiatura, carenze effettivamente evidenti ad esempio negli intrecci narrativi che appaiono troppo scontati, nella poca cura della verosimiglianza scenica rispetto alla realtà, nello spontaneismo dilettantistico della recitazione degli attori. Quest’ultima carenza porta a una finzione paradossalmente non credibile in quanto produce un effetto stucchevolezza, aggravata dalla presenza di lunghi piani sequenza che impietosamente evidenziano, con il crescendo delle tensioni tipico di questa tecnica, i maggiori difetti recitativi. Un capillare assemblaggio di inquadrature brevi nel montaggio, secondo questi critici, avrebbe potuto coprire gran parte dei nei recitativi ridando credibilità recitativa al film e una maggiore speditezza nell’azione dei personaggi. Ma il problema è che Umberto Lenzi era in grado di fare un film migliore rispettando i canoni più in voga all’epoca, ma non l’ha voluto fare. Perché? Lenzi gioca molto sui paradossi espressivi della finzione, rendendoli da una parte più reali, empatici, dilettanteschi, dall’altra talmente spogli di effetti da evocare tutta la potenza dell’immagine primaria cinematografica, non più inconscia, in quanto priva di veli, denudata da decorazioni artificiose, e che riguarda il voyeurismo atavico. Tarantino e Lenzi
Non a caso questo film è piaciuto a Quentin Tarantino, noto per il suo amore per le trasgressioni dai codici visivi cinematografici più garantisti, sopratutto quelli riferiti all’occupazione di fette di mercato certe. La trasgressività, la distruttività linguistica del già esistente, e la truculenza delle scene di sangue, molto dilettantesche, toccano provvisoriamente corde dell’inconscio ancora inesplorate, perforano lo schermo del linguaggio più formale del cinema facendo entrare in sala il fresco del linguaggio della destrutturazione che fornisce forti emozioni finché non si esaurisce il ciclo creazione-distruzione lasciando intravedere alla fine il sorgere all’orizzonte del sole di nuove conformazioni estetiche.
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