CINEMA: il bacio dell’assassino
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il bacio dell’assassino
Film in DVD o visionabile in passaggi televisivi
|
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Il bacio dell’assassino
|
Secondo lungometraggio per Kubrick che firma anche il soggetto originale, la sceneggiatura, la fotografia, il montaggio e la produzione. Il film è stato realizzato nel 1955 in 20 giorni ed è costato 75.000 dollari. Kubrick rielabora alcuni codici tipici del genere noir preannunciando quella che sarà la funzione artistica più significativa della sua storia di grande cineasta: potenziare il sistema dei generi Hollywoodiani dandogli nuove forme linguistiche fotografiche. Kubrick lascia il segno in quella che è da sempre una delle sfide storiche del cinema: portare la sintassi e la morfologia linguistica iconica dei film, a livelli più elevati; ciò al fine di dare maggiore spessore letterario, comunicativo e scorrevolezza al racconto filmico. Kubrick apporta al cinema un contributo tecnico vincente costituito da teoremi visivi nuovi in grado di tradurre sempre meglio i pensieri più profondi in immagini. Questo film ha consentito al pubblico di fare esperienza con il talento straordinario di Kubrick. Talento letterario che si riconosce dalla capacità del regista nel rappresentare una storia senza mai sfilacciarne la corda narrativa che mantiene un rapporto di verosimiglianza e necessità rispetto al reale di straordinaria fedeltà. Questione anche di studio e di lavoro immane (20 ore al giorno), nonché di idee puntualmente chiare su come correggere con i suoi film le storture delle opere filmiche fin lì prodotte nel cinema, ossia andare oltre l’inventato avvalendosi della forza-risorsa che il confronto incessante con i limiti linguistici dei film del passato gli dava. Ne Il bacio dell’assassino la cura tecnica e narrativa della fotografia in bianco e nero (ricercata e impressionista) è sorprendentemente nuova. Kubrick è sempre attento a dare all’inquadratura suggestione e profondità significante, riuscendo a conferire alla fotografia segni metonimici e metaforici di forte valenza comunicativa a cui l’eccellente montaggio conferirà spesso con blocchi di sequenza immagini una sintassi visiva simile per certi versi a forme di pensiero. Ad esempio la deformazione del viso del pugile Davy attraverso il vetro contenitore dell’acquario, con la telecamera posizionata di fronte al secondo vetro contenitore, è una scena che sembra preannunciare i toni animaleschi che assumerà l’imminente scontro pugilistico contro Gordon ma anche la prigionia esistenziale in cui si trova Davy in quel momento. E più avanti Davy in sonno vedrà l’immagine di un grande viale della città di New York, percorrerà il viale con l’immaginazione lungo una interessante modalità visiva della scena: con la pellicola in negativo. Il negativo dà un effetto incubo che fa perdere i contatti con i contorni ben definiti del reale che Davy sta vivendo in quel momento. Una scena che avverte telefonicamente lo spettatore dei guai che la passione per la bella vicina Gloria porterà a breve a Davy; il pugile verrà risvegliato dagli urli della ragazza che è anche sua vicina di casa, Gloria lo porterà subito ad essere testimone di una scena d’aggressione libidica nei suoi confronti da parte del padrone del locale notturno Vincent. Scena che sarà decisiva per la vita immediata e futura di Davy e Gloria perché l’uomo interviene a difesa della donna e inizia una relazione con lei. Avvincenti verso il finale gli inseguimenti sui tetti di New York, da sempre nella storia del cinema le corse sui tetti richiamano qualcosa dell’immaginario collettivo più remoto; evocano l’altrove della fuga in città, tra luoghi inusuali che la polizia e il vicino di casa possono non conoscere lasciando quindi al riparo la mente da ogni intrusione. Inoltre le tegole o i piani dei tetti delimitati da muretti che compaiono all’improvviso e che occorre saltare (spesso infortunandosi) o scavalcare a seconda dell’altezza per proseguire la fuga divengono parte del codice linguistico noir. Elevano l’interesse narrativo rappresentando per ogni tipo di uomo braccato l’ultima possibilità di scampo; fuga anche da chiunque assuma nella propria vita le sembianze di uno straniante inseguitore: metafora delle peripezie esistenziali di ciascuno. Trama. Come racconto questo film racchiude, dietro le quinte di ciò che appare come spettacolo noir, un trauma psicologico che riguarda la bionda protagonista Gloria. Dopo il suicidio della sorella Gloria si ammala di depressione. Lo scontro più cruento fra i due uomini è, dal punto di vista visivo, memorabile perché avviene in un vecchio magazzino di manichini di donne, in mezzo a corpi mutilati e mani finte penzoloni che danno l’idea di protesi con caratteristiche simboliche chiaramente riferite alle vicende del film. Protesi-metafore che si riallacciano ai contenuti più filosofici della narrazione. Il film sembra infatti voler dire che la bellezza della donna non sempre è fruibile per uno scambio d’amore fertile di felicità o piacere. A volte le circostanze problematiche della vita possono portare ad usare il corpo femminile come protesi e manichino, come parti di complessi sintomi. Nel senso che ciò che viene a formarsi nella mente umana dopo alcune difficoltà esistenziali giace come mancanza indistruttibile in un altro nostro registro psichico: in una parte stratificata dell’inconscio, importante e oscura; una zona che è in relazione con il tempo degli eventi patiti; cioè qualcosa di sé dimenticato ma attivo e funzionale alla creazione di sintomi di insicurezza sociale e perdita di identità. Allora in questo caso la ricerca della libertà diventa per il pugile Davy problematica perché essa appare fittizia, sintomatica, malata di ciò che è accaduto in modo negativo nel suo passato. Davy non può liberarsi da quello che è perché quello che a lui sembra dimenticato rimane invece attivo in un altro registro psichico, più inconscio.
Kubrick sembra voler dire che la libertà non sempre è un’esigenza semplice e chiara dell’essere umano, qualcosa che è possibile perseguire senza fraintendimenti. Nell’azione per raggiungerla e mantenerla essa può a volte assumere la caratteristica di una fuga mascherata; una fuga contorta come è ad esempio quella che intraprende Davy dai suoi ricordi spiacevoli; ricordi che per via del lavoro della rimozione si percepiscono appena e in modo distorto complicando le relazioni con il mondo.
|
Appena usciti
|
I LIBRI DI BIAGIO GIORDANO |