Chi sta dentro e chi sta fuori dal palazzo

CHI STA DENTRO E CHI STA FUORI
DAL PALAZZO

CHI STA DENTRO E CHI STA FUORI
DAL PALAZZO

 Chi avesse ancora voglia di capire in quale situazione storica, sociale, culturale e politica ci troviamo oggi, alla metà di questo dicembre dell’anno duemila sedici dell’era volgare in cui tanti idealisti (o illusi) speravano di risvegliarsi in un Paese diverso da quello che abbiamo conosciuto fino a questo momento; diciamo meglio: chi volesse veramente rendersi conto di come siamo potuti arrivare a questo punto di crisi, di degrado etico  e di caos  che sembra ineluttabile come un destino o una  maledizione divina, vada a leggersi (o a rileggersi) l’articolo di Pier Paolo Pasolini “Fuori dal Palazzo”, uscito sul Corriere della Sera del 24 luglio 1975, l’anno della sua morte violenta, al Lido di Ostia (ora in Lettere Luterane, Einaudi, 1976).


In quel mirabile articolo Pasolini descrive con una precisione e una chiarezza da entomologo l’abisso che separa la classe politica dalla realtà in cui vivono i cittadini comuni, e la tragedia di quei pochi padri che agiscono per salvare i figli dalla perdita dei valori che davano (e potrebbero ancora dare) un senso alla vita e magari li aggrediscono proprio perché li amano. Un padre che ama non si accontenta di capire il figlio contestatore e ribelle (il riferimento è alla recensione fatta da Moravia sull’Espresso di quella settimana di fine luglio di un film in cui si tratta del difficile rapporto, appunto, tra un padre e un figlio “deviante”) ma agisce: “E’ l’agire che qualifica. E un padre che ama agisce. Egli è destinato a restare morto nella polvere come il negletto Laio (il corsivo è mio): non esiste altra possibilità. Dunque il capire è il meno. E l’agire non può consistere in altro che nell’aggredire il figlio, per poter restare appunto alla fine morto sulla polvere (idem). Io guardo i figli, cerco di capirli e infine agisco: agisco dicendo loro quella che io credo la verità sul conto loro”.

Purtroppo quella che Pasolini crede la verità sul conto dei figli che rinnegano i  padri non è soltanto amara, è tragica: “Voi vivete nella cronaca, che è la vera storia perché – anche se non è definita, non è accettata, non è parlata – è infinitamente più avanti della nostra storia di comodo; perché la realtà è nella cronaca ‘fuori dal Palazzo’ e non nelle sue interpretazioni parziali o peggio ancora nelle sue rimozioni”. Pasolini vedeva chiaramente come la distanza tra quello che lui chiama il Palazzo (fortunata metonimia che sta per  ‘classe politica e dirigente del Paese’) e la realtà quotidiana vissuta dai poveri Cristi (e dai poveri diavoli) di cui è fatta la maggioranza della popolazione, era già incolmabile in quel torrido luglio del 1975: “Solo ciò che avviene ‘dentro il Palazzo’ pare degno di attenzione e di interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità…E naturalmente, di quanto accade ‘dentro il Palazzo’, ciò che veramente importa è la vita dei più potenti, di coloro che stanno ai vertici. Essere ‘seri’ significa, pare, occuparsi di loro.

 

Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, dei loro modo di interpretare la realtà che sta ‘fuori dal Palazzo’: questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco ‘serio’ occuparsene”. E qui Pasolini osserva come chi sta dentro il Palazzo vive lontano dalle gente comune, come se abitasse in un altro mondo, ma che si ricorda della gente comune solo quando ha bisogno del suo consenso e del suo voto, perché sa bene che senza quelli (il consenso e il voto) verrebbe a mancare la fonte primaria del suo potere, dato che la sovranità in un regime democratico non è ereditaria ma viene conferita dal popolo ai suoi rappresentanti mediante votazione. Senonché lo iato, la distanza, la discrasia tra rappresentanti e rappresentati, soprattutto negli ultimi anni, mettono a rischio la sopravvivenza stessa  della nostra democrazia rappresentativa: “Negli ultimi due o tre anni questa concentrazione degli interessi sui vertici e sui personaggi al vertice è diventata esclusiva, fino all’ossessione. Non era mai successo in questa misura.

 

Gli intellettuali italiani sono sempre stati cortigiani; sono sempre vissuti ‘dentro il Palazzo’. Ma sono stati anche populisti, neorealisti e addirittura rivoluzionari estremisti: cosa che aveva creato in essi l’obbligo di occuparsi della ‘gente’”. Ora invece ci si occupa della ‘gente’ (cioè, in termini sociologici, delle masse) per sondarne gli orientamenti, le opinioni e le scelte attraverso istituti di ricerca come la Doxa; ebbene, annota Pasolini, “sull’Espresso ci si occupa delle casalinghe – questi animali enigmatici, lontani, perduti nelle profondità della vita quotidiana – perché una statistica di  Doxa  o di Pragma ha appurato   che il loro voto è stato notevolmente importante per la vittoria comunista alle ultime elezioni. Cosa che ha fatto tremare il Palazzo, causando terremoti nelle gerarchie del potere”. Ora è indubbio che le casalinghe non frequentano i piani alti e nemmeno quelli bassi (se non come addette alle pulizie)   del Palazzo, in quanto esse “vivono nella cronaca, Fanfani o Zaccagnini nella storia”. Ecco delinearsi con precisione anatomica i due mondi separati e non comunicanti: da una parte la classe politica e gli intellettuali organici al potere dominante, dall’altra la famosa “casalinga di Voghera” e le classi subalterne, giù giù fino a quel sottoproletariato urbano in via di estinzione così bene descritto da Pasolini nei romanzi e in Accattone, il suo primo film, che tanto scandalo fece nell’Italia dei primi anni Sessanta! Tra questi due mondi, constata Pasolini “si apre un vuoto immenso, una ‘diacronia’ che è probabilmente l’anticipazione dell’Apocalisse”.


 

Ma a che cosa è dovuta questa diacronia? E qui Pasolini confessa anche la sua parte di responsabilità nella distruzione di un ordine di valori che aveva pur tenuto  insieme terra e lavoro, amor di patria e pietas religiosa, padri e figli, nonni e nipoti, parroci e fedeli e, fino a un certo punto, sovrani (illuminati)  e sudditi; mentre ora i figli  che vivono fuori dal Palazzo, quindi nella cronaca e non nella storia, sono “sconvolti in una crisi di valori, perché il potere, creato in conclusione da noi, ha distrutto ogni cultura precedente, per crearne una propria, fatta di pura produzione e consumo e quindi di falsa felicità”. E’ stata questa sottrazione di valori che, dice Pasolini rivolto ai giovani “vi ha gettato in un vuoto che vi ha fatto perdere l’orientamento, e vi ha umanamente degradato. La vostra ‘massa’ è una ‘massa’ di criminaloidi a cui non si può parlare in nome di niente. Le vostre poche élites colte – socialiste o radicali o cattoliche avanzate – sono soffocate da una parte dal conformismo e dall’altra parte dalla disperazione”.

Se questa è la triste realtà non rimane che rassegnarsi alla banalità del male di cui parla Hannah Arendt o alla zona grigia descritta da Primo Levi; ma non è questa la conclusione di Pasolini. Pur in un orizzonte così tragico e desolato, in quel torrido luglio del 1975, non tutto è (era) perduto: “Gli unici che si battono ancora per una cultura e in nome di una cultura, in quanto si tratta di una cultura ‘diversa’, proiettata verso il futuro, e quindi al di là, fin da principio, delle culture perdute (quelle di classe, borghese, e quella arcaica, di popolo) sono i giovani comunisti. Ma per quanto potranno difendere la loro dignità?”. Non per molto; infatti, con il crollo del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, anche i partiti comunisti che ancora resistevano in Europa hanno dovuto arrendersi tanto alla cronaca quanto alla storia dei vincitori, così che dei giovani comunisti è rimasto a mala pena il ricordo. Il neocapitalismo tecnologico e finanziario ha ridotto il mondo a un grande mercato globale in cui si combattono guerre economiche mascherate da guerre di religione. Un mondo siffatto quanto potrà durare? Se lo chiedeva anche Pasolini nell’anno della sua morte per mano di “ignoti”.

  FULVIO SGUERSO

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.