Cinema: Il sospetto
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il sospetto, (Suspicion)
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il sospetto, (Suspicion)
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Il sospetto, (Suspicion), di Alfred Hitchcock, Cary Grant, Joan Fontaine, Cedric Hardwicke, Nigel Bruce, May Whitty, Auriol Lee, durata 99 minuti, paese Usa, anno 1941, genere thriller. Una ragazza bella, ma ingenua nelle relazioni d’amore, benestante, di nome Joan Fontaine, fugge di casa per sposare in tutta fretta l’amato Johnnie (Cary Grant) abile seduttore.
La donna si accorge, strada facendo, di aver sposato un uomo che non corrisponde a quell’immaginario dorato da lui destato improvvisamente in lei con la seduzione. Johnnie mente. Fa grossi debiti per mantenere la fascinosa residenza matrimoniale, costringendo poi la moglie a saldarli. L’uomo ha mentito sullo stato reale delle sue condizioni finanziarie, e mostra un’ambizione che sembra non avere limiti, aspetto quest’ultimo che lo porterà a cercare di raggiungere i suoi scopi anche con l’inganno e forse con il crimine. Film thriller originale che riesce a rimandare a sine die la verità che lo spettatore si aspetta riguardo al protagonista Johnnie, sospetto cacciatore di dote. Il racconto oscilla incessantemente tra colpevolezza e innocenza, finendo, per inerzia compositiva oltre il finale del film stesso, nella vita reale, la sola quest’ultima in grado di indicare allo spettatore la direzione di un possibile giudizio. Il film quindi, dopo tante promesse rinuncia a sciogliere il nodo narrativo principale, quello costruito pazientemente nella prima parte del film dagli autori di una sceneggiatura certamente di spessore. Il film delude volutamente le attese, ottenendo l’effetto di mettere in luce una voglia di sapere manifestata dal cinema stesso, qualcosa che si pone lontano dallo spettacolo. E’ una sorta di pedagogica sollecitazione rivolta allo spettatore tesa ad apprezzare con il thriller anomalo, aspetti più profondi e indefinibili: quelli che mostrano logiche a stento afferrabili, a volte del tutto sfuggenti ma che fanno parte di un vero corposo tutto da scoprire. Film originale e di un certo valore linguistico, con tecniche letterarie da non sottovalutare, che danno l’idea della presenza di verità umane nei protagonisti più complesse e proprio per questo più interessanti. Si tratta di qualcosa che rimane molto sfumato e che si intravede appena dietro gli intrecci psicologici suggeriti dalla trama. Il film gioca sull’enigmaticità delle cose che accadono, privilegiando quelle che appaiono in un primo momento banali e familiari per poi, grazie a un linguaggio iconico sopra le righe, che sostituisce il dire con la sintassi delle immagini, divenire scenario di passioni umane irrefrenabili dalle radici inconsce. Gli autori capiscono la banalità a cui porta il linguaggio cinematografico espresso in schemi, una banalità di serie che dà la sensazione di già visto, e gli dichiarano guerra. Il film però può solo mostrare la superficie delle questioni, e lo fa con un gioco di ellissi, alludendo cioè alla complessità che le sottendono, creando un gioco di maschere vorticoso, e un movimento di tende che svelano e coprono le cose nello stesso tempo, svelandone, al di là di una finestra sferzata dal vento, la loro forza psichica dal significato oscuro.
Johnnie è un assassino, o è solo tentato a compiere l’infame gesto omicida che sembra attrarlo così potentemente? E’ comunque vittima di una struttura nevrotica complessa: dove l’inconscio gioca la sua parte senza mezzi termini, mostrando un super-io tanto esigente quanto debole?
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