Cinema: Amo un assassino

Amo un assassino, regia di Baccio Bandini, 1951, Italia, B.N., 90 minuti, drammatico poliziesco

Con Umberto Spadaro: il commissario Pietrangeli

Delia Scala: Silvia Pietrangeli, sua figlia

Andrea J. Bosic: Aldo Manni

Marco Vicario: Giorgio Morelli

Natale Cirino: il maresciallo Palermo

Dorian Gray: Vandina, la cantante del night club

Marga Cella: Fosca, la portinaia

Amina Pirani Maggi: Giovanna

Dina Perbellini: la signora Rosini

Girato negli studi romani della Farnesina

Attenzione commento del film con qualche spoiler

Una giovane donna cade dal pianerottolo del quarto piano proprio mentre sta entrando nell’atrio del condominio un operaio addetto alla disinfestazione dalle cimici (la scena della caduta ha degli effetti sullo spettatore di alta drammaticità grazie a un montaggio sopra le righe che sequenza diversi movimenti variegati della caduta impressionando l’occhio e l’udito per via dello spostamento a zig zag dell’oggetto dell’immagine; scena unica nella storia del cinema).

In quello stesso palazzo vive il commissario di polizia Pietrangeli, incaricato delle indagini, con la figlia Silvia. Si viene a conoscenza dai dettagli sulla caduta che la donna è stata buttata giù con la forza.

Presto si scopre che Manni, il nuovo inquilino del condominio, era il marito della morta. La coppia era separata da tempo ma la donna continuava a chiedergli dei soldi (a dire del marito ricattandolo).

Manni viene sospettato dell’omicidio il cui movente non poteva che essere la cessazione del ricatto, ma il suo alibi lo salva.

Manni ha da tempo un legame d’amore proprio con Silvia, figlia dell’ispettore, relazione che la donna non ha mai osato confessare al padre.

Un braccialetto con dedica d’amore appartenuto alla povera donna morta, trovato tranciato a metà nella camera da letto di Silvia, sposta tutti i sospetti sulla figlia del commissario (che non poteva non odiare una moglie ostile che ostacolava la sua relazione con Manni).

Pietrangeli sgomento decide di dimettersi dal suo incarico di commissario.

Ma quando ormai tutto fa credere che il caso si sia risolto, con Silvia e il marito della defunta che appaiono sempre più nei guai, il vero assassino (un altro abitante del condominio e amante della defunta), commette un errore, telefonando al commissariato per compiere un lavoro di depistaggio (quando i sospetti si stavano spostando proprio su di lui).

Egli fa quella telefonata  da un locale notturno in cui si stava suonando un motivo noto, cosa quest’ultima che consente all’abile commissario di trovare il locale e tendere un tranello al nuovo sospettato…

Film in bianco e nero con una buona sceneggiatura e una regia abile, ricca di professionalità, capace di imprimere al racconto un ritmo elevato. Fotografia e montaggio di alto livello frutto di un cast tecnico invidiabile (con addirittura un Nanni Loy aiuto regista…).

La questione dell’omicidio è affrontata solo marginalmente su un piano etico, prevale infatti l’ineluttabilità della azione negativa quando è legata ad una condizione esistenziale disagiata, intesa quest’ultima come tragedia di un sociale postguerra ancora fragile, insicuro, poverissimo, dove le famiglie che si dividevano finivano spesso, specialmente se non avevano fortuna nelle nuove relazioni, in una abissale disperazione, priva di speranze, che portava a volte, per sopravvivere, alla sopraffazione dell’altro più debole…

BIAGIO GIORDANO

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.