Cinema: Accattone

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Accattone
Al cinema nel settembre 1961

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Accattone

 

Titolo Originale: ACCATTONE

Regia: Pier Paolo Pasolini

Interpreti: Franco Citti, Franca Pasut, Silvana Corsini, Paola Guidi, Adriana Asti, Adele Cambria

Durata: h 2.00

Nazionalità: Italia 1961

Genere: drammatico

Al cinema nel Settembre 1961

Recensione di Biagio Giordano

Inizio anni ’60, periferia degradata di Roma, totale assenza di servizi pubblici e di lavoro, case fatiscenti, numerose baracche qua e là e  rifiuti ingombranti sistemati alla meglio sulle vie. Un giovane sottoproletario, sopranominato Accattone, separato con figli, vive di espedienti tra cui la prostituzione. Sfrutta sessualmente Maddalena, una prostituta postasi a suo servizio dopo che il precedente protettore, un napoletano, era finito in carcere.


 Accattone sa che l’uomo in carcere non gradisce la scelta fatta da Maddalena di stare con un altro uomo, seppur tale scelta appaia come condizionata, quasi obbligata. Accattone evita abilmente l’aggressività verso di lui da parte degli amici del carcerato napoletano, fingendosi vittima di una situazione umana, ossia soggiogato dalle pressioni di sopravvivenza avanzate da Maddalena.  Dal carcere il protettore napoletano dà ordine al suo clan malavitoso di punire la donna, facendola violentare e picchiare.  Cosa che puntualmente avviene. A nulla serviranno poi le denuncie e i riconoscimenti dei suoi aggressori fatti dalla donna in questura.


 Accattone rimasto solo cerca di tornare da sua moglie e i suoi figli, ma viene respinto. Un giorno incontra Stella, una bella ragazza, tranquilla, romana, che lavora onestamente, dopo un po’ di dialogo con lei Accattone rimane colpito dalla diversità della donna, e osa spingersi oltre ogni limite chiedendole di lavorare per lui come prostituta, al che la donna, indignata, rifiuta.

Conquistato dall’etica di Stella, Accattone pensa che anche lui potrebbe vivere meglio, guadagnandosi da vivere onestamente come fa lei, ma, intrapreso poi un lavoro onesto si rende conto, a un certo punto, che non può riuscire a vivere che nell’illegalità.


Intenzionato a ritornare a delinquere, Accattone un giorno alla prima occasione diventa complice di un furto di salumi. Sorpreso dalle forze dell’ordine fugge con un motorino ma va a scontrarsi contro un camioncino posto nelle vicinanze, battendo poi la testa su un marciapiede, raggiunto di corsa dai suoi amici e da alcuni passanti, prima di morire mormora la frase: “Mo sto bene”.

 Commento. Esordio alla regia di Pier Paolo Pasolini, lo scrittore e pubblicista, a quell’epoca, non ancora quarantenne si era già imposto all’attenzione dei media, della cultura, e della comunicazione, per le sue efficaci provocazioni culturali, sociali, politiche. Numerosi saranno poi gli scritti, che vedono la loro pubblicazione in diversi libri di poesie, di racconti, e la stesura di sceneggiature di alcuni film di Fellini e Bolognini. Moltissimi i saggi e gli articoli giornalistici, nonché le interviste televisive e le apparizioni in importanti, civili, iniziative di piazza.

Pasolini era, tra gli intellettuali, uno dei più contrastati in Italia, perché da diverso, libero e intelligente qual era, riusciva a mettere sotto accusa, senza compromessi, tutto il modello di valori, e di sviluppo dell’economia post bellica nonché i relativi partiti politici ritenuti sostenitori di scelte rivelatesi sul piano della condizione umana e rispetto del prossimo ancora più alienanti del periodo fascista.

Secondo Pasolini il miracolo economico italiano era basato prevalentemente su un consumismo simbolico di massa negativo, perché nel mentre da una parte gratificava, illusoriamente, sempre più vasti strati della popolazione, dall’altra umiliava e sradicava dal territorio, intere generazioni, azzerando tradizioni, culture, lavoro artigianale, valori etici e sacrali, e lasciando irrisolti per sempre i principali problemi sociali che ne derivavano soprattutto nelle periferie.

Ciò era ancora più evidente nelle vecchie borgate che vedevano crescere a dismisura la miseria del sottoproletariato, incapace, per mancanza di salute psichica, di emigrare e quindi sempre più abbandonato a se stesso. Un sottoproletariato che rimaneva del tutto privo di quelle risorse ritenute minime per conservare la dignità umana e che in qualche modo gli emigrati partiti, più forti psichicamente, stavano già ottenendo.

Gran parte dei politici, scandalizzati, infastiditi, e imbarazzati dalla personalità complessa e dalla equivoca identità di genere di Pier Paolo Pasolini dettero un giudizio frettoloso su Accattone, che, anche se non era proprio un giudizio negativo, comunque era molto convenzionale, segnato com’era da una sorta di rispetto dovuto per i mali descritti che riguardavano con grande evidenza il nostro paese.

Con un opportuno giudizio, di maniera, si sperava in una rapida dimenticanza del film.

La forza drammatica di questo film,  assai rara se intesa in una accezione sociale, continua invece tutt’oggi a mantenere desta l’attenzione critica sulla storia del nostro paese, mettendo indirettamente sotto accusa gran parte delle  istituzioni, passate e presenti, dimostrando, con quella formidabile memoria storica che il cinema consente, che le ingiustizie sociali di oggi affondano le loro radici in scelte politiche avvenute nel passato, precisamente negli anni ’50-’60 di cui il film con il suo straordinario realismo dà ampia testimonianza. Un film che lascia intendere come  la Carta Costituzionale del ’48 sia rimasta già in quegli anni in gran parte inapplicata.


Da sottolineare l’efficacia espressiva del film, che sta soprattutto nell’originalità del modo di riprendere, caratterizzato da un falso dilettantismo, ossia qualcosa di voluto, finalizzato a far sentire meglio, attraverso l’imperfezione delle inquadrature, a volte troppo veloci, a volte sbrigative, la presenza del soggetto che riprende.

Quest’ultimo opera infatti come se volesse partecipare al dramma cui assiste, annullando quindi la sua funzione professionale di estraneo esperto di riprese, in un certo senso è come se volesse essere simile a quel contesto sociale, che era un reale molto difficile, mantenendosi lontano da ogni virtuosismo fotografico e girando le scene di istinto come avrebbe potuto benissimo fare uno dei sottoproletari protagonisti. 

Il film rifiuta certe tecniche cinematografiche  usuali, collaudate,  perché esse con la loro perfezione tendono a far diventare la fotografia specchio della realtà, cioè una sua riproduzione perfetta,  rilasciando dell’amaro in bocca negli spettatori: in quanto sorge l’impressione che dietro alla macchina da presa ci sia un umanoide, una cosa, non più quindi un soggetto vivo che interpreta, fa delle scelte, anche sbagliate,  partecipando attivamente alla costruzione di quel reale che diventa  film.

 

 Biagio Giordano  

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