Chi sbaglia paga ma i politici non pagano mai

Nella vita si fanno scelte giuste o sbagliate e i comuni mortali quando sbagliano pagano sempre, in un modo o in un altro. Si paga lo sgarbo fatto a un amico, per una leggerezza si compromette un rapporto di coppia consolidato, si viene licenziati se ci si addormenta sul posto di lavoro, si finisce in galera se si è omesso di verificare un calcolo e il tetto della casa ha ceduto (nell’antica Mesopotamia per questo si sarebbe stati sepolti vivi) e se non si supera un esame per non essersi preparati a dovere si rinuncia a una carriera e si cambia strada. Del resto l’uomo della strada paga anche per colpe non sue, è perseguitato dal moloch dell’onorabilità e va in crisi non appena questa venga sfiorata, non regge a un fallimento, guai se si sparge la voce che ha debiti o ha ricevuto la visita dell’ufficiale giudiziario.

  Se avessi avuto un figlio terrorista mi sarei vergognato a farmi vedere nel mio ambiente di lavoro; se capita, com’è capitato, a un ministro questi non si scompone e incassa la solidarietà dei suoi colleghi. I comuni mortali pagano sempre.  I politici, che evidentemente non sono comuni mortali, mai. I politici sono peggio dei fachiri che passano indenni attraverso le fiamme: loro possono commettere errori clamorosi il cui costo ricade sulla collettività, possono dare le peggiori prove di insipienza, possono anche essere presi con le mani nel sacco del pubblico denaro ma non si smuovono. Al massimo aspettano che passi un po’ d’acqua sotto i ponti e poi di nuovo in pista: la gente dimentica in fretta. Sofri stimato opinionista, Capanna a pontificare nei talk show, la brigatista che dà lezioncine, per non dire dell’imborghesito e compassato Liguori che imperversa sul piccolo schermo Mediaset, tutta gente che ha sbagliato e non per questo la vorrei messa alla gogna ma mi piacerebbe che come succede alla gente comune pagasse le conseguenze del proprio errore.  Come? sparendo, ritirandosi, facendo altro nella vita, rientrando nei ranghi. È il minimo che si possa chiedere, mi pare. Se uno come politico ha fallito la smetta di fare il politico, rinunci, riorganizzi la propria esistenza e non faccia più danni.

Berlusconi come imprenditore e come uomo politico ha avuto grandi meriti. Non ultimo quello di aver ostacolato i compagni nella loro corsa al controllo del Paese. Ha avuto anche molte cose da farsi perdonare, e non alludo alle sue “cene galanti”, che sono affari suoi, ma all’aver piazzato in regione la sua igienista dentale e aver provato a ripetere la prodezza in Puglia con una escort. Leggerezze imperdonabili sulle quali si poteva passar sopra considerato il dinamismo col quale il suo governo ha affrontato emergenze come quella dei rifiuti a Napoli o il terremoto dell’Aquila.  E non è da escludere che se la sua esperienza di governo non si fosse bruscamente interrotta avrebbe quantomeno alleggerito il peso di una fiscalità che schiaccia la parte sana del Paese. Ma i maggiori successi Berlusconi li aveva conseguiti nella politica estera, grazie anche alla sapiente gestione dell’eredità democristiana, e mi riferisco in particolare ad Andreotti, e alla sua personale capacità di stabilire rapporti alla pari con i principali leader mondiali.

Blair, Bush e Berlusconi

Piaccia o no, c’è stato un momento in cui con le tre B esecrate in buona parte del pianeta – Bush. Blair e Berlusconi – l’Italia era assurta al rango di grande potenza politica e diplomatica, rafforzato nel mediterraneo dagli accordi con Gheddafi, che praticamente avevano riportato la Libia nell’orbita italiana. Ebbene, proprio quando, per merito e per quella fortuna che spesso aiuta le persone sicure di sé, Berlusconi  aveva raggiunto una posizione forse sproporzionata rispetto alle sue effettive capacità, il tonfo che non solo fece precipitare lui nel cortile di Arcore ma riportò bruscamente l’Italia alla modesta dimensione di piccola potenza regionale a tutto vantaggio di Francia e Germania. Erano trascorsi sei mesi dall’accordo che stringeva la Libia all’Italia, un accordo che valeva 50 miliardi di dollari, sei mesi durante i quali Berlusconi non si era accorto della rete che Sarkozy stava intessendo con la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti e i rivali di Gheddafi nel medio oriente.  Sull’onda della primavera araba si doveva non solo rimuovere ma punire il rais, con l’accusa stravagante di delitti contro l’umanità  che avrebbe potuto commettere una volta repressa la rivolta di Bengasi, fomentata e  finanziata dai francesi,  rinnovando una strage come quella di Srebrenica. Per mettere i bastoni fra le ruote del microscopico Napoleone transalpino Berlusconi avrebbe potuto fare leva sulla Merkel, che dalla destabilizzazione del Maghreb non aveva nulla da guadagnare, e non lo fece, avrebbe potuto far valere il suo rapporto privilegiato con Putin ed ebbe paura a farlo, avrebbe potuto perfino cercare un dialogo con la Cina e non gli passò neppure per la mente.

Berlusconi e la Minetti

 Non  fu nemmeno capace di zittire Napolitano, portavoce, con una punta di personale astio, di Obama e del duo Camerun-Sarkozy, né di neutralizzare i suoi ministri, La Russa e Frattini, che per ragioni diverse spingevano in modo dissennato per unirsi all’attacco alla Libia. Attacco scatenato dall’aviazione francese in barba alle più elementari regole del diritto internazionale e seguito dall’invasione di contingenti franco inglesi sotto lo sguardo compiaciuto dell’inquilino della Casa Bianca, molto attivo da parte sua nel blandire e intimorire Berlusconi  attraverso l’ambasciata americana e il suo segretario di stato. Berlusconi  che un po’ per paura un po’ per la promessa che gli interessi petroliferi italiani (e i suoi personali) non sarebbero stati toccati, dopo qualche settimana di doppio gioco finì per bombardare il vecchio amico. E la tragica, orrenda fine del colonnello fu il de profundis della pretesa italiana di esercitare un ruolo egemone nel mediterraneo. Dopo di allora l’Italia è sparita dal radar della diplomazia mondiale. Infatti, sia pure arrancando e con alti e bassi, è rimasta nel gruppo dei dieci Paesi più industrializzati, ha mantenuto un potenziale militare di prim’ordine – eredità della guerra fredda e del rapporto privilegiato con gli Stati Uniti – ma è diventata una nullità politica e diplomatica non solo sullo scacchiere mondiale ma anche a casa sua, in Europa e nel mediterraneo. E di questo deve ringraziare Berlusconi e il suo voltafaccia nei confronti  della Libia.

Gheddafi trovato morto

Una vicenda di questa portata segna la fine politica di una persona. Fine politica, per carità, non siamo nell’antica Roma, dove per molto meno ci si sarebbe gettati sulla spada. Libero, liberissimo Berlusconi di continuare a curare i suoi affari in Italia, in Francia o in qualsiasi altra parte del mondo ma dopo l’assassinio di Gheddafi  e la fine della Jamāhīriyya anche la sua carriera politica è terminata. O meglio: avrebbe dovuto essere terminata.  E invece, anche con la complicità dei compagni che dopo averlo criminalizzato, delegittimato, deriso, calunniato per presunte elusioni fiscali  o per le sue frequentazioni femminili ora lo vorrebbero leader di un centrodestra addomesticato, Berlusconi cerca di riprendersi la scena, evoca un centro moderato, si presenta come garante del centrodestra italiano di fronte a Bruxelles, ammicca a quell’anello di congiunzione col Pd che è Italia Viva e sogna di salire sul Colle più alto; ma l’amnesia non può essere la caratteristica costante del nostro Paese. Vale anche per quella destra nostalgica, atlantista e guerrafondaia che sotto sotto fa comodo ai compagni, ieri come oggi.
Pierfranco Lisorini

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One thought on “Chi sbaglia paga ma i politici non pagano mai”

  1. Siccome in fondo all’articolo “Voler bene fa bene” tutto prosociale e psicopedagogico sui benefici effetti dell’empatia, della benevolenza e della solidarietà contrapposti a quelli negativi del risentimento, dell’aggressività, dell’antipatia e dell’odio manca lo spazio riservato ai commenti, lascio qui il mio breve commento.
    De te fabula?
    Fulvio Sguerso
    (Dubito di ricevere una qualche risposta, ma tant’è non ho potuto fare a meno di porle questa domanda),

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