Cinema: Genius

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Genius
Al cinema nel Novembre 2016

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Genius

 

Titolo Originale: GENIUS

Regia: Michael Grandage

Interpreti: Nicole Kidman, Colin Firth, Jude Law, Guy Pearce, Dominic West

Durata: h 1.44

Nazionalità:  USA 2016

Genere: biografico

Al cinema nel Novembre 2016

Recensione di Biagio Giordano

 Nella suggestiva New York degli anni ’20 Max Perkins (Colin Firth) è un editor letterario molto attivo che sa navigare bene nel mercato dei libri di successo, un uomo tutto di un pezzo che ha contribuito al lancio di alcune grandi firme della letteratura mondiale come Ernest Hemingway e F. Scott Fitzgerald.


 

Un giorno, durante il suo lavoro  di editor presso la casa editrice Scribner’s Sons, Max rimane impressionato da un lungo manoscritto che porta la firma di uno sconosciuto, quale era a quei tempi  il famoso autore letterario Thomas Wolfe (Jude Law). Nonostante le perplessità suscitate da un  testo assai ingenuo nella forma, difficile da seguire, e composto da migliaia di pagine, aspetti che lo rendevano praticamente impresentabile sul mercato industriale del libro,  Max percepisce qua e là la presenza di qualcosa di speciale, di pregevole, indubbiamente assai coinvolgente, a dir poco geniale, consistente in dialoghi di pensiero sulla drammaticità e passione delle varie situazioni di vita in cui sono coinvolti i personaggi, tali da lasciar stupiti. I sentimenti in gioco vengono espressi  in alcune parti del manoscritto con parole felicemente scelte, sintetiche, senza rinunciare a dare un’idea della complessità delle cose più profonde che li animano.

Max avverte che per quanto riguarda la sistemazione del resto del manoscritto spetterà poi a lui, editor, con il consenso di Thomas Wolfe, generare quella necessaria forma letteraria  che si suppone sia capace di renderlo, nell’insieme, più gradevole ai lettori. Un lavoro assolutamente non facile, e dall’andatura molto conflittuale tra lui e  l’autore, che dovrà portare a ridurre il testo a poche centinaia di pagine, sacrificando purtroppo buona parte dell’immane creatività presente nello scritto.


 

Nonostante il grande successo che avrà poi il libro e anche quelli successivi, e la ricchezza in denaro che porterà all’autore e alla Casa editrice, quello tra Thomas Wolfe, la sua bella convivente Zelda, e l’editor Max Perkins, non sarà per niente un rapporto facile.

Per la convivente Zelda, nel menage con Wolfe si presenterà a un certo punto una grossa crisi, legata per lo più alla sua, via via, totale ininfluenza psicologica e culturale verso il marito, che appare sempre più separato da tutte quelle persone non in grado di entrare con lui in un rapporto ritmico di idee letterarie e creatività artistica.


 

Di fatto entrerà in forte contrasto anche il rapporto tra l’autore Wolfe e l’editor Max Perkins, in questo caso proprio sul concetto di prassi della creatività artistica, su cui   entrambi si sono impegnati ricercandone e condividendone gli aspetti più difficili, con risultati industriali sorprendenti.

Entrambi, scrivendo sullo stesso testo, ma uno creando l’altro revisionando e tagliando, hanno cercato di dare ai manoscritti due impostazioni diverse: una per il mercato l’altra per il godimento artistico,  alla fine ha prevalso quella per il mercato, quest’ultimo  in questo film appare come un fattore non sempre positivo, in quanto a volte, per ragioni di interessi industriali, sembra assumere una posizione quasi di killer della creatività.

Qualcosa in seguito, sia in Wolfe che in Max sembra, sullo sfondo della loro attività, lasciarli sempre più insoddisfatti. Wolfe percepisce, passata l’euforia per la pubblicazione con successo dei suoi libri  che, rispetto a quanto contenuto nei suoi testi originali, il suo lavoro  creativo è stato in gran parte vanificato dai tagli dell’editor Max, cosa che  ha ridotto quel lavoro a una funzione letteraria induttiva, riduttiva, funzionale ad alimentare i gusti tipo più visibili sul mercato o a inventarne di nuovi artificiali, creando miti superficiali privi di storia.

E l’editor Max, anche lui sempre più perplesso, comincia a chiedersi se tutto quello che ha tagliato, rivisto, aggiustato, nei testi di Wolfe, avesse veramente migliorato la qualità degli scritti.

 L’editor Marx  nel finale, con questa meditazione, sembra voler allargare il concetto di qualità letteraria proponendolo, a se stesso e ai pochi che ne sarebbero veramente interessati, in una direzione nuova, più enigmatica, non ancora ben definibile, qualcosa capace di mettere  fortemente in discussione  la  identità commerciale dell’editor, anche quando il suo ruolo è di successo, il tutto a vantaggio di un maggior godimento artistico, che può avvenire  solo andando contro l’industria culturale del profitto.


Il film quindi  mostra l’altra faccia, nascosta, che sta a volte dietro il successo di un libro, il tortuoso percorso della sua evoluzione che lo porta verso il traguardo finale della stampatura,  un percorso fatto di faticose mediazioni e delusioni relazionali. E’ una sorta di avventura finale drammatica dell’opera scritta originaria, che compare in ogni tempo, ed è tutt’ora ben presente. Basti pensare nei nostri tempi a tutto il lavoro oscuro dell’editor, sempre più ambiguo personaggio rispetto alle reali funzioni  tecniche previste e codificate, che agisce nello scritto stesso in ombra, e ben mascherato, per togliere potere all’autore.

L’editor, sembra voler insegnare il film, revisiona il testo ritenuto grezzo dell’autore inseguendo  l’immaginario tipo, statistico, del lettore, inventando rispetto a ciò forme espressive di più alta seduzione, con ciò rinunciando a salvaguardare il lavoro artistico autentico presente nell’opera. Quest’ultimo è oggettivamente molto importante, perché  appare come l’unico tipo di lavoro in grado di rimanere sordo a quei  richiami dell’industria letteraria che è in grado sì, a volte, di favorire il successo di un libro, ma a un prezzo  artistico spesso spropositato che lascia un amaro in bocca all’autore e irrita un certo colto lettore, più avveduto,  avvezzo ad  apprezzare soprattutto l’arte in sé che il libro può dare.

 Biagio Giordano   

 

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