CINEMA: Fari nella nebbia

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
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FARI NELLA NEBBIA

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 FARI NELA NEBBIA

It. 1942

 Regia: Gianni Franciolini

 

Attori: Fosco Giachetti, Luisa Ferida, Antonio Centa, Mariella Lotti

Drammatico

Recensione di Biagio Giordano

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 Girato nei primi anni del secondo conflitto mondiale, in bianco e nero, nella  vecchia darsena a Savona e nella cittadina di Acqui,  Fari nella nebbia sembra ispirarsi in buona parte al realismo francese di Marcel Carnè noto per le sue tecniche cinematografiche  innovative che prendevano spunto dallo stile raffigurativo tipico delle avanguardie artistiche degli anni ’20.  


Ricordano il grande autore francese degli anni ’30 sia  alcuni modi di ripresa, capaci di mettere in risalto la soggettività più immediatamente emozionale dei personaggi presi in situazioni cruciali, sia  l’ambiente in cui si svolge il film, sempre impregnato di relazioni passionali che scaturiscono da un sociale problematico, economicamente povero, animato da conflitti di ogni genere, con protagonista la faticosa  vita proletaria messa in scena nel suo alternarsi tra inquietudine della normalità e drammaticità della straordinarietà imposta dagli eventi.

Il film di Gianni Franciolini pur avvalendosi di uno stile in parte storicamente già noto, è composto da  numerose inquadrature fotografiche del tutto originali, con un gioco di luci, ombre, e angolazioni di ripresa, che interpretano la realtà del sentire umano  specifico in modo egregio,  gettando un disincanto narrativo sulle cose magistrale. Si nota una andatura narrativa prosaica, attenta alle cose più comuni e semplici, ricca di vivacità espressiva dovuta al raffinato buon gusto dei tempi, ciò lo eleva indubbiamente a precursore di alcune successive forme innovative neorealiste del cinema italiano.

Fari nella nebbia si sofferma prevalentemente su certi aspetti esistenziali e sentimentali della vita di  alcuni camionisti di petrolio degli anni ’40 a Savona. Al centro del film  l’iter evolutivo sentimentale della vita di un camionista in crisi con la giovane moglie e il peggioramento dei rapporti con i suoi colleghi  di lavoro a seguito del suo comportamento professionale divenuto  meno affidabile.

Sono temi forti quelli proposti da Fari nella nebbia che richiamano alla mente alcune indimenticabili pagine del cinema italiano degli anni ’50, del quale Franciolini con questo film sembra in un certo senso annunciarne l’imminente nascita, che avverrà sotto la denominazione di neorealismo  soltanto nel 1946, con il film Sciuscià di De Sica.


 Gianni Franciolini prima della seconda guerra mondiale ha lavorato in Francia come collaboratore dei registi  J. Choux e G. Lacombe, e negli anni ’30 è stato aiuto regista di E. Deslaw; il suo primo lungometraggio fu il poliziesco L’ispettore Vargas (1940);  Fari nella nebbia, secondo film del regista, è forse dal punto di vista del valore artistico il più interessante, perché elaborato stilisticamente con verve creativa,  esso sembra contenere forme sia naturalistiche che espressionistiche, tali da rendere questo  film il più significativo della sua carriera.

Nelle pellicole successive darà alle sue opere   un tono molto diverso. Franciolini si inoltrerà infatti nel genere della commedia briosa all’italiana, cui aggiungerà aspetti fiabeschi o forme leggermente satiriche con tratti pungenti chiaramente moralistici e pensieri leggeri di puro intrattenimento (vedi Racconti d’estate del 1958).

Con Fari nella nebbia Franciolini attrae subito i critici cinematografici per la sua capacità tecnica nel mettere in pratica fotograficamente la sceneggiatura, in cui non si può fare a meno di notare  anche una buona capacità nel  montare le scene, senza effettuare bruschi scatti tra le sequenze narrative, cosa che a quei tempi  non era di facile realizzazione a causa di una tecnologia ancora troppo artigianale.

Di Gianni Franciolini ricordiamo dei suoi tredici film, girati tra il 1940 e il 1959,  anche Giorni felici e Amanti senza amore.

 

Fari nella nebbia è stilisticamente complesso, se da una parte sembra introdurre novità che verranno riprese, più o meno consapevolmente, dal neorealismo italiano, dall’altra il suo linguaggio cinematografico appare fornito di  numerosi simbolismi, che per forza di cose  vanno al di là del futuro neorealismo perché portano a un gioco di metafore che commentano, tramite l’autore, ciò che avviene nei personaggi.

I numerosi  diversi modi di riprendere i personaggi negli interni, nella nebbia, nella pioggia, durante la notte, sembrano andare al di là di un linguaggio fotografico  legato al vero cioè  attualizzato nel presente in tutto ciò che accade,  sono modi di riprendere che creano un’atmosfera espressionista, dai  toni evocativi inconsci, misteriosi, enigmatici.

Nel film la fusione stilistica tra realismo e simbolismo dà maggior spessore espressivo alle passioni umane contenute nella narrazione, coinvolgendo lo spettatore in sensazioni nuove per quei tempi.

Lo spettatore viene trascinato su un crinale psicologico altro, imprevedibile, un po’ folle nella sua mobilità spiazzante e apertura tematica inconscia, un crinale spesso tagliente, pericoloso, costituito da una efferatezza psicologica tipica soprattutto della competizione tra alcuni animali feroci, aspetti che diventano le vere pulsioni protagoniste della storia, rendendo visibile a tratti macchie psichiche di un alter ego oscuro, indefinibile, pauroso,  votato al tragico, qualcosa  che in condizioni normali nessuno  immagina possa in qualche modo appartenergli perché facilmente respingibile.

Il film di Gianni  Franciolini  mostra passioni irrefrenabili, violente che sembrano non appartenere più all’humus culturale su cui crescevano i valori cristiani e laici in vigore in quel tempo, passioni che sorprendentemente appaiono estranee anche ai più noti comportamenti legati alle ideologie degli anni ’40. Il film sembra  rappresentare un mondo oscuro, ambiguo, presente solo nell’inconscio di ciascuno, di cui forse allora non si osava parlare per timore di evocarlo senza poterne controllare gli effetti sociali.


 Il film inizia con una scena notturna che si ripeterà più volte in flash back perché significativa di un’ossessione cui è preda il protagonista Cesare, camionista (Fosco Giachetti).  Si vede Anna (Mariella Lotti), sua moglie, scendere a precipizio una rampa di scale di condominio, come se fosse sconvolta da qualcosa di burrascoso, forse una decisione appena presa irremovibilmente, e dietro di lei Cesare che la insegue per parlargli ancora. Il marito non riesce a raggiungerla e uscito da portone si avvia a prendere servizio  sul suo camion diretto a Savona.

Cesare e il suo secondo autista Gianni ( Mario Siletti) partono da Acqui diretti a Savona, ma la guida al volante di Cesare è molto nervosa, egli pensa ossessivamente alla lite appena avuta con la sua bella moglie, è sconvolto per la perdita della donna di cui si sente responsabile, tanto da decidere non appena terminato il viaggio a Savona di ritornare ad Acqui.

Giunto in sede durante la notte a Cesare lo attende subito un nuovo viaggio per La Spezia con un camion di nuova concezione,  denominato 666, molto più potente dei precedenti. Dopo un’animata discussione con Egisto (Lauro Gazzolo) anziano e severo capo reparto, risoluto nella decisione di farli partire subito, Cesare decide, seppur a malincuore, di continuare il viaggio. Dopo qualche chilometro, ad un bivio, anziché imboccare la strada per Genova prende a sorpresa quella per Acqui, avventurandosi nella nebbia  e a una velocità sostenuta verso casa sua, animato dalla speranza di avere notizie della moglie Anna, allontanasi da casa.


 Alcuni flash back mostrano nel frattempo la scena completa della lite avvenuta tra Cesare e la consorte.  In sintesi si può dire che il senso del diverbio riguarda  l’insoddisfazione matrimoniale dei due. Anna pur amando Cesare è inappagata, accusa il marito di trascurarla e di fare un lavoro che danneggia la loro relazione perché lo costringe a stare  per troppo tempo lontano da casa,  inoltre nei giorni di riposo Cesare non la porta a ballare e non vuole imparare le tecniche del ballo, poi si veste solitamente in modo poco elegante portandosi dietro, per quanto riguarda il comportamento mondano, qualcosa dell’andazzo abitudinario preso nel lavoro.

Durante il viaggio la nebbia e la velocità procurano a Cesare e Gianni  un fastidioso incidente, per fortuna non grave, che però non gli impedirà di raggiungere Acqui. Giunto nella sua abitazione trova una lettera di addio di Anna.

Nel frattempo il film mostra alcune scene di vita mondana della moglie, che si svolgono in noti locali da ballo della zona; la donna pur corteggiata assiduamente da un certo Filippo ( Carlo Lombardi), noto don Giovanni, resisterà alle sue offerte dimostrando così  di essere ancora innamorata del marito.

Al ritorno da Acqui, Cesare poco prima di giungere a Savona dà un passaggio a una bellissima donna, Piera (Luisa Ferida), caduta dalla bicicletta, che rimane colpita da Cesare finendo per dimostrargli in qualche modo un suo interessamento. Cesare non è indifferente ai segnali ammiccanti di Piera. L’occasione per i due di iniziare un rapporto avviene casualmente in un bar a Savona, allietato da una fisarmonica e dagli sguardi umili, rassegnati, dei camionisti di provincia.

La loro storia sarà breve e intensa, entrerà in crisi quando Piera si accorgerà di non poter sostituire totalmente Anna, la moglie di Cesare, perché egli non vuole farsi vedere in giro con lei, considerata da tutti la sua amante, né fare con Piera scelte di convivenza.

Piera lo tradirà con il suo nuovo secondo Carlo, e quando Cesare verrà a saperlo vorrà ucciderlo. Mentre prepara  in casa la pistola per ucciderlo,  Cesare trova improvvisamente Anna  in una stanza, la moglie con il suo intuito femminile e alcune informazioni datele dalla consorte di Gianni, aveva percepito il pericolo ed era accorsa  in suo aiuto.

Anna lo bacia appassionatamente, facendogli capire che lo ama ancora e che è disposta a ritornare a vivere con lui.

Cesare accetta entusiasta la proposta di Anna e si calma, ridiventando amico di Carlo. La pioggia battente che accompagna gli ultimi minuti del film sembra voler lavare tutti peccati di egoismo, orgoglio e viltà commessi dai protagonisti, aprendo qualche orizzonte di speranza di nuova vita per tutti. 

 BIAGIO GIORDANO
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