Cinema: Ave Cesare
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Ave Cesare
Film in proiezione al Diana di Savona, sala 5
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Ave Cesare
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Il film è ambientato nella Hollywood degli anni 50, in un’ epoca d’oro per il cinema americano, un’era di splendore artistico non casuale, di ragion visibile, perché la suggestione e l’estetica cinematografica legate al sonoro avevano ormai raggiunto un livello di coinvolgimento che era pari se non superiore al cinema muto, convincendo anche i critici e gli spettatori più scettici dell’importanza che andavano assumendo le prospettive culturali e di spettacolo aperte dal nuovo cinema.
Anche il cinema sonoro, a più di vent’anni di distanza dal muto, soddisfaceva quindi l’inconscio degli spettatori nelle sue più urgenti esigenze artistiche, fatte di drammaticità, tragicità, sogno, rendendo anche audaci i desideri più impossibili. Inoltre nella Hollywood degli anni ’50, grazie alla maturità tecnica raggiunta dal sonoro che riusciva a dare alta fedeltà riproduttiva alla voce dei suoi personaggi, il film poteva funzionare sulla falsa riga di una psicoterapia, magari lungo un suo concetto un po’ particolare, basato più sulla parola in qualche modo “attesa” dallo spettatore che sull’ascolto, permettendo al cinema di soddisfare, oltre ai già noti gusti narrativi degli spettatori, anche l’immaginario più oscuro dei sintomi nevrotici in essi presenti, favorendo, terminato lo spettacolo, e contrariamente agli assunti sociologici apocalittici della scuola di Francoforte, un ritorno più sereno degli spettatori alla realtà quotidiana, cosa quest’ultima che consentiva loro di affrontare con più forza il peso del disagio civile presente nel sociale. E’ necessario aggiungere che per ottenere certi risultati Hollywood si era adeguata ai tempi, riformando l’organizzazione industriale, soprattutto in quella parte più direttamente finalizzata ai profitti cinematografici. Una riforma che rendeva necessario un maggior controllo di quell’immagine altra che gli attori trasmettevano inconsapevolmente quando agivano nella loro vita più privata e mondana. Rispetto al passato gli attori diventavano quindi in maggior misura vittime del sistema Hollywood, non tanto per quanto riguarda il piano economico che garantiva comunque alle star guadagni consistenti, quanto per il diritto alla libertà espressiva nelle vesti di comuni cittadini della polis. Il sistema di sfruttamento hollywoodiano dell’immagine raggiunse livelli di manipolazione della personalità degli attori mai raggiunti prima, tali da rasentare il cinismo, divenendo paragonabile per certi versi legati all’intensità dello sfruttamento ai meccanismi del peggior capitalismo delle origini. Gli attori erano costretti a non deludere il pubblico nella vita quotidiana altra, quella privata o a partecipazione democratica della città, rimanendo aderenti in forte misura al personaggio che li aveva resi famosi, ciò li costringeva, in ogni situazione casualmente interlocutoria con il pubblico, a continuare a recitare una parte, seppur in forme diverse, inequivocabilmente di sostegno alla propria immagine incarnata sul set.
Occorre aggiungere che tutto ciò rispetto ai tempi del muto assumeva maggior rilievo negativo, in quanto il sonoro aveva la caratteristica di rendere l’impressione di realtà, che è specifica del modo di rappresentare del cinema, più credibile e penetrante, cosa che conferiva maggior verosimiglianza al personaggio dello schermo, facendo crescere nello spettatore l’empatia e la difficoltà a separarsi dal suo idolo. I film prodotti dagli studi di Hollywood in quel periodo creavano quindi negli attori, uno stress di tipo distruttivo, che i soldi guadagnati non riuscivano a compensare, e ciò creava enormi problemi agli studi di Hollywood. In Ave cesare, magistralmente diretto dai fratelli Coen, il grintoso e cattolico praticante Mannix, direttore di studio e vero protagonista della pellicola, ha il non facile compito di trovare in ogni circostanza critica, senza badare troppo per il sottile, soluzioni di salvaguardia dell’immagine-sogno di Hollywood incarnata dal cast. Ad esempio agendo sagacemente in tutte quelle situazioni passionali in cui l’attore, deciso a trasgredire le regole del buon senso professionale hollywoodiano, finiva per mettersi nei guai, mostrando al pubblico l’altra parte di sé, quella insospettata, a volte prosaica a volte frivola, spesso debole e infantile. Inoltre a Hollywood negli anni ’50 il confine tra realtà e finzione era spesso molto labile, in quanto l’una o l’altra a seconda delle circostanze poteva procurare molto denaro. Era un guaio quindi per gli attori e sceneggiatori calarsi in qualcosa di rivendicativo che evocasse un reale lontano dal sogno, più sociale, familiare, esso diventava subito scomodo al sistema in quanto ai produttori ciò si presentava come una pericolosa spia, possibile svelatrice al pubblico cinematografico di un senso comune di tipo contrattuale stranamente presente anche a Hollywood, aspetto questo che faceva esplodere una contraddizione nella macchina dei sogni. Quindi anche le problematiche di stampo etico avanzate a Hollywood dai dipendenti di ogni rango che andavano verso una richiesta di cambiamento dei modi normativi di procedere dell’industria culturale, venivano dai direttori di studio stroncate violentemente. E’ chiaro in questo film, come la mitologia di massa che permeava l’atmosfera di Hollywood aiutasse il feroce direttore Mannix nel suo lavoro sporco di guardiano del sogno, l’atmosfera sognante che aleggiava su Hollywood era tale infatti da far sentire Mannix protagonista assoluto di una salvezza del mito cinematografico di tipo messianico, portandolo a vincere sul campo numerose battaglie rivendicative contro i dipendenti famosi e meno famosi di Hollywood. |
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