CINEMA: Il muro di gomma
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
IL MURO DI GOMMA
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
IL MURO DI GOMMA
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Il 27 giugno del 1980 alle ore 20,59, l’aereo DC-9-Itavia, con la sigla di volo HI 870 impiegato nella tratta di linea Bologna-Palermo, precipita tra Ustica e Ponza, nel mar Tirreno, con 81 persone a bordo. Nessuno sopravvive al terribile impatto. A 35 anni dall’evento le cause della tragedia rimangono in buona parte misteriose. Il lavoro delle varie commissioni d’indagine e della magistratura, svolto dal 1980 in poi, non è approdato ad alcuna certezza. Non si è andati oltre qualche ipotesi, a volte sostanziosa, in altri casi labile. Sia la mancanza di una sentenza certa sia le congetture più fantasiose, sono dovute ai numerosi depistamenti delle indagini messi in atto da personaggi oscuri legati a poteri politici e militari italiani, alcuni di origini anche internazionale. Le ipotesi più note sono tre: 1) cedimento strutturale dell’aereo per probabile corrosione della struttura metallica di base, causata da sale marino che avrebbe lentamente logorato il metallo quando il DC 9 veniva usato per il trasporto di prodotti ittici. 2) Una battaglia in cielo tra caccia di diverse nazioni, Libia, Francia, Stati Uniti, con possibile lancio per errore di un missile aria-aria nella direzione sbagliata, l’ordigno va a impattare casualmente il DC 9 transitante in quel momento in zona, magari l’aereo è anche distante dalla sorgente di fuoco, ma viene a trovarsi nella stessa traiettoria del missile. 3) Uno scontro accidentale tra l’aereo dell’Itavia e un caccia straniero. Una delle sentenze più recenti della magistratura, come quella del 10 Settembre 2011, competente la Procura di Palermo, riguardante un processo legato alla tragedia del DC9 per via di una causa civile, sembra aggirare ogni ostacolo riguardo le prove del disastro, ed emana un verdetto di condanna al Ministero dei Trasporti e della Difesa che obbliga a un risarcimento per le vittime di 100 milioni di Euro, con la motivazione che i due organi di governo si sono dimostrati negligenti nella prevenzione del disastro. Il cielo, come racconta il film, quella sera aveva un intenso traffico aereo, ma non era stato controllato a dovere dai radar italiani, sia civili che militari, che risultavano in parte spenti o addirittura mal funzionanti. Inoltre, aspetto questo gravissimo, i due ministeri, così come viene scritto nella sentenza, risultano colpevoli di aver ostacolato, in diverse occasioni, le indagini della magistratura. Questo film, di Marco Risi, racconta le vicende di Rocco Ferrante (Corso Salani), un giornalista del Corriere della Sera che si interessò (nella realtà si riferisce ad Andrea Purgatori) per dieci anni agli sviluppi delle indagini sul DC9 cogliendone di volta in volta i paradossi e le contraddizioni, criticando sia gli indirizzi di ricerca presi dalle varie commissioni d’inchiesta che paiono affrettati e ambigui, che gli esiti finali, del tutto insoddisfacenti, del loro lungo lavoro. La pellicola compie una analisi dei fatti moto seria. Riporta dettagli visivi assai significativi e una coerente esposizione logica dei numerosi dialoghi lampo presi qua e là in varie sedi giudiziarie e militari. Il tutto ampiamente documentato, aspetto questo che si innesta con armonia tra le parti della narrazione più legata allo spettacolo.
Tutto sommato il film dà una credibile soluzione al mistero, mettendo insieme testimonianze, ed eventi certi, che portano diritti a supporre che la sera del disastro in cielo vi fosse una vera e propria battaglia aerea, probabilmente tra un caccia della Nato e un aereo con Gheddafi a bordo o un’altra autorità libica; a sostegno di ciò il film sottolinea come l’aeroporto di Palermo possedesse il piano di volo di un aereo libico, che comprendeva informazioni sul percorso aereo da Varsavia a Tripoli. Il giornalista Andrea Purgatori, si è impegnato per lungo tempo a far luce sul caso di Ustica. Egli ha partecipato anche alla sceneggiatura di questo film, in collaborazione con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, trasmettendo, in modo convincente, il proprio pensiero sui fatti, tanto da incrementare notevolmente le possibilità di dedurre dal film ipotesi intelligenti sulla causa della tragedia. Andrea Purgatori appare anche in una scena del film di pochi secondi, in cui vengono mostrati alcuni interrogatori della commissione d’inchiesta sul disastro; egli è uno dei membri della commissione. Marco Risi, noto per “Ragazzi fuori” (1989), “Soldati – 365 all’alba” (1987), realizza con “Il muro di gomma” un’altra pellicola di qualità, dimostrando il suo valore sia nella regia degli attori che nella sovraintendenza della fotografia. Il film si aggiudicherà un premio di David Donatello per il miglior sonoro. L’ipnotizzante scorrere del film, ricco di emozioni, dimostra le grandi capacità documentaristiche, comunicative, ma anche estetiche di Marco Risi. I numerosi eventi salienti, rigorosamente selezionati in base alla loro credibilità, che costituiscono l’intelaiatura della pellicola, grazie al loro rapido alternarsi non annoiano mai. La trama e il metodo narrativo si giovano dei numerosi strumenti tecnici e letterari estraibili dalla complessa macchina cinema scientifica che Marco Risi conosce alla perfezione riuscendo spesso a mettere in campo un vasto repertorio di utensileria filmica di pregio. Il film esalta si, gli aspetti più drammatici di quella triste vicenda, ma li rende anche ben intellegibili, chiari, sopratutto rispetto al discorso di fondo che caratterizza quell’epoca, e cioè alla sua cifra etica, di costume, e politica, caratterizzata da una parte da un nuovo boom economico che alimentava il mito della scienza e della tecnologia facendo chiudere gli occhi sui problemi più legati all’etica delle istituzioni, e dall’altra il dilagare della volgarità politica della classe dirigente praticamente sempre più disaffezionata alla Carta Costituzionale. Nel racconto filmico di questa pellicola la ricerca della verità sembra diventare di volta in volta sempre più pericolosa per quei pochi che si sono assunti il compito di portarla avanti, dando l’idea di come ancora una volta il nostro paese, a distanza di un mese dalla strage di Bologna, dovesse patire l’estrema ineficacia delle nostre istituzioni. Pure la parte spettacolare del film regge bene, essa non prende mai un sopravvento definitivo sul resto, inserendosi in alcuni casi anche molto felicemente nella struttura più documentaristica. Il film è animato da forme di tensioni e suspense poste in un crescendo temporale sempre ben proporzionato con l’importanza delle scoperte che via via il giornalista Rocco mette a disposizione del giornale. Le liti violente tra colleghi, le gelosie nello staff giornalistico, la bella convivente di Rocco che – stanca di essere trascurata dal suo uomo che lavora troppo – decide di abbandonarlo, gli scontri diretti ad alta voce tra Rocco e i generali della aereonautica, le incomprensioni di forte impatto emotivo tra Rocco e la direzione del suo giornale, ravvivano il film senza togliere nulla all’attenzione per i freddi dettagli più significativi, ma anzi favorendo in alcuni casi la comprensione del mosaico che con essi si andava delineando. La scena in cui il maresciallo Luciano Caroli (Luciano Buzzurro) interrogato dal Giudice, svela dopo tanti silenzi una verità sconvolgente, affermando di aver visto quella sera l’aereo cadere, in quanto le tracce radar del DC 9, che stava osservando sullo schermo, scadevano di qualità passando da livello 7 a livello 2 per poi sparire, è una sequenza da antologia del cinema. Quella situazione è altamente drammatica, e la recitazione di Paolo Buzzurro è straordinaria. Egli come logica vuole appare timoroso, insicuro, pauroso, è preso da un crescendo pulsionale tormentoso, capisce l’effetto che la sua rivelazione avrà sui giornalisti presenti e la parte civile, nonché sui parenti delle vittime, sui giornalisti ormai stremati dai fatti, sui giudici sempre più coinvolti sul piano emotivo presi come sono dall’indignazione, sui generali dell’aereonautica spaventati perché temono di subire uno scacco di carriera. La scena con il maresciallo Luciano Caroli protagonista, fa convogliare le cose in una direzione nuova, catartica, dove la colpa redentrice sembra finalmente aver sconfitto l’omertà, quella scena sembra preannunciare una imminente vittoria della verità. Una verità intuitiva, che ufficialmente, pubblicamente non arriverà mai, perché impossibile da dimostrare, ma che pur ha fatto breccia in tutta la sua certezza nelle menti e nel cuore delle persone coinvolte direttamente o indirettamente dal tragico fatto.
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