Cinema: Alice nella città

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Alice nella città

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
 Alice nella città
 

 Titolo Originale: ALICE IN DEN STÄDTEN

 Regia: Wim Wenders

 Interpreti: Rüdiger Vogler, Yella Rottländer, Liza Kreuzer, Eda Kochl

 Durata: h 1.50

 Nazionalità: Germania 1973

 Genere: drammatico

 Al cinema nel Maggio 1973

 Recensione di Biagio Giordano

 Philippe Winter (Rudiger Vogler), è un giornalista tedesco in cerca di un’occasione editoriale di alta qualità, qualcosa in grado di fargli esprimere la sua poetica più profonda. Un giorno il suo giornale sembra voler dargliene una: entro quattro settimane deve consegnare un libro alla redazione di New York, ambientato negli Stati Uniti, sul tema del paesaggio americano.

Il giornalista accetta, ma dopo aver visitato diverse città degli Stati Uniti, scopre con amarezza che non gli riesce proprio di scrivere. Nonostante il suo sguardo  sia sempre attento e vigile verso le cose più significative e suggestive che incontra, Philippe rimane  bloccato.


Il giornalista  nota che nel paesaggio che esplora manca  un vero e proprio soggetto ispiratore: qualcosa in grado di procurargli delle sensazioni poetiche. Philippe quindi preferisce  scrivere il racconto in una modalità iconica, attraverso la fotografia, ossia facendo sì che la riproduzione visiva di ciò che gli si para davanti venga fatta da uno strumento terzo, ottico, qual è l’occhio della sua vecchia Polaroid, perché Philippe teme di non essere in grado con il suo occhio di cogliere l’anima delle cose.

Finito il lavoro e ritornato a New York, nella sede distaccata del suo giornale, per consegnare le fotografie, Philippe si vede respingere il reportage fotografico perché non corrisponde all’accordo fatto; il contratto prevedeva una storia scritta, da consegnare in breve tempo alla redazione.

Philippe, deluso, decide di ritornare in Europa ma all’aeroporto di New York incontra una connazionale di nome Liza (Lisa Kreuzer) con la figlia Alice (Yella Rottlander) di nove anni che cambieranno profondamente il suo stato esistenziale.
A causa di uno sciopero del personale di bordo, i tre a New York non trovano un aereo disponibile per la Germania e sono quindi costretti a prenotare un volo di ripiego su un aereo che parte il giorno dopo per Amsterdam. Philippe viene invitato da Liza nel suo appartamento dove trascorrerà la notte dormendo con lei.

Al mattino la donna, nella portineria dell’albergo, lascia un biglietto scritto per Philippe, raccomandandolo di tenere la bambina perché lei deve raggiungere il suo ex amante Hans in crisi; l’impegno è di incontrarsi tutti e tre all’aeroporto di Amsterdam due giorni dopo.

Ma Liza non parte per Amsterdam, preferisce rimanere negli Stati Uniti con il suo ex amante che è disperato, incapace di darsi una ragione della sua sofferenza. Liza, che non vuole far soffrire Hans, di cui è ancora innamorata,  rimane con lui senza Alice, immaginando che la presenza della figlia potrebbe turbare nuovamente la loro relazione; Hans non è il vero padre della bambina.

Philippe rimasto solo con Alice dapprima si sente oppresso dalla sua nuova responsabilità, quasi incapace di accettare ciò che gli sta accadendo, ma lungo la prosecuzione del viaggio si affezionerà molto alla bambina, fino al punto di amarla segretamente come un buon padre.

Dopo numerosi girovagare tra le città, alla ricerca della nonna cui affidare la bambina, la polizia contatta Philippe proprio sul traghetto che sta portando il giornalista e la bambina dalla madre del giornalista, quando ormai entrambi avevano rinunciato alle ricerche della nonna. Philippe viene informato dalla polizia che sono stati individuate la madre e la nonna di Alice e che la bambina potrà da lui essere affidata a una delle due donne.

I due, dopo diverse giornate passate insieme alla ricerca di una soluzione al problema del crudele abbandono, si lasciano a malincuore, in quanto il loro breve ma intenso rapporto li ha trasformati.


Philippe ha trovato con la vicenda vissuta il soggetto che cercava per la sua storia, Alice la gioia, fino a quel momento sconosciuta, di comunicare per lungo tempo con un adulto che si è preso cura di lei.

Questo film di Wenders uscito nel 1974 è il primo della “trilogia della strada“, che comprende anche “Falso movimento” (1975) e “Nel corso del tempo” (1976). “Alice nelle città” è probabilmente il più riuscito dei tre, sia dal punto di vista poetico sia da quello drammaturgico.

Diversi i temi trattati e le esperienze fotografiche di rilievo messe in mostra in questo film. Il tema della strada viene visto come occasione di un viaggio altro, dove non solo si guarda e si commenta ciò che scorre davanti agli occhi ma si partecipa in qualche caso alle realtà più vive delle persone dei luoghi, mantenendo sempre uno sguardo attivo, con un animo disposto all’empatia, lasciandosi coinvolgere da  realtà sociali ed esistenziali problematiche.

Il tema del viaggio senza una meta precisa, inoltrandosi per strade sconosciute,  viene in questo film inteso come un’esperienza ricca di nuove  emozioni e meditazioni esistenziali di rilievo.


Un altro tema proposto in questo film è più strettamente artistico, riguarda la impossibilità per la fotografia di essere quell’altro occhio in grado di cogliere l’oggettività delle cose. La macchina fotografica è semplicemente un altro soggetto, ottico, non in grado quindi di rimediare alla distorsione delle cose così come vengono viste e intese dal soggetto umano che guarda. La fotografia non è in grado di riprodurre una realtà per quello che è, magari in tutta  la sua innocenza, protetta da sguardi voraci.

La complessità fisica e luminosa, estetica  della realtà, sembra dire Wenders, mette continuamente in ridicolo le pretese definitorie, commerciali, e totalitarie dell’avida vista umana e di quei pretestuosi soggetti ottici creati dall’uomo.

Il giornalista tedesco, dopo aver scattato numerose foto, trova conferma che la fotografia non è mai uguale alla realtà che riproduce – intesa quest’ultima come ciascuno di noi la vede e la sente – ma costruisce un mondo di immagini a sé, con delle tonalità di colori sempre diverse, infinite nelle loro bizzarre combinazioni; un mondo che tende a separarsi da ogni visione vissuta, una sorta di specchio opaco che deforma qualsiasi realtà ritenuta obiettiva ricordandoci la nostra presunzione visiva nel valutare le cose.

La fotografia è incapace di riflettere il senso delle cose esistenti per quello che presumibilmente sono, o come noi le percepiamo, imponendo un proprio modo di vedere assolutamente originale. Le immagini appaiono come ombre della realtà che la vista ci prospetta, fenomeni oscuri e misteriosi di un mondo estremamente complesso ancora in gran parte sconosciuto, situato al di là dei nostri orizzonti visivi.
Quando sul bordo della strada Alice fotograferà Philippe con la Polaroid gli dirà consegnandogli la foto: “così vedi come sembri“.

Interessante nel film anche il tema umano e psicanalitico dei rapporti vissuti fuori da un ruolo istituzionale preciso, straordinari, sovente destinati a rilasciare sorprese trasformatrici importanti, come accade nel rapporto tra Philippe e Alice, un adulto e una bambina già al di fuori della famiglia, una relazione che nel film nasce per caso, in circostanze del tutto fortuite.

Philippe riscopre frequentando Alice parti giovanili di sé che rientrano prepotentemente in gioco nel suo presente in crisi, ritrasformandolo verso nuove aperture esistenziali, nuovi progetti di vita e professionali, allontanandolo da quell’esistenza chiusa e rassegnata che lo tormentava da tempo.

Wenders con questo film ripropone la questione della sofferenza umana all’interno delle istituzioni famigliari, il conflitto per mancanza di libertà cui porta l’amore vissuto fuori dalle istituzioni sociali, un amore che trasgredisce gli impegni e le scelte fatte a suo tempo per la famiglia. Ma nello stesso il regista-autore ribadisce la legittimità, in ogni circostanza, di ogni forma d’amore, il dovere etico di viverlo, riconoscerlo, coltivarlo fino all’esaurimento della passione irrefrenabile che ne consegue.

Quello tra amore e responsabilità verso i terzi che ne subiscono le conseguenze è un conflitto senza soluzioni, una spirale dai risvolti drammatici a volte anche tragici sembra ribadire Wenders. Il film nulla concede al sentimentalismo e al bisogno di  tenerezza degli esclusi, Wender traccia di tutti i personaggi profili freddi e distaccati, fedeli a qualcosa che mette al centro per lo spettatore le emozioni del vero e non quelle dello spettacolo.

    Biagio Giordano  

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