Cinema: Il porto delle nebbie
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il porto delle nebbie
DVD uscito, in vendita
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il porto delle nebbie |
Titolo Originale: QUAI DES BRUMES
Regia: Marcel Carné Interpreti: Jean Gabin, Michèle Morgan, Michel Simon, Pierre Brasseur Musica di Maurice Jaubert. Durata: h 1.29 Nazionalità: Francia 1938 Genere: drammatico Al cinema nel Giugno 1938 Recensione di Biagio Giordano DVD uscito, in vendita |
Il porto delle nebbie (Le Quai des brumes) è un film francese, appartenente stilisticamente al realismo poetico degli anni ’30. Il film, uscito nel 1938, è diretto da Marcel Carné ideatore dello stile. La sceneggiatura porta la nobile firma del poeta Jacques Prévert che ha adattato e interpretato per il cinema l’omonimo romanzo del 1927 scritto da Pierre Mac Orlan.
L’opera del poeta regista Marcel Carnè è stata presentata in concorso alla 6ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove l’autore ha ricevuto un premio speciale per la regia. Trama del film: Un soldato coloniale francese, probabilmente disertore, Jean (Jean Gabin), intraprende un lungo viaggio verso la Francia, giunto a 20 km da Le Havre ottiene un passaggio da un camion fino all’ingresso della città. E’ l’alba, l’uomo non ha con sé denaro e non prende cibo da due giorni. Il militare sembra voler lasciare al caso il suo destino ma tutto fa pensare che il suo amore per la libertà potrebbe spingerlo a cercare di abbandonare anche la madre Francia. Jean, seguito insistentemente da un piccolo e docile cane randagio dal pelo bianco e nero, che rappresenta in un certo senso il suo doppio, attraversa la città ancora semibuia, senza una meta precisa. Nei pressi dell’uscita di un locale notturno con camere, Il Piccolo Tabarin, un operaio del porto inebriato dal rum e maltrattato dall’usciere finisce addosso a lui sul marciapiede, il portuale appare umiliato e cerca quindi consolazione parlando con Jean, ha una voce alterata resa euforica dall’alcool, ma in quel momento una ronda militare costringe Jean a rifugiarsi in un portone, l’operaio portuale intuisce che il militare fugge da qualcosa e che potrebbe trovarsi in difficoltà.
Scansato il pericolo, il portuale, preso da una forte empatia per Jean lo accompagna al porto, presso il Bar Panama, gestito da un suo amico. Il locale è così chiamato in omaggio ad un viaggio indimenticabile fatto tempo addietro dal vecchio gestore nella Repubblica di Panama, dove ha sperimentato piacevolmente alcune emozioni che il famoso canale rilascia: dal battello ha infatti potuto ammirare, sotto l’effetto meccanico dell’ascensore galleggiante, le bellezze del luogo: splendori maggiormente apprezzati proprio perché visti da un angolazione inedita consentita dal canale con le sue chiuse. Il Bar Panama è un locale in legno, fatiscente, ma che sprigiona fascino letterario. E’ animato all’interno dalla presenza di lavoratori portuali, di passeggeri di navi, e da artisti in transito. Jean viene accolto doverosamente, ma suscita subito curiosità, l’uomo non chiede nulla, spera solo in cuor suo che con la divisa militare possa ricevere qualche aiuto, senza essere costretto ad assumere modi da mendicante. Jean in un primo momento non ha alcun desiderio di dialogare, risponde aspramente sia alle domande di rito del gestore che ai pensieri esistenziali a lui rivolti da un colto pittore, un personaggio quest’ultimo, chiave della vicenda, prossimo a porre fine alla sua vita. Jean trarrà inconsapevolmente vantaggio dalla presenza di quel pittore: grazie a fortunose circostanze, ne assumerà infatti l’ identità: sia civile che artistica.
In seguito il militare, nel Bar Panama, entra nel vivo delle conversazioni, si lascia di più andare, esprime a voce alta alcuni pensieri sulla vita, e lo fa con estrema franchezza e convinzione. I modi di presentarsi, inscenati con sempre più forza, seppur bruschi e risoluti, non dispiacciono ai pochi presenti, e ottiene quindi dal gestore alcune cose da mangiare nonché una disponibilità senza riserve a soddisfare i suoi bisogni più urgenti, compreso il cambio dei vestiti militari con quelli civili. In un’altra stanza del locale Jean fa conoscenza con Nelly (Michel Morgan), una diciassettenne bionda e bella, malinconica, che parla della vita e della natura con toni poetici; la donna vive una situazione molto difficile, è orfana dei genitori e continua ad aver bisogno del suo vecchio tutore, Zabel, con cui vive condividendone, tra una fuga e l’altra, l’appartamento-negozio situato sul piano terra. Zabel è un personaggio raffinato ma cinico, nevrotico, capace all’occorrenza di ogni forma di malvagità, e in passato ha abusato sessualmente di lei. La donna sospetta che il suo tutore Zabel abbia ucciso per gelosia il proprio fidanzato Maurice, magari prendendo a pretesto il fatto che il giovane ultimamente frequentava ambienti malavitosi.
Nelly intuisce che Jean fugge da grosse responsabilità istituzionali e che ha bisogno di ogni genere di aiuto, gli mette quindi a sua insaputa dei soldi in tasca. I due in breve tempo si innamorano e passano un’incantevole notte in un Albergo di Le Havre. Al mattino dai giornali vengono a sapere che è stato ritrovato in darsena il corpo di Maurice, insieme agli abiti militari abbandonati a suo tempo da Jean e buttati in mare avvolti in una pietra dal gestore del Bar Panama. Jean viene sospettato di omicidio. Il militare quindi per ironia della sorte, da una parte ha scoperto l’amore, quello vero, dall’altra sembra destinato a fronteggiare nuovi guai. La polizia lo cerca, e inoltre si fa sempre più probabile un tentativo di vendetta nei suoi confronti da parte del capo dei gangster Lucien (un bravissimo Pierre Brasseuer), che egli ha schiaffeggiato ripetutamente quando un giorno in darsena il bandito ha messo volgarmente le mani addosso a Nelly. Jean vorrebbe fuggire, imbarcarsi per il Venezuela, ma l’amore per Nelly è troppo forte. La splendida sceneggiatura di Prevert, contenente dialoghi con frasi di forte e penetrante valenza filosofica e letteraria, semplici ma ben in relazione con le cose che accadono, è caratterizzata da una umanità inquieta, sovente desiderante senza compromessi, estrema nelle scelte fino ad accettare senza colpe, per il bene del proprio volere, l’idea sanguinosa di giungere se necessario all’omicidio. Il tutto appare, per ciò che riguarda l’etica del desiderare, senza distinzioni di classe o di religione.
Da una parte quindi la cifra del film riguarda il sociale, apparentemente immobile, con le sue leggi razionali dettate da rapporti di interessi precisi, dall’altra il destino, il caso, l’irrazionalità dell’amore e la passione erotica così spesso prossime al dramma, e poi gli insistenti complessi sulla propria bruttezza fisica (Zabel) che fanno compiere da adulti azioni e comportamenti aberranti, gli stessi che da piccoli magari avrebbero fatto inorridire. Il film rispecchia parti di un immaginario collettivo degli anni trenta di indubbia verosimiglianza, un mondo animato da ideologie potenti, da etiche e morali intransigenti, da regole e doveri severi fino al punto da mettere in discussione la vita stessa di una persona. Un mondo culturalmente vivo di innovazioni in ogni campo, dalle arti pittoriche alla fotografia, dalla letteratura alla poesia, etc. Interessante nel film anche la bravura rappresentata dal come i personaggi riescono a comunicare le complessità della loro condizione umana, nel bene e nel male, nelle passioni desideranti e nell’angoscia della mancanza di libertà, nel piacere artistico e nella solitudine che ne consegue: fino a volte a desiderare la morte perché nulla dell’altro sembra poter più poter confrontarsi con l’appagamento assoluto trovato nell’arte. Efficace la musica, capace di rafforzare in una forma simile a un culto liturgico, gli accadimenti legati al fato, comprese le atmosfere malinconiche prossime alla tragedia. Straordinaria in particolare la fotografia del bianco e nero, esaltante nella sua capacità di costruire, potenziandone gli effetti suggestivi, l’atmosfera ipnotica voluta nelle scene. Le inquadrature del porto nella nebbia, con gli inquietanti bracci delle gigantesche gru, le composizioni fotografiche studiatissime dei dettagli tesi sempre alla ricerca dell’effetto stupore in una darsena reale interpretata in chiave surreale, ammaliante nel colpire l’occhio con cose mai viste in quel modo, la modulazione della luce vero e proprio linguaggio visivo della drammaticità e dei toni della passione, danno al film una qualità vicina al capolavoro fotografico, cui hanno contribuito ben 5 fotografi artisti.
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