CINEMA -300 L’alba di un impero

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
In sala nella provincia di Savona
300 L’alba di un impero

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

300 L’alba di un impero
Film in sala nella provincia di Savona
 
Titolo originale: 300: Rise of an Empire
Nazione: U.S.A.
Anno: 2014
Genere: Azione, Avventura
Durata: 102 min.
Regia: Noam Murro
Cast: Eva Green, Rodrigo Santoro, Lena Headey, David Wenham, Sullivan Stapleton, Jack O’Connell, Hans Matheson, Mark Killeen
Produzione: Atmosphere Entertainment MM, Cruel & Unusual Films, Hollywood Gang Productions, Legendary Pictures, Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Sito ufficiale: www.300themovie.com
Data di uscita: 06 Marzo 2014 (cinema)
 Recensione di Biagio Giordano
Film in sala nella provincia di Savona 

  Un mito di oscure origini racconta che solo grazie al sacrificio delle Termopili compiuto dai 300 valorosi spartani guidati da Leonida, la Grecia  guadagnò quei tre giorni di tempo utili per meglio organizzarsi contro i persiani ostili, un fatto che consentiva di veder moltiplicate le possibilità greche di resistere all’invasione dell’Impero Persiano.


In realtà da fonti storiche più sicure risulta che oltre ai trecento spartani che rappresentavano la guardia del corpo del re Leonida, vi erano alle Termopili circa 750 tespiani, 450 tebani, qualche centinaia di soldati di città alleate.

La  storia specialistica di stampo accademico, indubbiamente più rigorosa, scrive della  nascita  in quel periodo di  una  speranza  concreta contro la minaccia persiana, una sorta di attesa legata  al nome di Temistocle, guida militare degli ateniesi, uomo di grandi capacità politiche  in grado di riuscire nella difficile impresa di unire  le  più di 70 città-stato indipendenti, alla lotta per la libertà dell’Ellade. Uomo di grandi doti anche militari Temistocle era in grado di contrastare con l’intelligenza  e le inventive nelle strategie di combattimento, la superiore  forza della flotta persiana.


Secondo alcuni critici esperti di questo genere di film, 300 – L’alba di un impero, nasce con idee estetiche analoghe al famoso 300 ma con una base di partenza per molti aspetti diversa rispetto al suo precursore.

Infatti dove il film di Zack Snyder prendeva spunto da una graphic novel già esistente – “300” di Frank Miller, opera eccellente della nona arte (il fumetto) – per sviluppare e drammatizzare i lati più scenografici e spettacolari mettendoli sul binario del progresso tecnico cinematografico inteso come efficace potenziatore dell’estetica filmica, questo sequel di Noam Murro (co-sceneggiato da Snyder) parte dal film precedente, e dalla mitopoiesi generata attorno ad esso, per creare un immaginifico separato dal giornaletto, cioè in competizione con il fumetto stesso inteso come linguaggio artistico.


 

L’interpretazione della storia in chiave mitologica, considerata spesso, erroneamente dagli storici  pura invenzione dei fatti, indebita e comoda approssimazione di realtà molto complesse, è da tempi memorabili consueta nel cinema e nella letteratura. Essa si presta mirabilmente  alla costruzione estetica del  narrare  perché   esalta  il pathos in essa contenuto, soprattutto con l’esercizio artistico della parola e dell’immagine.

Il mito entra efficacemente nelle due famose modalità artistiche di scrivere: cinematografica e  letteraria, che seppur molto diverse nei loro statuti estetici sono accomunate dallo stesso fine: narrare per procurare piacere.

I loro ordinamenti  narrativi sono particolari, tendono a prediligere per lo più  una edificazione sintattica ad  effetto per chi legge o vede, basata di norma su un reale della vita supposto, immaginato, o personalmente sperimentato, qualcosa che poi risulta potenziato esteticamente con intrecci narrativi che si avvalgono di combinazioni di incontro diverse ,grazie alle quali ottengono l’effetto supplementare di spiazzare, sorprendere, meravigliare tutti coloro che usufruiscono delle opere prodotte da queste due arti.


 

L’esposizione più precisa della logica e dei fatti reali riguardanti eventi storici divenuti  poi parte integrante di seri  documenti ufficiali, trova spazio nel cinema e nella letteratura solo a patto   che il documento sia idoneo ad essere prima tradotto in una forma racconto, in un modo quindi che apporti emozioni supplementari di chiara interazione con le pulsioni legate al principio inconscio del piacere.

Il mito nel cinema diviene allora poesia, perché incontra l’inconscio dello spettatore aperto alla sua ricezione, che ne accoglie l’istanza immaginifica-soggettiva che lo racchiude lasciandosene inondare. Esso compie nell’inconscio un lavoro molto dinamico, fatto di sollecitazione visiva che riguarda la memoria, la resistenza, la rimozione, riposizionando su piani psichici preconsci diversi, seppur solo momentaneamente, vecchi affetti, ricordi, desideri.

Il mito sembra voler racchiudere, per conservarlo nell’eternità, un nucleo fantasmagorico umano particolare fonte tuttora di numerose passioni, che ruota in sfumate forme sulla questione edipica,  come se fosse un prodotto culturale di complessa definizione che sembra essere in relazione con l’inconscio,  da cui esso trae origine come se fosse intessuto di materia e di influenze derivate dalla sfera primaria.

Qual è la responsabilità del mito nella storia? Quella di trasmettere tra le righe dei suoi forti enunciati un desiderio-cifra, qualcosa che riguarda un resto pulsionale braccato dal civile, dal disagio della civiltà, impossibile a esprimersi in altri modi, una sorta di esagerazione-follia che grida il diritto a un civile in grado di riconciliarsi con i nostri sogni e desideri senza rilasciare istanze repressive nevrotiche, angoscianti.

Il cinema allietando maggiormente la storia che il mito racchiude ma mostrandocene con rigore la struttura logica, ci richiama al compito immane di giungere a un diverso civile, dove l’unità psichica è tale proprio perché la parola e l’ascolto prese nell’arte del dire, con tutte le loro implicazioni umane e sociali nonché mediche, non fanno più discrimini di sorta, proponendo con il piacere sublimato che ne deriva una sessualità altra, lontana da ogni scissione pulsionale violenta destinata a far giungere l’Io sulle soglie della nevrosi. 

 BIAGIO GIORDANO
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